Massime antroposofiche
118/119/120 – 3°

M

Riprendiamo a leggere.

Una volta che sia esistente questo sentimento, si aggiungerà anche l’altro per il quale l’uomo, grazie al Cristo, si sentirà sollevato al di sopra della mera esistenza terrena, sentendosi uno col mondo stellare circostante la terra, e con tutto il divino-spirituale che può venir riconosciuto in quel mondo stellare.
Così è per la luce spirituale. L’uomo, prendendo coscienza di se stesso come individualità libera, può pienamente sentirsi nella propria entità umana. Nondimeno, un oscuramento vi si collega. Il divino-spirituale dei primordi non risplende più. Nella luce che il Cristo porta all’io umano, ricompare la luce primordiale
” (p. 98).

Torniamo per un attimo al libro di Alcaro. Scrive: “Nella natura, dunque, ci sono le cause efficienti, ma anche i fini. Accanto agli oggetti regolati dal meccanicismo si collocano gli organismi viventi con le loro cause finali. D’altronde, l’evoluzione biologica e la ricchezza delle specie viventi mostrano la straordinaria capacità inventiva della vita. La vita è creativa, anzi è creazione continua. E poiché la vita fa parte della natura, quest’ultima, almeno in uno dei suoi lati, è creativa, produttiva, inventiva. Non è dunque solo ripetizione, essa è anche invenzione e creazione del nuovo” (19).
Ci sono qui due equivoci. Il primo dovreste scoprirlo subito, rammentando quanto dice Steiner, ne La filosofia della libertà, riguardo ai “fini” della natura. Che cos’è un fine? E’ un’idea che s’intende realizzare, e che, una volta realizzata, cessa per ciò stesso di essere un fine (il fine – scrive Hegel – è “il concetto in relazione alla sua realizzazione, ossia alla sua oggettivazione”) (20).
Ebbene, la natura, in quanto opera compiuta, è per l’appunto un’idea realizzata (oggettivata), e quindi il regno non dei fini, ma della necessità.
Quanti si mostrano convinti, come Alcaro, che nella natura “ci sono le cause efficienti, ma anche i fini” altro dunque non fanno che scambiare per fine quell’essenza o entelechia che rende l’oggetto un’unità organica: ossia quell’idea che è nell’oggetto (in re), e non fuori di esso.
Il secondo equivoco è questo: la natura, in quanto sfera della necessità (ripensiamo, ancora una volta, al Principio di conservazione dell’energia), può essere ripetitiva, ma non “creativa, produttiva, inventiva”. Se fosse tale, non sarebbe possibile infatti scoprire, lo abbiamo detto, nemmeno una delle leggi (delle “costanti” o “invarianti”) che la governano (il WWF, ad esempio, dovrebbe cessare la sua attività, dal momento che le specie in via di estinzione verrebbero subito sostituite da quelle in via di creazione).
Ma torniamo a noi.
Dice Steiner: “L’uomo, prendendo coscienza di se stesso come individualità libera, può pienamente sentirsi nella propria entità umana. Nondimeno, un oscuramento vi si collega”.
Immaginiamo quattro individui che, per scavalcare un muro molto alto, montino l’uno sulle spalle dell’altro, così che l’ultimo riesca a farcela.
Questo, una volta passato dall’altra parte, non dovrebbe sentirsi in debito nei confronti degli altri tre, e quindi in dovere di fare qualcosa per aiutarli?
Il quarto, ovviamente, rappresenta l’essere umano, mentre gli altri tre rappresentano (nell’ordine) il regno animale, il regno vegetale e quello minerale.
Questi regni si sono infatti sacrificati, perché l’uomo potesse raggiungere la propria meta (scavalcando il muro della necessità e dell’incoscienza) e aiutarli così a emanciparsi dal loro stato.
L’uomo può però tradire questo compito, e lo sta purtroppo facendo. Credetemi, di fronte agli animali, ai vegetali e ai minerali, ci sarebbe da vergognarsi. Ricordate Cronin: E le stelle stanno a guardare (21)? Ma l’intera natura, e non solo le stelle, ci sta a guardare, nell’attesa di vederci finalmente fare quel che dovremmo fare: cioè gli “uomini”.
Dice Steiner: “Il divino-spirituale dei primordi non risplende più”; quale Sole è infatti sorto nell’uomo? Appunto quello ch’è tramontato nella natura.

In quell’intima comunanza col Cristo, l’anima tutta può venir illuminata, come da un sole, dall’idea beatificante che la primordiale splendida luce divina è ricomparsa, e nuovamente risplende, malgrado il suo splendore non provenga dalla natura. E l’uomo, nel presente, si unisce con le forze spirituali cosmiche illuminanti del passato, quando egli non era ancora una libera individualità. E in questa luce egli può trovare le vie che nel giusto modo guidano la sua entità umana, purché con comprensione egli si colleghi nell’anima sua con la missione di Michele” (p.98).

Non si tratta, come qualcuno sembra credere, di “autoesaltazione” o di “egomania”, ma di senso di responsabilità: di un senso di responsabilità che non esalta, ma semmai mortifica. Non ho detto, poco fa, che di fronte agli animali, alle piante e ai minerali dovremmo vergognarci?
Fatto sta che la megalomania o l’egomania sono fenomeni psichici che riguardano l’ego, e non l’Io. Dobbiamo stare attenti, però, a non liberarci dell’ego liberandoci dell’Io (come vorrebbero gli avversari della modernità), giacché è nostro compito liberarci dell’ego per trovare l’Io.
Possiamo insomma ritrovare, quali libere individualità, le forze che ci guidavano quando non eravamo ancora delle libere individualità: ecco come il passato può diventare il futuro (“In un certo senso tutto l’avvenire è anche una ripetizione del passato. Non che le cose del passato si verifichino ancora una volta nella stessa maniera, ma in tempi futuri gli avvenimenti passati si ripetono in un altro senso”) (22).
Dice ancora Steiner: “E in questa luce egli può trovare le vie che nel giusto modo guidano la sua entità umana, purché con comprensione egli si colleghi nell’anima sua con la missione di Michele”.
Come ci si collega con comprensione con la missione di Michele? L’ho detto e ridetto: collegandosi “con comprensione” con il cuore pulsante de La filosofia della libertà, ch’è l’opera michaelita per eccellenza.
Ricordiamoci di queste parole di Steiner: “La via che conduce al pensiero libero dai sensi, per mezzo delle comunicazioni della scienza dello spirito, è completamente sicura. Ve ne è un’altra anche più sicura, e specialmente più esatta, sebbene sia per molti uomini più difficile. Essa è descritta nei miei libri Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo e La filosofia della libertà. Questi libri espongono i risultati a cui il pensiero umano può arrivare, quando invece di abbandonarsi alle impressioni del mondo esteriore fisico-sensibile, esso si concentra soltanto in se stesso. Soltanto il pensiero puro, come entità di per sé vivente, e non il pensiero rivolto solo ai ricordi di oggetti sensibili, esplica allora la sua attività nell’uomo. Nei libri sopra citati non vi è niente delle comunicazioni della scienza dello spirito; nondimeno in essi viene mostrato che il pensiero puro, concentrato in se stesso, può arrivare a spiegazioni della vita, del mondo e dell’uomo. Quei due libri rappresentano un gradino intermedio molto importante fra la conoscenza del mondo sensibile e quella del mondo spirituale [quello michaelita che va, nel nostro schema, dal punto 4 dell’opera compiuta al punto 5 del novello e vivo effetto operante], e offrono ciò che il pensiero può conseguire quando si eleva al di sopra dell’osservazione sensibile, sebbene ancora eviti l’accesso all’indagine spirituale. Chi fa agire questi libri su tutta la sua anima è già nel mondo spirituale; soltanto che questo gli si palesa come mondo del pensiero. Chi si sente capace di attraversare questo gradino intermedio, segue una via sicura, e può acquistarsi in tal modo un sentimento, riguardo al mondo superiore, che gli arrecherà i più bei frutti per l’intiero avvenire” (23).
Giorni fa, mi è capitato di leggere questo aforisma: “Abbiamo già la libertà del pensiero, adesso dovremmo avere il pensiero”.
Quello che ordinariamente abbiamo non è infatti il pensiero “reale” (del cuore), ma quello “apparente” della testa o della pancia.
Non sarebbe male leggere, a questo riguardo, un libricino di Clive Staples Lewis, intitolato: L’abolizione dell’uomo (24), il cui primo capitolo è dedicato appunto agli “Uomini senza petto”.

Domanda: Sarebbe giusto dire, ripensando allo schema, che, una volta raggiunta con Michele la soglia, cioè il punto 5, dobbiamo mutarci, da “attivi”, in “ricettivi”?
Risposta: Sarebbe giustissimo! Steiner dà infatti questo contenuto di meditazione: “Sentendo il bisogno della Tua grazia, / aprendo con tutte le mie forze / le porte dell’anima, / attendo, / Cristo luce del mondo, / la Tua illuminazione”, e spiega: “Alla domanda: come si può entrare nel mondo spirituale? Si può rispondere: ci si prepari rendendo il pensare e il sentire abili e malleabili, addestrando pensieri, sentimenti e sensazioni pieni di abnegazione. E poi attendere, attendere, attendere! Questa è la parola aurea: poter attendere nella calma dell’anima. Il mondo spirituale non si lascia conquistare se non rendendosene degni potendo sviluppare nella calma dell’anima un atteggiamento di attesa. Tutto dipende da questo” (25).

(…) Persistere nell’essere originario, voler conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo, volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà, in un mondo come l’attuale in cui tutto è predisposto per lo sviluppo della libertà umana, finisce per condurre l’uomo a Lucifero, il quale vorrebbe veder rinnegato il mondo attuale.
Abbandonarsi all’essere attuale, volere che domini soltanto la naturalezza del mondo raggiungibile dall’intelletto che si mantiene neutrale di fronte al bene, voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto, in questo mondo attuale nel quale l’evoluzione deve venir continuata in regioni più profonde dell’anima, perché in quelle superiori domina la libertà, finisce per condurre l’uomo ad Arimane, il quale vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale
” (p. 99).

Che cosa vuol dire “persistere nell’essere originario”? Vuol dire tremare “davanti al pieno uso della libertà”, e restare quindi legati al passato e alla tradizione, illudendosi così di “conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo”.
Pensate a Faust: cioè a dire, al rappresentante dell’anima cosciente. Non solo non evita il male, ma stringe perfino un patto col diavolo.
In Marlowe viene dannato, quale peccatore (26), in Pessoa viene sconfitto, quale “Intelligenza”, dalla “Vita” (27), in Goethe viene invece redento, quale uomo che mai ha smesso di cercare e lottare.
(Cantano gli Angeli [“volando in più alta atmosfera e portando la parte immortale di Faust”]: “Salvo è dal Malvagio questo nobile membro del mondo dei beati: “Noi possiamo redimere chi, sempre tendendo, si affatica”! E se poi anche l’Amore partecipa, dall’alto, al suo destino, la schiera beata gli va incontro con un affettuoso benvenuto” [28].)
Sarà il caso di rileggere questo passo di Parsifal e Amfortas: “Non ha importanza se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’”umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito. Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale: quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal”.
Abbiamo già visto che il “volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà”, vuol dire arrestarsi di fronte al rischio del male, e abbiamo già detto che si tratta di un rischio ch’è necessario, al pari di quello dell’errore, correre (dice Parsifal, in Wagner: “L’errore ed il dolor mi furon via”). Come l’errore, infatti, deve prima essere riconosciuto quale “errore”, e poi trasformato in verità, così il male deve essere prima riconosciuto quale “male”, e poi trasformato in bene.
In altre parole, dobbiamo imparare a “inalare” il male e, trasformandolo, a “esalare il bene”.
Ci vuole di certo coraggio, ma lo troveremo se non staremo solo a preoccuparci, egoisticamente, di assicurarci il paradiso (esistono le assicurazioni sulla vita o sull’al di qua, ma esistono anche le assicurazioni sulla morte o sull’al di là).
Ascoltate queste parole di Scaligero: “La bontà diviene un potere magico: comincia a essere veicolo del miracolo, perché scaturisce dall’idea pura. Questa bontà è in sostanza il risultato della più lucida intelligenza dell’uomo e del più elevato dominio di sé, perché ad essa conduce il pensiero che conquisti la propria trascendenza, cioè il proprio essere predialettico (…) La bontà esclude la paura, interviene nella vita come corrente trasformatrice della realtà. Il discepolo deve acquisire il coraggio di giungere a una simile bontà” (29).
Dice Steiner: “Abbandonarsi all’essere attuale, volere che domini soltanto la naturalezza del mondo raggiungibile dall’intelletto che si mantiene neutrale di fronte al bene, voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto, in questo mondo attuale nel quale l’evoluzione deve venir continuata in regioni più profonde dell’anima, perché in quelle superiori domina la libertà, finisce per condurre l’uomo ad Arimane, il quale vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale”.
Abbiamo già accennato alla filosofia del “disincanto” di Flores D’Arcais e a quella dell’”incanto” di Alcaro, osservando che la prima nasce da un incanto nei confronti di quanto è arimanico e da un disincanto nei confronti di quanto è luciferico, mentre la seconda nasce da un incanto nei confronti di quanto è luciferico e da un disincanto nei confronti di quanto è arimanico.
Né l’una, né l’altra nascono dunque da un incanto nei confronti del Cristo, e quindi di ciò ch’è realmente umano.
E sapete perché? Perché Arimane e Lucifero incantano (possiedono) inconsciamente, mentre il Cristo si unisce soltanto a chi gli schiuda, deliberatamente, le porte della propria anima (dice Paolo: “Dunque non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” – Gal 2,20).
Vi voglio fare un esempio di quanto si sia restii a far questo. Nel libro di cui vi ho parlato, Israel, riferendosi ai risultati raggiunti da una ricerca americana sull’effetto placebo, dice: “Un accanito spiritualista si fregherebbe le mani, osservando che si è finalmente dimostrato in modo positivo che una “sensazione psicologica”, ovvero un processo puramente psichico, mentale, è capace di determinare dei processi materiali concreti. Noi non ci addentriamo in queste dispute ontologiche, ma osserviamo che la cupidigia ideologica fa brutti scherzi, conducendo a discorsi che si fanno beffe non soltanto della logica ma persino del buon senso. Tanto è grande la spinta a strumentalizzare la ricerca alla dimostrazione di un’ontologia materialista” (30).
Ma per quale ragione, vista la spinta a strumentalizzare la ricerca per dimostrare “un’ontologia materialista”, solo “un accanito spiritualista” dovrebbe addentrarsi in queste dispute ontologiche, e non chiunque abbia semplicemente a cuore la realtà? C’è forse bisogno di essere un “accanito matematico” per sostenere che due più due fa quattro, e non cinque?
E’ vero che “l’intelletto si mantiene neutrale di fronte al bene”, ma altrettanto è vero che questa reticenza ad addentrarsi in dispute ontologiche è un autentico (ci perdoni Israel) “peccato di omissione”. Non è infatti “pilatesco” sostenere che non possiamo dire che quanto avviene nella mente dipende dal cervello, né che quanto avviene nel cervello dipende dalla mente?
Fatto sta che il “voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto” dà la stura alle idee più bizzarre e cervellotiche (per non dire “sinistre”).
Arimane, conclude Steiner, “vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale”: ad esempio, in uno spazio nel quale un cyborg o un androide (frutto della “robotica umanoide”) porta a spasso (si fa per dire) un cane robotico (di “razza” magari nipponica, tipo Aibo, Idog, Poo-chi o Dream DX).

Nelle regioni in cui l’uomo, rivolto al mondo esterno, guarda spiritualmente a Michele, e rivolto all’interiorità dell’anima, guarda spiritualmente al Cristo, prospera quella sicurezza dell’anima e dello spirito attraverso la quale l’uomo diverrà capace di percorrere la via cosmica che gli farà trovare, senza la perdita della sua origine, il suo vero e pieno compimento avvenire” (p. 99).

Lo abbiamo detto: l’uomo, guardando dentro di sé, deve vedere il Cristo, e non Lucifero; guardando fuori di sé, deve vedere Michele, e non Arimane.
Leggiamo adesso le massime.

118) “Può essere libera soltanto un’azione alla quale non cooperi, dentro o fuori dell’uomo, alcun processo naturale”.

119) “Di fronte a ciò sta polarmente opposto il fatto che, nel libero agire dell’individualità umana, venga represso in questa un processo naturale che nell’azione non libera avrebbe luogo e darebbe all’essere umano la configurazione che gli sarebbe cosmicamente predestinata“.

Sul fatto che il nostro libero agire comporti la repressione di un processo naturale, e che siamo perciò liberi non in virtù della natura, ma nonostante la natura (tanto che, per poter esercitare la libertà, dobbiamo annullarne l’attività), ci siamo soffermati quando ci siamo occupati, sia de La filosofia della libertà, sia di Antropologia. Vi rimando perciò a questi testi (31), e vado avanti.

120) “Questa configurazione, che non viene per via naturale all’uomo che vive nel suo essere all’unisono col presente e futuro stadio dell’evoluzione universale, gli viene invece per via spirituale attraverso il suo collegamento con Michele, grazie al quale l’uomo trova anche la via al Cristo“.

Nella fase evolutiva dell’antico Saturno, abbiamo ricevuto il corpo fisico, in quella dell’antico Sole, il corpo eterico, in quella dell’antica Luna, il corpo astrale e in quella terrena (nel corso della quale si è verificata la “caduta”), l’Io (Ex Deo nascimur).
E’ questa, potremmo dire, la configurazione del “vecchio Adamo”: cioè dell’Adamo che muore nel Cristo (In Christo morimur).
E quale sarà, allora, la “configurazione” del “nuovo Adamo”: ossia quella che ci è “cosmicamente predestinata” (Per Spiritum Sanctum reviviscimus)? Quella che sarà ri-creata dall’Io, in grazia del Cristo che lo inabita, trasformando, umanizzando o santificando, nell’ordine inverso, il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.

Note:

1) C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 264;
2) R.Steiner: Parsifal e Amfortas. I misteri dell’Oriente e del Cristianesimo – Tilopa, Roma 1983, p. 62, 64, 65;
3) cfr. L.Apuleio: Le metamorfosi (L’asino d’oro) e Sulla magia e in sua difesa (Apologia) – De Agostini, Novara 1964;
4) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 171;
5) ibid., p. 173;
6) M.Scaligero: Kundalini d’Occidente – Mediterranee, Roma 1988, p. 80;
7) R.Steiner: Cronaca dell’Akasha – Bocca, Milano-Roma 1953, p. 26;
8) R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, p. 71;
9) R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, pp. 154-155;
10) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, p. 243;
11) R.Steiner: La storia alla luce dell’antroposofia – Antroposofica, Milano 1982, pp. 140-141;
12) cfr. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982;
13) cfr. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni;
14) G.W.F.Hegel: Propedeutica filosofica – La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 87;
15) M.Scaligero: Tecniche della concentrazione interiore – Mediterranee, Roma 1985, p. 130;
16) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p.83;
17) M.Alcaro: Filosofie della natura – Manifestolibri, Roma 2006, p. 27;
18) cfr. Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio, 17 settembre 2008;
19) M.Alcaro: op. cit., pp. 213-214;
20) G.W.F. Hegel: op. cit., p. 115;
21) cfr. A.J.Cronin: E le stelle stanno a guardare – Bompiani, Milano 2001;
22) R.Steiner: L’Apocalisse – Antroposofica, Milano 1963, p. 135;
23) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, pp. 278-279;
24) cfr. C.S.Lewis: L’abolizione dell’uomo – Jaca Book, Milano 1979;
25) R.Steiner: Leggere occulto e ascoltare occulto – Antroposofica, Milano 2004, p. 14;
26) cfr. C.Marlowe: La tragica storia del dottor Fausto in Teatro – UTET, Torino 1969;
27) cfr. F.Pessoa: Faust – Einaudi, Torino 1991;
28) J.W.F.Goethe: Faust-Urfaust – UTET, Torino 1975, pp. 504-505;
29) M.Scaligero: Iside-Sophia. La Dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p. 18;
30) G.Israel: Chi sono i nemici della scienza? – Lindau, Torino 2008, p. 320 – cfr. anche La “malascienza” , 19 luglio 2008;
31) i corsi di studio su La filosofia della libertà e su Antropologia sono consultabili nel nostro “Osservatorio”.

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Di Lucio Russo
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