Massime antroposofiche
118/119/120 – 1°

M

Facciamoci coraggio, perché la lettera che affronteremo stasera, La missione di Michele nell’epoca della libertà umana (16 novembre 1924), è particolarmente difficile (dice Unger: “Ciò che segue nella lettera è formulato in modo molto difficile. Possiamo dire con Capesius: “Cento volte ho letto le parole che seguono…””) (1).
Cominciamo dunque a leggere, e che il Signore ci assista.

Quando ci accostiamo con l’esperienza spirituale all’azione che Michele svolge nel nostro tempo, con la scienza dello spirito troviamo la possibilità di illuminarci intorno all’essenza cosmica della libertà.
Ciò non si riferisce alla mia
Filosofia della libertà. Questa procede da forze conoscitive puramente umane, quando esse siano in grado di portarsi nel campo dello spirito. Per conoscere ciò che viene conosciuto attraverso il mio libro, non è ancora necessario accostarsi ad esseri di altri mondi. Si può dire però che la Filosofia della libertà ci prepara a conoscere intorno alla libertà quello che poi possiamo sperimentare accostandoci spiritualmente a Michele; e cioè quello che segue” (p. 95).

Abbiamo infatti detto, una sera (massima 111), che La filosofia della libertà è Il mistero di Michele dal punto di vista umano, mentre Il mistero di Michele è La filosofia della libertà dal punto di vista cosmico.

Se veramente la libertà deve vivere nell’azione umana, ciò che viene compiuto nella luce della libertà non deve per nulla dipendere dall’organizzazione fisica ed eterica dell’uomo. L’azione “libera” può compiersi soltanto partendo dall’”io”; e il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io, per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico” (p. 95).

Come Mida trasformava tutto ciò che toccava in oro, così l’ego trasforma tutto ciò che pensa in “oggetto”, e perciò si domanda: “che cos’è la libertà?”, e non (come si dovrebbe) “chi è la libertà?”.
“L’azione “libera” può compiersi soltanto partendo dall’”io””, poiché l’Io stesso è la libertà o lo “spirito libero”.
L’Io è dunque la libertà, mentre il corpo astrale è il regno delle idee quali “cause”. Abbiamo appunto detto, a suo tempo (massima 20), che lo spirito (l’Io) è la libertà, mentre il corpo astrale è il corpo causale, che il primo sceglie e pone perciò le cause (residenti nel secondo), e che dalle cause così poste discendono i relativi e necessari effetti.
E’ per questo che “il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io” (così come, ad esempio, le corde di una chitarra vibrano “all’unisono” col tocco del chitarrista), “per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico” (è a questi livelli esistenziali che si danno infatti i comportamenti o le azioni: vale a dire, i necessari effetti delle cause liberamente poste dall’Io).

– Questo è però solo un lato del fenomeno. L’altro lato diventa comprensibile appunto in relazione con la missione di Michele. Ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico. Se questo accadesse, l’uomo dovrebbe interamente deviare da ciò che egli è divenuto, nelle tappe della sua evoluzione, sotto l’influsso dell’ e n t i t à divino-spirituale e della m a n i f e s t a z i o n e divino-spirituale” (pp. 95-96).

Una delle maggiori difficoltà che presenta questa lettera risiede proprio in questo passo. A prima vista, infatti, l’asserzione che “il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io, per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico” e l’asserzione che “ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico” sembrano contraddirsi. Proverò a spiegare perché non è così.
Vedete, siamo un Io, e abbiamo un corpo astrale, un corpo eterico e un corpo fisico. L’Io (che siamo) non deve permettere che, in luogo del suo libero volere, agisca il necessario volere della sua natura (karmica). Quando questo accade, l’agire non è più “suo”, ma dell’animale, del vegetale o del minerale che sono in lui.
Dovremmo dunque prendere le distanze dalla nostra natura. Ma una volta prese queste distanze, e realizzata la libertà “da”, che cos’altro dovremmo fare? E’ presto detto: dovremmo realizzare la libertà “per” (o libertà “positiva”), trasformando così la nostra natura: ossia, il corpo astrale nel “Sé spirituale”, il corpo eterico nello “Spirito vitale” e il corpo fisico nell’”Uomo spirituale”.
E in qual modo? Servendoci della libertà (“da”), già conquistata, non per agire direttamente sulla nostra natura, ma per agirvi indirettamente, ri-allacciando un rapporto con le entità della terza, della seconda e della prima Gerarchia rispettivamente attive, come abbiamo visto, nel corpo astrale, nel corpo eterico e nel corpo fisico.
Possiamo infatti trasformare e redimere la nostra natura solo entrando in rapporto con tali entità (sviluppando superiori gradi di coscienza), così da poter raccogliere in alto (nello spirito) le forze che ci occorrono per modificare quanto è in basso (nella natura).
Vi ho già letto, una sera (massima 42), un passo di una conferenza di Steiner, pubblicata (insieme ad altre tre) in Parsifal e Amfortas. Ve lo rileggo, insieme ad altri passi: “L’ascesi esteriore, l’allenamento esteriore appartengono più alla natura dell’Iniziazione antica, mentre l’Iniziazione moderna guarda molto di più all’evoluzione immediata dell’anima stessa: richiede che l’anima sviluppi forti energie appunto nella sua interiorità. Le circostanze esteriori sono tali che solo nel corso dei tempi i morti sedimenti della natura umana, causa oggi di profonda inquietudine per l’Iniziato, potranno essere superati; per questo bisogna riconoscere che nella nostra epoca ed ancora nell’avvenire, vi saranno indubbiamente molte nature – simili a quella di Goethe – che con una parte del loro essere ascenderanno molto in alto, mentre con l’altra rimarranno legate all’”umano troppo umano”. Nature che, nelle loro incarnazioni precedenti, non avevano affatto questo carattere singolare, al contrario manifestavano una certa armonia tra l’interiore e l’esteriore. Queste potranno essere proiettate nelle nuove incarnazioni dove si rivelerà una profonda disarmonia tra l’essere interiore e l’essere esteriore”.
“Nella nostra epoca ed ancora nell’avvenire”, vi saranno dunque molte nature che riveleranno “una profonda disarmonia tra l’essere interiore e l’essere esteriore”, giacché “con una parte del loro essere ascenderanno molto in alto, mentre con l’altra rimarranno legate all’”umano troppo umano””: vi saranno cioè numerose nature “ambivalenti” o “contraddittorie”, che dovranno avere la forza e il coraggio di sopportare questo loro stato contingente (nonché il biasimo degli immancabili moralisti), resistendo alla tentazione di far agire, come dice Steiner, ciò che sperimentano nella libertà (“da”) sul loro corpo eterico e sul loro corpo fisico.
Se dovessero cedere a tale tentazione (ch’è quella, detta in soldoni, del “faso tuto mi”), non trasformerebbero infatti “l’umano troppo umano”, ma si limiterebbero a nasconderlo o reprimerlo, divenendo così, volenti o nolenti, dei “sepolcri imbiancati”.
“Coloro che conoscono i misteri dell’incarnazione umana – continua Steiner – non si sentiranno turbati da questa disarmonia, perché quando simili casi aumenteranno, si svilupperà anche il discernimento degli uomini, e con ciò verrà a cessare l’antico principio autoritario (…) Così, nell’epoca moderna, la natura umana può essere ancora una “doppia natura”. Nelle forze che riguardano in speciale modo l’anima cosciente, l’uomo deve accogliere saggezza, conoscenza spirituale. Deve superare i due ostacoli attraversati da Parsifal: deve vincere “l’ottusità e il dubbio” nella sua anima, perché, se dovesse portare con sé ottusità e dubbio nell’incarnazione successiva, non potrebbe orientarsi nel modo giusto. È necessario che l’uomo sappia che cosa sono i mondi spirituali. Solo quando l’anima umana si sarà compenetrata di quella vita che Wolfram von Eschenbach chiama Saelde – la gioia della conoscenza spirituale nell’anima cosciente – solo allora potrà passare in modo davvero fecondo dalla quinta epoca alla sesta”.
E’ di questo, dunque, che dovremmo preoccuparci. Il solo lamentare le proprie debolezze, i propri difetti, le proprie miserie o le proprie colpe, può infatti celare il massimo egoismo, giacché in tanto ci si lamenta in quanto si ambirebbe essere, per natura, di ben altra fatta.
“Non ha importanza – conclude Steiner – se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’”umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito. Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale: quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal” (2).
Dobbiamo dunque imparare a portare la croce della nostra natura, nella certezza che, muovendo nella giusta direzione, arriveremo un giorno a liberarla e redimerla.
Ne Le metamorfosi (L’asino d’oro) (3) di Apuleio, Lucio, il protagonista, viene trasformato in un asino: nell’asino ch’è in ognuno di noi (e che il Cristo-Gesù cavalca entrando in Gerusalemme).
Siamo perciò, a un tempo, cavalieri (Io) e asini (ego); e com’è bene evitare che l’asino disarcioni il cavaliere, così è bene evitare che il cavaliere si disfi dell’asino, perché gli crea imbarazzo, gli dà fastidio o ne prova vergogna (perché costituisce, direbbero gli psicoanalisti, una “ferita narcisistica”).
Fatto sta che per creare e ricreare incessantemente un sano equilibrio tra il cavaliere e l’asino occorrono umiltà, pazienza, saggezza e benevolenza.
Una volta, rivolto alla mia immagine nello specchio, mi venne da dire: “Io non sono te, ma è grazie a te che so di me”.
Non dobbiamo dunque abbandonare l’ego (e la natura con cui è identificato), giacché gli siamo debitori della nostra prima forma di autocoscienza.
E’ questo, del resto, che raccomanda il “Grande guardiano della soglia”: cioè colui che ha a cuore non solo tutti gli ego, ma l’intera creazione.
Ricordate le parole con cui si rivolge alla nostra anima? “Fino ad ora hai liberato soltanto te stessa; ora, da libera, puoi lavorare alla liberazione di tutti i tuoi compagni del mondo sensibile” (4).
Nessuno, spiega infatti Steiner, “deve chiedere agli occultisti della via bianca che si prestino a fornirgli istruzioni per lo sviluppo del suo io egoistico. La beatitudine del singolo non li interessa affatto. Ognuno è libero di procurarsela a volontà (…) Questi si interessano unicamente dell’evoluzione e della liberazione di tutti gli esseri che siano uomini o compagni degli uomini. Perciò essi danno soltanto indicazioni atte a sviluppare forze per collaborare a tale opera “ (5).
Che cosa significa, dunque, per tornare alla nostra massima, che “ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico”? Significa che un’azione diretta della libertà “da” (vuota, sia di natura, sia di spirito vivente) sul corpo eterico-fisico potrebbe soltanto generare una sinistra imitazione dello “spirito libero” (o, come amava dire Scaligero, una “recitazione” spirituale).
Sapete che cosa si diceva, un tempo, quando si aveva profonda dimestichezza con la realtà spirituale? Che il diavolo ha “tutte le virtù”.
Un conto sono infatti le virtù (qualità), altro il soggetto (l’Io o lo spirito) che le ha (basti pensare a Robespierre, il cosiddetto ”incorruttibile”).

Quello che l’uomo sperimenta attraverso ciò che è soltanto o p e r a c o m p i u t a divino-spirituale attorno a lui, deve esercitare un’influenza soltanto sul suo spirito (sul suo io). Sulla sua organizzazione fisica ed eterica può esercitare un’influenza solo ciò che, di quanto ha avuto il suo principio nell’”entità” e nella “manifestazione” del divino-spirituale, non continua, nella corrente evolutiva, nel mondo che circonda l’uomo, ma entro la sua stessa entità. Nell’entità umana ciò non deve affatto collaborare con quello che vive nell’elemento della libertà“.

Disegniamo una semicirconferenza, individuandovi sette punti equidistanti tra loro. Poniamo poi in corrispondenza del punto 1 l’Entità divino-spirituale, del punto 2 la manifestazione, del punto 3 l’effetto operante, del punto 4 l’opera compiuta, del punto 5 Michele (il novello e vivo “effetto operante”), del punto 6 la Vergine-Sophia (la novella “manifestazione”), del punto 7 il Cristo (la novella “Entità divino-spirituale”).
Il quarto di circonferenza che va dal punto 1 al punto 4 (dall’Entità divino-spirituale all’opera compiuta) rappresenterà così il processo discendente della creazione (e della caduta), mentre quello che va dal punto 4 al punto 7 (dall’opera compiuta al Cristo) rappresenterà il processo ascendente della ri-creazione e della redenzione (la “Buona Novella”).
Notiamo che il punto 1 (sulla sinistra) corrisponde al punto 7 (sulla destra), il punto 2 al punto 6 e il punto 3 al punto 5, e che nel centro, ossia nel punto 4 dell’opera compiuta (dell’ego e del presente), in virtù dell’incarnazione del Logos (chiave di volta dell’intera evoluzione terrena e umana), finisce il processo discendente del passato e comincia quello ascendente del futuro.

Spero che questa figura aiuti a comprendere, vuoi il passo che abbiamo or ora letto, vuoi l’intera lettera.
Abbiamo appena visto, infatti, che in ciascuno di noi il passato (che va dal punto 1 al punto 4) deve esercitare un’influenza solo sull’Io (sull’ego), mentre il futuro (che va dal punto 4 al punto 7) può esercitare un’influenza sulla nostra natura, senza però “collaborare” con l’Io (con l’ego, soggetto della libertà “da”).
Per capire quest’ultima affermazione, riprendiamo la nostra figura e tracciamo una freccia (a) che risale dal punto 4 al punto 5, un’altra (b) che discende dal punto 6 al punto 5, e un’altra ancora (c) che discende dal punto 7 al punto 6.
Abbiamo detto che il primo quarto di circonferenza (14) rappresenta il movimento discendente della creazione, mentre il secondo (47) rappresenta quello ascendente della ri-creazione: per quale ragione abbiamo allora distinto, in quest’ultimo, una parte ascendente (freccia a) e due discendenti (frecce b e c)? Perché la parte ascendente rappresenta il movimento della “libera volontà pensante” con il quale l’Io (l’ego) si porta incontro e si unisce a Michele (veicolo, come abbiamo detto, dell’etere della vita e dell’etere del suono, ossia degli eteri più “alti” operanti sugli elementi più “bassi”: terra e acqua), mentre la prima delle due discendenti (b) rappresenta il movimento (animico) discendente della grazia della Vergine-Sophia (“Ave Maria, piena di grazia …”), e la seconda (c) rappresenta il movimento (spirituale) discendente della grazia del Cristo (“E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come d’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità” – Gv 1,14).
Ora che cosa accadrebbe se il movimento della grazia, anziché attendere che si sia liberamente raggiunta (con l’aiuto di Michele) la soglia (Janua Coeli), la varcasse e discendesse fino al livello (dell’opera compiuta) in cui l’ego “vive nell’elemento della libertà” (“da”)? E’ presto detto: che verrebbe annullata la nostra libertà.
(Avendo presente che “la via del cuore passa per la testa”, e quanto viene detto ne L’iniziazione, potremmo collocare, nel punto 5, il cakra a due petali della fronte, nel punto 6, il cakra a sedici petali della laringe e, nel punto 7, il cakra a dodici petali del cuore. Riguardo al moto che va dal punto 4 (del pensiero vincolato ai sensi) al punto 5 (del pensiero libero dai sensi), Scaligero scrive: “Il primo moto verso l’ètere del cuore nasce nell’ètere del pensiero liberato: questa è la chiave” (6). Potrebbe anche valere, al riguardo, quanto scrive Steiner, nella Cronaca dell’Akasha, riferendosi agli Atlanti: “Pel suo valore personale l’uomo a poco a poco si rende atto all’iniziazione; egli deve, prima, sviluppare le proprie forze, da sotto in su, perché poi gli possa venir conferita l’illuminazione dall’alto” [7].)
Pensate alla morale. Come la si concepisce normalmente? In modo vetero-testamentario, come legge: è Mosè ad aver dato infatti la Legge, ed è il Cristo ad aver dato invece la grazia.
E che cos’è la grazia? E’ la capacità (spiega Steiner) di fare il bene, non perché lo si “deve” (come vuole la Legge), ma perché si “è” buoni, in quanto si è trasformata e spiritualizzata la propria natura (“Nel significato cristiano, la grazia è la facoltà dell’anima di compiere il bene per virtù della propria interiorità”) (8).
Fatto si è che la Legge, proveniente dal passato e scolpita nella pietra, è opera compiuta, mentre la grazia, proveniente dal futuro e fluente attraverso il cuore, è ciò che ci viene incontro (al di là della soglia) in virtù del novello e vivo “effetto operante” di Michele (“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” – Mt 5,17).
Sappiamo, del resto (grazie a La filosofia della libertà), che lo “spirito libero” non è condizionato dalle leggi naturali né da quelle morali.
Si è infatti non-liberi, moralmente, quando si attua non la propria volontà (la volontà dell’Io), ma la volontà di un altro Io: quando si attua cioè un dovere, e non un volere (riguardo al rapporto tra la volontà dell’Io e la volontà di Dio, ricordiamo ancora una volta queste parole del Pater Noster formulato da Steiner: “La Tua volontà sia attuata quale Tu l’hai posta nella nostra intima essenza”: per l’appunto, nell’Io).

Domanda: Ma la natura umana, in sostanza, è buona o cattiva?
Risposta: Gli ottimisti la considerano buona, i pessimisti la considerano cattiva. La considerano così perché entrambi la pensano come uno stato (immutabile), e non come un essere in divenire che, da buono (quale era stata creato), è diventato cattivo (in conseguenza della caduta), ma che, da cattivo (e bisognoso perciò della Legge), può tornare (in virtù dell’incarnazione del Logos) a essere buono (e non più bisognoso perciò della Legge).
Mi pare di aver già detto (parlando del libro dei Bastaire), che i tipi luciferici tendono a spiritualizzare la natura, mentre i tipi arimanici tendono a naturalizzare l’uomo. Ma che cosa vuol dire “naturalizzare” l’uomo? Vuol dire eliminare la moralità, giacché dire “moralità” vuol dire “libertà”, mentre dire “natura” vuol dire “necessità”.
Sapete, quando porto a spasso il cane, ogni tanto incontro qualcuno che si ferma, gli fa qualche carezza, e poi dice (da romanaccio): “so’ mejo questi de li cristiani”; al che di solito rispondo: “Certo, perché questi fanno i cani, mentre i cristiani non fanno i cristiani”.
Il problema, a ben vedere, è tutto qui. Il cane fa il cane perché è un cane e non può diventare nient’altro, mentre l’uomo non fa l’uomo (il cristiano), perché può diventare, vuoi ciò che è, vale a dire un uomo (un cristiano), vuoi qualcos’altro (direbbe Schiller, un “barbaro” o un “selvaggio”).

Questo è possibile soltanto per il fatto che Michele, dai lontani primordi dell’evoluzione, trasporta nel presente un elemento che collega l’uomo col divino-spirituale il quale, attualmente, non interviene più nella formazione fisica ed eterica. Nell’ambito della missione di Michele, si sviluppa così il terreno per una relazione, fra l’uomo e il mondo spirituale, che non tocca affatto il mondo naturale” (p. 96).

Qual è questo terreno? Quello del novello e vivo “effetto operante”, compreso, nella figura descritta in precedenza, tra il punto 4 (dell’opera compiuta) e il punto 5.
Missione di Michele è infatti quella di fare da mediatore (sensibile-sovrasensibile o essoterico-esoterico) “fra l’uomo e il mondo spirituale, che non tocca affatto il mondo naturale”: cioè a dire, fra l’opera compiuta e la “novella manifestazione” (punto 6), nonché la “novella Entità divino-spirituale” (punto 7).

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Di Lucio Russo
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