Massime antroposofiche
134/135/136 – 1°

M

Eccoci arrivati alla terza e ultima parte (della lettera: Davanti alle porte dell’anima cosciente), intitolata: Dolore di Michele riguardo all’evoluzione dell’umanità prima dell’epoca della sua attività terrestre (21 dicembre 1924).

Due parole prima di cominciare.
Ho detto, una sera (massima 29), che il problema fondamentale della conoscenza è rappresentato dai diversi gradi o livelli di coscienza, ossia da una realtà che non viene quasi mai presa in considerazione, e ho riportato queste parole di Steiner: “Oggi non sono ancora molti coloro che conoscono ciò che sempre più andrà diffondendosi nel mondo: la lotta tragica per la conoscenza”.
Sono trascorsi quasi novant’anni, ma “non sono ancora molti coloro che conoscono” questa “lotta tragica per la conoscenza”, e “non sono ancora molti”, perciò, coloro che sono in grado di capire, sentire e condividere il “dolore di Michele”, ch’è lo stesso della Vergine di cui Michele è il Cavaliere.
Se non è difficile infatti immaginare la Mater dolorosa ai piedi della croce (visibile) del Golgota (come ha fatto ad esempio Iacopone da Todi, nel suo celebre Stabat Mater), è difficile invece immaginarla ai piedi della croce (invisibile) sulla quale la nostra odierna cultura materialistica (soprattutto tecno-scientifica) continua a martoriare la Verità (dice Berdjaev, l’ho già ricordato: “Il cristianesimo è la religione della verità crocifissa”).
Si sappia, però, che nessuno può sperimentare la presenza e l’attività solare di Michele (e la realtà della Mater Gloriosa) senza aver prima sperimentato, nella propria anima, questo particolare e profondo dolore (per crucem ad lucem).
Afferma Steiner: “Non è possibile l’indagine superiore senza tragicità interiore, senza intimo patire”; e aggiunge: “La frivolezza del nostro tempo in questo campo è tanto grande da prendere tutto alla leggera. La si può veder emergere di continuo dappertutto, ma se ne può notare tutto l’orrore se si è vigili a sufficienza e se i cuori sono abbastanza accesi per la sacralità delle verità spirituali” (1).
Ascoltate anche queste parole, trovate dopo la sua morte su un blocco di appunti:
“Vorrei accendere tutti gli uomini / allo spirito del cosmo / perché divengano fiamme e dal loro cuore / facciano scaturire il fuoco … / Gli altri vorrebbero nell’acqua del mondo / annegare le fiamme / perché tutto marcisca / e imputridisca in se stesso. / O gioia se la fiamma umana si sveglia / là dove dorme ancora! / O dolore amaro se l’essere umano / è in catene mentre vorrebbe avanzare!” (2).

Nell’ulteriore progresso dell’epoca dell’anima cosciente va dileguandosi sempre più la possibilità di un collegamento di Michele con la generale entità umana. In questa penetra l’intellettualità umanizzata, e vi scompaiono le rappresentazioni immaginative, capaci di mostrare all’uomo l’intelligenza del cosmo nella sua essenza. Soltanto nell’ultimo terzo del secolo diciannovesimo comincia per Michele la possibilità di accostarsi all’uomo. Prima di allora tale avvicinamento poteva venire soltanto seguendo le vie del rosicrucianesimo puro” (p. 131).

Volete un esempio del fatto che “l’intellettualità umanizzata” si sforza invano di sopperire alle scomparse “rappresentazioni immaginative, capaci di mostrare all’uomo l’intelligenza del cosmo nella sua essenza”?
Bene, allora vi leggo questa “noterella”, pubblicata dall’Osservatorio scientifico-spirituale:
“Il settimanale Tempi dedica l’editoriale al “discorso spettacolare” pronunciato da Benedetto XVI al cospetto del “fior fiore dell’intellighentsia europea” (lo scorso 12 settembre, al “Collège des Bernardins” di Parigi), mettendone in risalto (graficamente) il seguente passo: “Un Dio soltanto pensato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti: Egli si è mostrato. E adesso è aperta la porta verso di Lui”.
A noi sembra, però, che anche il Dio che “si è mostrato” non sia, per l’uomo moderno, che un “Dio soltanto pensato”, poiché “si è mostrato” nel passato ad altri, ma non si mostra oggi a lui (tant’è che viene esortato ad avere fede in chi gli dice che “si è mostrato”).
Non basta, infatti, che un Dio si mostri, ci vuole anche un uomo che sia in grado di vederlo. E l’uomo moderno non ne è in grado, poiché sa vedere soltanto quanto gli mostrano i sensi (fisici).
Se è perciò aperta, grazie al Cristo, la “porta” che va da Dio verso l’uomo, è ancora chiusa, invece, quella che va dall’uomo verso Dio (“La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno ricevuta […] La luce, quella vera, che illumina ogni uomo, veniva nel mondo. Era nel mondo, e il mondo fu creato per mezzo di Lui, ma il mondo non Lo conobbe. Venne in casa Sua, e i Suoi non lo ricevettero”). L’uomo moderno è capace infatti di tramandare il ricordo di un Dio che “si è mostrato” o di pensare astrattamente un Dio che si mostra, ma non di percepirne la vita, l’anima e lo spirito (per “giungere” così “fino a Lui”).
E come potrebbe cominciare a percepirlo (dal momento che “un Dio soltanto pensato – secondo quanto afferma Benedetto XVI – non è un Dio”)? Cominciando – come ben sanno quanti conoscono l’insegnamento di Steiner – a liberare l’ordinario pensiero intellettuale dal vincolo dei sensi (fisici), superando così la sua astrattezza, il suo vuoto o il suo non-essere (che diviene tanto il non-essere dell’Io, quanto il non-essere di Dio)” (3).
Com’è vero, dunque, che il divino (l’”Io sono” divino) muove verso l’uomo (verso l’Io umano), così è vero che l’uomo deve muovere verso il divino. Questo movimento viene però tacciato di “gnosticismo” e condannato, perché lo si vorrebbe orientato, non in modo diretto verso il divino (a un primo livello, verso Michele), bensì in modo indiretto (e fideistico) verso l’Istituzione (la Chiesa) che dichiara di rappresentarlo e mediarlo.

Col suo nascente intelletto l’uomo guarda la natura. Vi scorge un mondo fisico e un mondo eterico nei quali egli non è contenuto. Attraverso le grandi idee di Copernico, di Galileo, egli acquista un’immagine del mondo extraumano [della natura] ; ma perde l’immagine sua propria. Guarda a se stesso, e non ha la possibilità di arrivare a vedere che cosa egli sia” (p. 131).

Perché siamo qui riuniti a studiare l’antroposofia? Per avere appunto “la possibilità di arrivare a vedere che cosa” siamo, o per prendere coscienza della nostra umanità (“Ciò che riceviamo dall’antroposofia, – dice Steiner – è l’essenza di noi stessi”) (4).

Nelle profondità del suo essere viene risvegliato in lui ciò che è destinato a portare la sua intelligenza. Con quello si unisce il suo io. Così l’uomo porta ora in sé una triplice essenza. In primo luogo nel suo essere spirituale-animico, apparente come elemento fisico-eterico, porta ciò che un tempo, fin dall’epoca di Saturno e del Sole e poi sempre di nuovo, lo collocava nel regno del divino-spirituale. È l’elemento in cui l’entità umana e l’entità di Michele possono andare unite” (pp. 131-132).

Il primo elemento di questa “triplice essenza” è costituito dallo spirituale originario (dall’Entità-Io), “apparente” come corpo fisico durante l’evoluzione dell’antico-Saturno, e dall’animico originario (dalla manifestazione-astrale), “apparente” come corpo eterico durante l’evoluzione dell’antico-Sole.
In tale elemento, “l’entità umana e l’entità di Michele possono andare unite”.

In secondo luogo l’uomo porta in sé la natura fisica ed eterica quale si sviluppò più tardi, durante l’epoca lunare e l’epoca terrestre. Tutto ciò è opera compiuta ed effetto operante del divino-spirituale, ma questo non vi è più presente in modo vivo.
Ritorna ad esservi presente, in modo pienamente vivente soltanto quando il Cristo passa attraverso il mistero del Golgota. In ciò che agisce spiritualmente nel corpo fisico ed eterico dell’uomo può venir trovato il Cristo
”.

Il secondo elemento è costituito, non più dallo spirituale-animico, apparente come elemento fisico-eterico, bensì dall’elemento eterico (dall’effetto operante) e da quello fisico (dall’opera compiuta), così come si sono sviluppati e separati dall’elemento animico-spirituale originario, “durante l’epoca lunare e l’epoca terrestre”.
Ascoltate: “Durante lo stato solare della Terra, in un remotissimo passato, l’uomo accolse in sé il suo corpo eterico, quale puro riflesso delle entità cosmiche della saggezza. Durante i successivi periodi di Luna e Terra il corpo eterico si è poi modificato, diventando ciò che è attualmente nell’essere umano” (5).
Riguardo al fatto che “in ciò che agisce spiritualmente nel corpo fisico ed eterico dell’uomo può venir trovato il Cristo”, non posso far di meglio che leggervi alcuni passi di questa conferenza, tenuta da Steiner, a Dornach, il 7 maggio 1923, intitolata: Ascensione e Pentecoste.
“Il centro dell’evoluzione della terra sta alla metà dell’epoca atlantica; cosicché al presente la terra ha già superato il suo culmine, il vero centro della sua evoluzione. La terra si trova dunque già in un’evoluzione discendente, e dobbiamo perciò assolutamente tener conto, nella nostra epoca, di questo fatto (…) In quanto la terra si trova in una fase discendente della sua evoluzione, anche il corpo fisico umano attraversa assolutamente un’evoluzione discendente (…) In quanto uomini, noi siamo costituiti in modo che il nostro corpo fisico soggiace alla gravità terrestre, e il nostro corpo eterico alla lievità solare. Il corpo eterico cerca continuamente di fuggire verso il sole. Se dunque il corpo fisico umano fosse divenuto quale sarebbe dovuto diventare senza il mistero del Golgota, allora i corpi eterici umani avrebbero appunto seguito il loro impulso verso il sole (…) Ed ora ci si rappresenti l’immagine dell’Ascensione: davanti agli occhi animici dei discepoli, il Cristo si solleva verso l’alto. Ossia, davanti all’anima dei discepoli appare l’immagine dell’eterico umano, tendente verso l’alto, che si congiunge con la forza del Cristo, con l’impulso del Cristo. Ai discepoli si rivela che l’uomo, al tempo del mistero del Golgota, correva il pericolo di vedere il proprio corpo eterico dirigersi su alle nuvole, verso il sole, e che il Cristo invece tratteneva quel che in tal modo tendeva verso il sole (…) Il mistero del Golgota è la salvazione della corporeità fisica dell’umanità, indifferentemente da quanto gli uomini credano o non credano (…) Il mistero del Golgota ha avuto luogo per portare nuove forze al corpo fisico umano; per rinnovare in certo modo l’umanità sulla terra, per rinvigorirla quel tanto che le era necessario (…) Ora, l’impulso del Cristo deve avere il suo significato non solo per la corporeità dell’uomo, ma anche per la sua spiritualità. Essa si estende al fisico-eterico, ma non potrebbe estendersi anche all’animico-spirituale dell’uomo, se l’anima umana non sviluppasse la conoscenza di questo impulso del Cristo (…) Affinché ciò potesse avvenire, il Cristo compì ulteriormente l’azione del Golgota. E la compì in modo tale, che appunto dieci giorni dopo l’evento dell’Ascensione, egli diede agli uomini la possibilità di compenetrarsi con l’impulso del Cristo anche nella loro interiorità animico-spirituale, nell’io e nel corpo astrale. Questa è l’immagine della festa di Pentecoste: il compenetrarsi dell’animico-spirituale con la comprensione del mistero del Golgota, il discendere dello Spirito Santo. Il Cristo compì l’opera sua per tutta l’umanità. Ma al singolo uomo che deve comprendere quest’azione del Cristo, al singolo individuo umano, egli ha mandato lo Spirito Santo, affinché l’animico-spirituale dell’uomo trovi accesso all’azione del Cristo compiuta per l’umanità in generale (…) L’immagine dell’Ascensione ci dice che l’evento del Golgota è stato compiuto per il fisico e per l’eterico dell’umanità presa nel suo complesso. Il singolo uomo deve farla fruttificare per sé, accogliendo lo Spirito Santo. In tal modo l’impulso del Cristo diventa individuale per ogni singolo uomo (…) Il mistero del Golgota infatti ha avuto luogo, per tutti gli uomini, solo per quanto riguarda il corpo fisico e il corpo eterico. La discesa dello Spirito Santo, il mistero della Pentecoste, testimoniano invece che l’animico e lo spirituale dell’uomo possono partecipare ai frutti del mistero del Golgota, solo se l’uomo si innalza al riconoscimento del vero significato del mistero del Golgota”.
Sappiamo, dalla Cronaca dell’Akasha (6), che all’epoca atlantica (la quarta qui ricordata da Steiner), preceduta dall’epoca polare, dall’epoca iperborea e da quella lemurica, ha fatto seguito la nostra (la quinta), che sarà seguita, a sua volta, da altre due (la sesta e la settima).
Dice Steiner: “Il centro dell’evoluzione della terra sta alla metà dell’epoca atlantica; cosicché al presente la terra ha già superato il suo culmine, il vero centro della sua evoluzione”.
E’ quindi a metà dell’epoca di mezzo (la quarta) che si esaurisce la spinta evolutiva fornita all’umanità sull’antico-Saturno. “Tutto ciò che ha ricevuto la sua prima disposizione nel corpo di calore di Saturno – precisa infatti – ha finito di svilupparsi”.
L’impulso del Cristo, ossia del Figlio di Dio, rinnova dunque questa spinta, per tutta l’umanità, nella sfera incosciente del corpo fisico e del corpo eterico, ma attende che ciascuno di noi, per libera iniziativa e in grazia delle mediazioni di Michele, della Vergine e dello Spirito Santo, la faccia propria nella sfera cosciente del corpo astrale e dell’Io, ossia nella sfera del Figlio dell’uomo (“Il figlio dell’uomo è l’io e il corpo astrale, in quanto nati nel corso dell’evoluzione dal corpo fisico e dal corpo eterico”) (7).

In terzo luogo, l’uomo ha in sé quella parte del suo essere spirituale-animico che ha assunto nuova natura durante l’epoca lunare e terrestre. In questa parte Michele è rimasto attivo, mentre nell’altra, rivolta alla Luna e alla Terra, egli è divenuto sempre più inattivo. In questa parte è Michele che ha conservato all’uomo la sua immagine umano-divina.
Egli poté farlo fino al sorgere dell’epoca dell’anima cosciente. Poi, in certo modo, il complessivo elemento spirituale-animico dell’uomo si immerse nel fisico-eterico, per estrarne l’anima cosciente
” (p. 132).

Nel terzo elemento della ”triplice essenza” umana si distinguono dunque due parti: una (evolutasi “durante l’epoca lunare e terrestre”) in cui “Michele è rimasto attivo”; l’altra (“rivolta alla Luna e alla Terra”),in cui è invece “divenuto sempre più inattivo”.
Disponiamo infatti di un elemento fisico-eterico rinnovato o redento dal Cristo, ma siamo al contempo portatori, sia di un elemento animico-spirituale vincolato al fisico-eterico del “vecchio Adamo” (in cui Michele “è divenuto sempre più inattivo”), sia di un elemento animico-spirituale vincolato al fisico-eterico del “nuovo Adamo” (in cui Michele “è rimasto attivo”).
Qual è dunque il primo? Quello della coscienza ordinaria e dell’ego, legati ai sensi (al “vecchio Adamo”); e qual è il secondo? Quello dei gradi della coscienza superiore e dell’Io, liberi dai sensi. E’ in questa sfera, infatti, che Michele “ha conservato all’uomo la sua immagine umano-divina”.

Domanda: In che cosa è consistita la cosiddetta “caduta”?
Risposta: Ricordi? Antico-Saturno: corpo fisico; antico Sole: corpo eterico; antica Luna: corpo astrale; Terra: Io.
Ebbene, Lucifero (nel corso dell’epoca lemurica) ha spinto, più del dovuto (più di quanto voluto, cioè, dalle entità creatrici), il neonato Io dentro il corpo astrale e il corpo l’astrale dentro il corpo eterico. Questa sua azione ha provocato la reazione di Arimane che ha spinto, più del dovuto (più di quanto voluto, cioè, dalle entità creatrici), il corpo fisico dentro il corpo eterico e il corpo eterico dentro il corpo astrale.
Come vedi, questi arti, destinati a godere di una relativa autonomia, pur rapportandosi tra loro, si sono venuti invece a mescolare e confondere, fino al punto di renderci esseri, come si usa dire, “tutti d’un pezzo”, nei quali l’Io è identificato col corpo astrale (con la psyché), il corpo astrale è identificato col corpo eterico (con la physis) e il corpo eterico è identificato col corpo fisico (con il sôma).
Se ciò ti è chiaro, ti sarà allora chiaro il perché, sulla via dell’iniziazione, si ponga il compito di allentare e sciogliere tali vincoli (significativamente ritenuti, dalla scienza materialistica, normali o naturali).
Scrive appunto Steiner: “Esperienze importanti durante l’ascesa ai mondi superiori sono gli incontri con il “guardiano della soglia”. Essenzialmente ve ne sono due, uno “piccolo”, ed un altro “grande”. L’uomo incontra il primo, quando i fili che uniscono volontà, pensiero e sentimento cominciano a disciogliersi nei corpi più sottili (corpo astrale e corpo eterico) (…) L’uomo incontra il “grande guardiano della soglia”, quando lo scioglimento dei legami si estende fin nelle parti fisiche del corpo (e cioè soprattutto nel cervello)” (8).

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Di Lucio Russo
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