Massime antroposofiche
137/138/139 – 1°

M

Eccoci arrivati a questa lettera, intitolata: Pensieri di Natale: il mistero del Logos (28 dicembre 1924).

Nel corso dello studio sul mistero di Michele si inserisce anche quello sul mistero del Golgota. Ciò è dato dal fatto che Michele è la potenza che guida l’uomo, nel modo che gli è salutare, al Cristo” (p. 138).

Vedete, “nel modo che gli è salutare”. Si tratta infatti di un “modo” (di un “metodo” o di una “via”) che in tanto è “salutare” in quanto è graduale, e che in tanto è graduale in quanto è gerarchico: in quanto risale, cioè, dalla coscienza ordinaria (fisica) alla coscienza michaelita (eterica), dalla coscienza michaelita alla coscienza sofianica (astrale) e dalla coscienza sofianica alla coscienza cristica (Io).
Ascoltate quanto dice qui Steiner: “E’ facile dire: ciò che è conoscenza superiore deve sorgere nell’anima! Deve certamente sorgere nell’anima, ma vi può sorgere nella sua forma vera solo quando poniamo ogni sforzo, con pazienza e perseveranza, nell’imparare a conoscere, di gradino in gradino, i fenomeni reali del mondo fisico, e poi dietro ai fenomeni del mondo fisico, cerchiamo lo spirituale” (1).

Ma la missione di Michele è tale che nel divenire cosmico dell’umanità si ripete in successione ritmica. La si ebbe ripetutamente, con i suoi effetti benefici sull’umanità terrestre, prima del mistero del Golgota. Allora essa si riconnetteva con tutto ciò che, a favore dell’evoluzione dell’umanità, la forza ancora extraterrena del Cristo aveva da rivelare attivamente per la terra. Dopo il mistero del Golgota la missione di Michele si pone al servizio di ciò che, per mezzo del Cristo, deve accadere all’umanità terrena. Nelle sue ripetizioni appare sotto forma trasmutata e progrediente, ma tuttavia in ripetizioni” (p. 138).

Sappiamo che gli Arcangeli (Michael, Gabriel, Raphael, Anael, Samael, Uriel, Sachiel) si susseguono nella guida spirituale dell’umanità, così che quando l’ultimo ha esaurito il suo compito, il primo torna a svolgerne un altro.
Michele, che aveva svolto la sua ultima missione ai tempi di Aristotele (384-322 a.C.) e Alessandro Magno (356-323 a.C.), riprende la guida dell’evoluzione della coscienza e del pensiero umani nel 1879.
Ai tempi di Aristotele e Alessandro Magno, il Cristo era lo Spirito del Sole e non ancora della Terra, com’è divenuto invece a partire dal Mistero del Golgota. La nuova reggenza di Michele si trova pertanto ad affrontare un mondo radicalmente mutato, sia sul piano eterico-fisico, sia su quello animico-spirituale.

Di fronte a ciò, il mistero del Golgota sta come un evento cosmico che tutto trascende e che ha luogo un’ u n i c a volta nel corso di tutta l’evoluzione cosmica dell’umanità” (p. 138).

Le reggenze degli Arcangeli si susseguono ciclicamente; l’evento del Golgota ha invece “luogo un’unica volta”.

Soltanto da quando l’umanità è giunta fino allo sviluppo dell’anima razionale o affettiva, esiste pienamente il continuato pericolo del distaccarsi, già predisposto fin dai tempi primordiali, dell’essere umano dall’essere spirituale-divino.
E nella stessa misura in cui l’anima perde la facoltà di sperimentare insieme con le entità divino-spirituali, sorge intorno a lei tutto quello che oggi si chiama “natura”
” (p. 138).

La fase evolutiva dell’anima razionale-affettiva è una fase di transizione dall’anima senziente all’anima cosciente.
Ho già ricordato che il supporto dell’anima senziente è il corpo astrale, che il supporto dell’anima razionale-affettiva è il corpo eterico, e che quello dell’anima cosciente è il corpo fisico.
Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che l’uomo dell’anima senziente (mitica) si trova ancora al di sopra della soglia che divide il mondo animico-spirituale da quello eterico-fisico, mentre l’uomo dell’anima razionale-affettiva (filosofica), passando dal corpo astrale al corpo eterico, e quindi dalla sfera della manifestazione (dell’Entità divino-spirituale) a quella dell’effetto operante, varca la soglia, dando così un primo taglio al cordone che lo lega agli Dèi.
Muoiono così i miti e nascono i concetti, nasce il pensiero (Socrate). Questo passo avanti nella direzione della libertà (di quella libertà “da” che si consoliderà nel corso della successiva fase evolutiva dell’anima cosciente) comporta però il rischio che l’umanità possa perdersi: più si libera dagli Dèi, più si presta infatti a essere illusa e ingannata dalle forze luciferiche e arimaniche.
Teniamo presente che la parte “affettiva”, dell’anima razionale-affettiva, risente ancora dell’anima senziente, mentre quella “razionale” tende già verso l’anima cosciente. Si tratta quindi di un’anima, per così dire, “scissa”; lo si può vedere abbastanza bene se si pensa a Sant’Agostino e a San Tommaso, ai francescani e ai domenicani o ai platonici e agli aristotelici: ossia ai contrasti che insorgono tra quanti mettono (di fatto) al primo posto il sentimento e quanti vi mettono invece il pensiero. Il passaggio dall’anima razionale-affettiva all’anima cosciente comporta comunque lo spegnersi della vis immaginativa e l’accendersi di quella rappresentativa, che darà vita, come abbiamo visto, alla scienza naturale.

L’uomo non guarda più l’entità umana nel cosmo divino-spirituale, ma guarda nel terrestre l’opera compiuta del divino-spirituale”.

L’“opera compiuta del divino-spirituale” è la res extensa di Cartesio o, in una parola sola, l’oggetto.
La componente “razionale” dell’anima razionale-affettiva, badando in primo luogo al concetto, bada al pensiero e alla speculazione (metafisica), mentre l’anima cosciente, badando in primo luogo all’oggetto, bada alla percezione (sensibile) e alla scienza.
Ne è riprova il fatto che, nell’anima razionale-affettiva, prevale il “sentire nel pensare”, mentre, nell’anima cosciente, prevale il “volere nel pensare”: ossia una forza (d’amore) che spinge appunto il pensiero verso l’oggetto, verso l’altro o verso il mondo.

A tutta prima non la vede nella forma astratta in cui la si vede oggi: esseri e processi fisici sensibili, tenuti insieme da quei contenuti astratti di idee che si chiamano “leggi naturali”. L’uomo guarda l’opera compiuta ancora quale essere divino-spirituale. Tale essere divino-spirituale fluisce e rifluisce in tutto ciò che appare all’uomo come il nascere e morire dei viventi esseri animali, come il crescere e germogliare del mondo vegetale, come l’attività delle sorgenti e dei fiumi, come la formazione dei venti e delle nubi. Tutte le essenzialità e i processi che stanno attorno a lui, sono per l’uomo i gesti, le azioni, il linguaggio dell’essere divino che è alla base della “natura” ” (pp. 138-139).

Finché gode di una residua facoltà immaginativa, “l’uomo guarda l’opera compiuta ancora quale essere divino-spirituale” (come ad esempio i grandi maestri della scuola di Chartres o Brunetto Latini nel Tesoretto).
Allorché subentra invece la coscienza intellettuale o rappresentativa (vincolata ai sensi) guarda, non più ai gesti, alle azioni e al linguaggio dell’essere divino-spirituale, ma soltanto al suo cadavere o al suo scheletro, ch’è fatto appunto di oggetti, di fenomeni e di leggi naturali.

Come un tempo gli uomini vedevano le azioni, i gesti degli esseri divini universali nelle posizioni e nei movimenti delle stelle, come vi leggevano le loro parole, così ora i “fatti naturali” diventavano l’espressione della dea della terra, perché si rappresentava femminile la dea che opera nella natura.
Dei residui di questo modo di rappresentazione, quale contenuto immaginativo dell’anima razionale o affettiva, rimasero attivi nelle anime umane fin nel medioevo avanzato.
Gli uomini che avevano la conoscenza parlavano delle azioni della “dea” quando volevano far comprendere gli “avvenimenti naturali”. Fu soltanto col sorgere graduale dell’anima cosciente che divenne incomprensibile all’umanità questa maniera di osservazione viva, interiormente animata, della natura.
E il modo in cui nell’epoca dell’anima razionale o affettiva si guardava alla natura, ricorda il mito di Proserpina, con il mistero che ne stava alla base.
La figlia di Demetra, Proserpina, viene costretta dal dio degli inferi a seguirlo nel suo regno. La cosa, alla fine, avviene in modo che Proserpina passi soltanto metà dell’anno nel mondo degli inferi, e l’altra metà nel mondo superiore.
Con grandiosa potenza questo mito esprime ancora il modo in cui, in un passato remotissimo e con una chiaroveggenza di sogno, si penetrava conoscendo il divenire delle cose terrene
” (p. 139).

Vi voglio raccontare una cosa. Quando, agli inizi dei miei studi junghiani (grosso modo, tra il 1965 e il 1970), mi fu permesso di seguire (da semplice uditore) le lezioni di omeopatia del prof. Antonio Negro, scoprii che gli omeopati (in specie se “unicisti”), parlando tra di loro dei propri pazienti, usavano spesso chiamarli con i nomi dei farmaci. Si poteva sentir dire, ad esempio: “Ho in cura una Nux vomica, una Chamomilla, una Pulsatilla o un Natrum muriaticum”.
Perché questo? Perché i pazienti dei quali parlavano presentavano sintomi simili a quelli curati da quei farmaci.
La cosa mi colpì, perché anche nell’ambiente degli psicoterapeuti junghiani mi era capitato di sentir dire, che so: “Ho in cura un Puer, un Senex, un’Amazzone o una Madre-Strega”.
Dai medici omeopatici il paziente veniva dunque caratterizzato da un farmaco (dal cosiddetto simillimum), mentre dagli psicoterapeuti junghiani veniva caratterizzato da un archetipo.
In entrambi i casi, ma a livelli diversi, emergeva quindi un’attitudine immaginativa che sfociava in una “tipologia”.
Scrive a questo proposito Steiner: “Mentre nella scienza organica deve essere sempre tenuta d’occhio la generalità, l’idea del tipo, nelle scienze spirituali si deve invece tener ferma l’idea della individualità. Quello che importa qui non è l’idea quale si estrinseca nella generalità (tipo), ma quale si presenta nell’essere particolare (individuo)” (2).
Era dunque scorretto ciò che facevano gli omeopati e gli psicoterapeuti junghiani? No, non lo era, giacché è proprio quando il “tipo” (costituzionale, temperamentale, caratteriale) prende il sopravvento sull’individualità (sull’Io) che si instaura una patologia.
La difficoltà sta piuttosto nel fatto che a tutt’oggi i primi, ignorando la realtà del mondo eterico, non sanno spiegarsi l’efficacia dei loro farmaci, così come i secondi, ignorando la realtà del mondo animico-spirituale, non sanno spiegarsi la natura dei loro archetipi.
Un materialista di certo riderebbe di questi problemi; farebbe bene però a meditare queste parole del TAO-TÊ-CHING: “Il perfetto sapiente comprende la Via / E in essa saldamente si stabilisce / L’imperfetto sapiente comprende la Via / E ora la segue, ora la perde / Il sapiente d’infimo rango sentendo parlare della Via / Ride di essa / Se costui non ne ridesse la Via non sarebbe la Via…” (3).
Una cosa dunque, tornando a noi, è pensare la natura come una Dea (Proserpina/Persefone), altra pensarla come un casuale aggregato di atomi o di particelle elementari (in quanto s’ignorano gli esseri elementari).
(Che ne dite? Se Beethoven avesse sentito la natura come un casuale aggregato di atomi o di particelle elementari, avrebbe composto la sua sesta Sinfonia, la Pastorale?)
A proposito di Persefone, e a puro titolo d’informazione, vi leggo quanto dice questo Dizionario: “Ade, il dio degli Inferi, rapì Persefone e la condusse nel suo regno, con il consenso di Zeus. Demetra, dopo aver cercato a lungo sua figlia, andò a riprendersela. Poiché nel regno dei morti Persefone aveva mangiato i frutti di un albero di melograno, dovette trascorrere parte dell’anno agli Inferi: chi prende qualcosa da quel luogo, infatti, vi resta legato per sempre. Per il tempo restante ella poteva restare con sua madre e ciò diede luogo al succedersi delle stagioni. Persefone non è soltanto la divinità del mondo infernale: grazie al suo legame con Demetra, venne considerata anche dea della vegetazione” (4).

Nei tempi primordiali tutta l’attività universale partiva dall’àmbito circostante la terra. La terra stessa era appena sul nascere. Veniva formando l’essere suo nell’evoluzione cosmica, sotto l’azione di quanto le stava attorno. Gli esseri divino-spirituali del cosmo lavoravano attorno al suo essere.
Quando la terra fu giunta a tanto da diventare un corpo cosmico indipendente
[quando fu cioè separata prima dal Sole e poi dalla Luna], dal tutto universale scese allora su di essa spiritualità divina che divenne la divinità della terra. La chiaroveggenza sognante dell’umanità antica ha sperimentato e conosciuto questo fatto cosmico; e da questa conoscenza è rimasto il mito di Proserpina; ma ne è rimasto anche il modo in cui, fin nel medioevo inoltrato, si cercò di penetrare nella natura con la conoscenza, perché allora non vi si cercavano ancora, come più tardi, le impressioni dei sensi, cioè quanto appare alla superficie del mondo terrestre, ma vi si cercavano le forze che dalle profondità della terra agiscono verso la superficie. – E si vedevano queste “forze delle profondità”, queste “forze del mondo inferiore”, in reciproca azione con gli effetti delle stelle e degli elementi dell’ambiente terreno” (p. 140).

La “reciproca azione” tra le “forze delle profondità” o “forze del mondo inferiore” e “gli effetti delle stelle e degli elementi dell’ambiente terreno”, va pensata non solo in modo dinamico, ma anche qualitativo.
L’elemento dinamico (eterico) fa infatti da ponte tra l’elemento quantitativo (fisico) e quello qualitativo (astrale).
Possiamo perciò parlare di entità o di deità, ma anche di qualità: ossia di una realtà che viene del tutto ignorata dalla scienza contemporanea.
Questo ci ricorda, ancora una volta, che solo il pensiero vivente (eterico) può permetterci di attraversare la soglia e di affacciarci così sul mondo (astrale) delle qualità con la stessa lucidità con la quale ci affacciamo, grazie ai sensi, su quello della quantità.

Ivi le piante crescono nelle loro svariate forme, si manifestano nella loro apparenza multicolore. In tutto questo agiscono le forze del sole, della luna e delle stelle in unione con le forze delle profondità terrestri. Il fondamento viene dato dai minerali che già traggono interamente la loro natura dalle forze universali che sono diventate terrestri. Le rocce spuntano dal “mondo inferiore” solo per virtù delle forze celesti che sono divenute terrestri. Il mondo animale non ha invece accolto le forze della “profondità della terra”. Esso nasce soltanto dalle forze cosmiche che agiscono nell’ambiente terreno. Esso deve il divenire, nascere e crescere, la sua facoltà di nutrirsi e muoversi, alle forze solari fluenti sulla terra. Può riprodursi sotto l’influsso delle forze lunari fluenti sulla terra. Appare in molte forme e specie perché, dall’universo, le posizioni delle stelle agiscono nei modi più svariati sulla vita animale, conformandola. Gli animali sono però semplicemente collocati sulla terra, dal cosmo. Partecipano alla vita della terra soltanto con la loro coscienza ottusa; ma non sono esseri terrestri né per quanto riguarda la loro generazione e la loro crescita, né per tutto quello che sono, in quanto possono percepire e muoversi” (pp. 140-141).

Vi ho già confidato, una sera, che quando mi sento dire, come non di rado capita, che i cani o i gatti “so’ mejo de li cristiani”, quasi sempre rispondo: “Perché li cristiani non so’ cristiani”.
Gli animali vivono infatti da animali, mentre i cristiani non vivono da cristiani o, il che è lo stesso, gli uomini non vivono da uomini.
Gli animali vivono da animali perché non possono far altro; gli uomini possono vivere invece da uomini o da non-uomini perché sono liberi, perché la loro vita non è più gestita direttamente dal mondo spirituale.
Possiamo star certi che se agli animali venisse data la stessa libertà (“da”), presto vedremmo, che so, dei pappagalli che vogliono vivere da gatti o dei gatti che vogliono vivere da pappagalli: vedremmo insomma succedere, tra gli animali, quello che succede tra noi. E che cosa accadrebbe in un alveare o in un formicaio? E’ presto detto: qualcosa di simile a quello che succede nelle società umane quando nessun ego (psichico) vuole vivere da Io (spirituale), e non può perciò coscientemente e liberamente trasformare il “dovere”, che governa l’ordine animale, nel “volere” che dovrebbe governare l’ordine umano.
Riassumendo: abbiamo il regno minerale, che soggiace alle forze celesti divenute forze terrestri; abbiamo il regno vegetale che sta tra le forze terrestri e quelle celesti; e abbiamo il regno animale ch’è un regno celeste: ossia, lo zodiaco (zòon).

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Di Lucio Russo
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