Cominciamo subito a leggere questa lettera, intitolata: L’organizzazione dei sensi e del pensiero dell’uomo nella sua relazione con il mondo (15 marzo 1925).
“Quando l’uomo, nel considerare la propria natura umana, applica la conoscenza immaginativa innanzitutto a se stesso, in questa osservazione egli si spoglia del sistema sensorio. Per osservare se stesso egli diventa un essere privo di tale sistema” (p. 202).
Abbiamo detto, una sera, che un conto è considerarsi (rappresentativamente) uno spazio che vive nel tempo, altro considerarsi (immaginativamente) un tempo che vive nello spazio (prescindendo ovviamente dall’Io e dal corpo astrale).
Solo considerandosi un tempo (un corpo eterico) che vive nello spazio (nel corpo fisico) si può ad esempio realizzare che una cosa sono gli occhi per mezzo dei quali si vede il sensibile, altra il vedere.
Non si vedono infatti con gli occhi né i sogni né le immagini della memoria, giacché sono realtà extrasensibili o eteriche.
Afferma Goethe: “Per se stesso e in quanto si serve dei suoi sensi integri l’uomo è il maggiore e più preciso strumento di fisica che possa esistere” (1).
Dunque l’uomo è “strumento di fisica”, i sensi sono “strumenti dell’uomo”, e il microscopio è “strumento dei sensi”.
Ora immaginiamo che mentre stiamo guardando qualcosa al microscopio, intervenga un mago che ce lo incolli agli occhi; da quel momento in poi, saremo costretti a guardare l’intera realtà attraverso il microscopio.
Ebbene, questo mago esiste: si chiama Arimane. E’ grazie a lui (il “micromane”) che siamo identificati con il nostro sistema neuro-sensoriale, e indotti così a credere che sia il cervello a vedere attraverso gli occhi, e non l’Io.
Dobbiamo dunque disidentificarci dal corpo fisico, ma possiamo cominciare a farlo soltanto prendendo le giuste distanze dal pensiero riflesso e sviluppando la coscienza immaginativa.
Dice Steiner: “Quando l’uomo, nel considerare la propria natura umana, applica la coscienza immaginativa innanzitutto a se stesso, in questa osservazione egli si spoglia del sistema sensorio”.
Grazie allo sviluppo di questo superiore grado di coscienza ci si “spoglia” infatti “del sistema sensorio”, così come, una volta venuto meno il sortilegio, ci si “spoglia” del microscopio o, per essere più precisi, ci si libera della dipendenza dal microscopio.
“Per osservare se stesso egli diventa un essere privo di tale sistema. Non cessa di avere dinanzi all’anima delle immagini che prima erano portate dagli organi dei sensi; ma cessa di sentirsi collegato con il mondo fisico esteriore mediante questi organi. Le immagini del mondo fisico esteriore, che gli stanno davanti all’anima, ora non sono portate dagli organi dei sensi; esse costituiscono per la veggenza immediata una dimostrazione del fatto che l’uomo, attraverso il collegamento sensorio, sta col mondo naturale circostante in un collegamento diverso, che non è portato dai sensi. È il collegamento con lo spirito che ha preso corpo nel mondo naturale esteriore” (p. 202).
Continuando nella metafora, una cosa è dunque il microscopio quale “strumento dei sensi”, altra l’attività o la forza del vedere che dovrebbe essere libera di servirsene o non servirsene.
Il che significa che se Arimane non ce lo avesse incollato agli occhi, vedremmo con il microscopio (con i sensi) ciò che è possibile vedere solo per suo mezzo, e vedremmo, liberi dal microscopio (liberi dai sensi) ciò che è possibile vedere solo senza farne uso.
Lo facciamo (inconsciamente) durante il sonno, ma dovremmo imparare a farlo (coscientemente) anche durante la veglia.
Domanda: Che cosa vuol dire che le immagini del mondo fisico esteriore che “stanno davanti all’anima, ora non sono portate dagli organi dei sensi; esse costituiscono per la veggenza immediata una dimostrazione del fatto che l’uomo, attraverso il collegamento sensorio, sta col mondo naturale circostante in un collegamento diverso, che non è portato dai sensi”?
Risposta: Vuol dire che tutto ciò che crediamo di vedere con gli occhi, secondo quanto abbiamo detto una sera (lettera 22 febbraio 1925), lo immaginiamo, in realtà, con lo spirito. “Applicando la coscienza immaginativa” a se stessi, si realizza infatti che “le immagini del mondo fisico esteriore” (le immagini percettive) “non sono portate dagli organi dei sensi”, ma dal corpo eterico.
Ricordiamoci che per sviluppare sanamente la coscienza immaginativa occorre prendere le mosse da La filosofia della libertà, ossia da un’opera che, come dice Steiner, “intende sollecitare ad ogni pagina l’attività pensante del lettore”. Per questo, mi sono permesso di definirla un’opera “logodinamica”, e non “filosofica” (in senso classico). Ascoltate infatti ciò che afferma Steiner: “Dovevo prima presentare al mondo (prima di Teosofia, de La scienza occulta, ecc. – nda) qualcosa che fosse concepito in modo rigorosamente filosofico, anche se in realtà andava oltre la filosofia ordinaria (grassetto nostro). Era pur necessario compiere una volta il trapasso dallo scrivere puramente filosofico e scientifico a quello scientifico-spirituale” (2).
“In tale veggenza il mondo fisico si stacca dunque dall’uomo. È l’elemento terrestre che si distacca. L’uomo non sente più attaccato a sé l’elemento terrestre.
Si potrebbe credere che con questo svanisca per lui la autocoscienza. Ciò sembra derivare dalle precedenti considerazioni che hanno indicato l’autocoscienza come un risultato del collegamento dell’uomo con l’entità della terra. Ma non è così. Ciò che l’uomo ha conquistato per mezzo dell’elemento terrestre gli rimane, anche se, dopo averlo conquistato, egli se ne spoglia nella conoscenza che sperimenta” (p. 202).
L’abbiamo detto: dobbiamo essere grati al sistema neuro-sensoriale, perché è in virtù dello specchio corticale che l’Io ha raggiunto la moderna autocoscienza (dell’Io quale ego).
Abbiamo definito questo primo livello di autocoscienza “cartesiano” (cogito, ergo sum), ma potremmo anche definirlo, nel bene e nel male, “borghese” (habeo, ergo sum).
Che questo grado di autocoscienza (l’individualismo egoico) abbia ormai esaurito la propria spinta evolutiva, e debba pertanto essere superato, lo testimonia, nel modo più tragico, la storia del Novecento (3).
Gli orrori della prima guerra mondiale, del comunismo, del fascismo, del nazismo e della seconda guerra mondiale, non sono stati infatti prodotti dagli sciagurati tentativi di dar vita, politicamente, a una “nuova umanità”?
Tra quanti si sono illusi che la prima guerra mondiale potesse rigenerare l’umanità figuravano (come testimonia Emilio Gentile nel suo L’apocalisse della modernità, che vi consiglio di leggere) (4), Thomas Mann, Stefan Zweig, Vladimir Majakovskij, Max Weber, Robert Musil, Benedetto Croce, Charles Péguy, Giovanni Papini e perfino don Luigi Sturzo.
Ma quanti altri artisti e intellettuali si sono poi illusi (e in parte ancora s’illudono) che tale rigenerazione potesse essere prodotta dal comunismo, dal fascismo o dal nazismo?
Questo che cosa dimostra? E’ semplice: che la nostra cultura, asservita dal potere, dalla vanità o dalle ideologie, si è ormai estraniata dalla realtà (nel migliore dei casi, è infatti in grado di coglierne solo un quarto, quello materiale).
(Scrive Aurobindo: “I cambiamenti che oggi vediamo nel mondo sono intellettuali. La rivoluzione spirituale attende la sua ora e durante questo tempo fa sorgere qua e là delle ondate. Fino a che essa non giunga, il significato degli altri cambiamenti non può essere compreso; e fino a quel momento tutte le interpretazioni degli avvenimenti presenti e tutte le previsioni dell’avvenire umano sono cose vane” [5].)
Ma torniamo a noi. Ho detto che una cosa è sperimentarsi come uno spazio, uno stato o un divenuto (“Sono fatto così!”), altra sperimentarsi come un tempo, e quindi come un divenire.
Ma all’ego, il pensiero vivente, in virtù del quale ci si può sperimentare così, fa paura. E sapete perché? Perché ciò ch’è vivo diviene, ossia muore e rinasce, mentre l’ego crede di essere vivo, ma è morto: la sua ordinaria paura della morte è in realtà paura della vita e del divenire (animico-spirituale).
Se questo dovesse sembrarvi strano, leggete o rileggete allora quanto dice l’Apocalisse nella quinta “lettera alla chiesa di Sardi”, che rappresenta, come spiega Steiner (6), la nostra attuale civiltà (la quinta postatlantica): “Così parla colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle. Mi è nota la tua condotta: porti il nome di vivente e invece sei morto” (Ap 3,1).
Lo ripeto: entrare nella corrente del divenire equivale, sul piano immaginativo, a camminare sulle acque.
(“Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse : “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” – Mt 15,28-31.)
“Mediante la veggenza spirituale-immaginativa ora descritta, appare in sostanza che l’uomo non è collegato molto intensamente con il suo sistema sensorio. In realtà non è lui che vive nel sistema sensorio, ma il mondo circostante. Questo, col suo essere, si è inserito nell’organizzazione dei sensi.
Perciò l’uomo che pratica la contemplazione immaginativa, vede l’organizzazione sensoria come un frammento del mondo esteriore. Un frammento del mondo esteriore che gli è indubbiamente più affine del mondo naturale circostante, ma che tuttavia è mondo esteriore. Esso si distingue dal restante mondo esteriore solo per il fatto che in questo l’uomo non può immergersi, conoscendo, se non mediante la percezione sensoria” (pp. 202-203).
Non è l’uomo a vivere “nel sistema sensorio, ma il mondo circostante”.
Che il corpo fisico sia una porzione di mondo della quale ci siamo appropriati (e nella quale ci siamo immersi), lo prova il fatto che, dopo la morte, dobbiamo restituirlo.
Fatto si è che l’uomo è un Io (libero) che “indossa” una veste karmica astrale, una veste karmica eterica e una veste karmica fisica ricavate, rispettivamente, dal mondo astrale, dal mondo eterico e dal mondo fisico. E’ da questi mondi, infatti, che viene prelevata la “stoffa” con la quale le Gerarchie confezionano il nostro personale destino (“Voi [spiriti] che tessete la sostanza delle anime nelle sfere del cosmo”, recita la preghiera per i defunti).
Dice Steiner: “Perciò l’uomo che pratica la contemplazione immaginativa, vede l’organizzazione sensoria come un frammento del mondo esteriore. Un frammento del mondo esteriore che gli è indubbiamente più affine del mondo naturale circostante, ma che tuttavia è mondo esteriore”.
Perché tale frammento ci è “più affine del mondo naturale circostante”? Lo abbiamo appena detto: vuoi perché lo indossiamo, vuoi perché ci è stato fatto su misura (karmica).
Nel mondo esteriore, dice ancora Steiner, “l’uomo non può immergersi, conoscendo, se non mediante la percezione sensoria”.
Sentite quanto scrive, al riguardo, Pasquale Galluppi (1770-1846): “Mi sembra dunque che io sia nel diritto di concludere che la nostra esistenza intellettuale incomincia con la percezione del me, che percepisce un fuor di me”; che questo fatto è primitivo, e che è il solo, onde dee partire la vera filosofia” (7).
Ma che cosa sono, in realtà, il “me” e il “fuor di me” di Galluppi? E’ facile: l’ego e il non-ego.
Com’è vero, dunque, che la nostra esistenza intellettuale “incomincia con la percezione del me, che percepisce un fuor di me”, così è vero che la nostra esistenza immaginativa incomincia con la percezione del “me” quale “Sé spirituale”, che percepisce “un fuor di me” quale ego, quale sistema sensorio o quale corpo fisico.
“Invece nella sua organizzazione sensoria egli si immerge sperimentando. L’organizzazione dei sensi è mondo esteriore, ma l’uomo vi immerge il suo essere spirituale-animico che egli reca con sé dal mondo dello spirito, quando entra nella sua esistenza terrena” (p. 203).
Per poter nascere sulla Terra, l’Io, dopo essersi rivestito di un corpo astrale e di un corpo eterico, deve rivestirsi di un corpo fisico.
Suo primo compito, una volta raggiunta l’ordinaria coscienza rappresentativa, sarà perciò quello di scoprire, grazie alle forze “che reca con sé dal mondo dello spirito”, che indossa tale abito, ma che non è tale abito (checché ne pensino tutti quegli psicologi che parlano di un ”io corporeo”).