“Tu vuoi pensare “Dio”:
così parla l’anima di Goethe;
ti precipita questo volere
in contraddizione e confusione.
Pensa “divinamente”;
e “Dio” agirà in te:
tale Goethe intuì la soluzione
dell’enigma di Dio
e tale in vista d’essa sia il pensare
della scienza dello spirito.” (1)
Afferma Steiner: “La scienza dello spirito non va considerata solo come una teoria. Se la si considera una teoria, è meglio leggere libri di cucina o simili, perché l’essenziale nella scienza dello spirito non è il mero contenuto. Quello che più importa è il modo in cui bisogna pensare per riconoscerla (…) Va dunque messa in evidenza la diversità del “come”, oltre quella del “che cosa”. Esiste dunque un modo di pensare che dà forma, che viene specificamente elaborato al fine di condurre nei mondi soprasensibili” (2).
Nel nostro Il pensare e i pensieri (3) e in una successiva “Noterella” (4) abbiamo distinto il “pensare” dai “pensieri” (dai concetti e dalle idee) e, per quanto concerne il pensare, abbiamo distinto il suo movimento “discreto” (meccanico) da quello “continuo” (vivente) (5).
Ebbene, mettere “in evidenza la diversità del “come”, oltre quella del “che cosa””, significa appunto mettere “in evidenza la diversità” del pensare, “oltre quella” dei pensieri. E’ sommamente importante farlo, poiché l’”antroposofia” è in primo luogo attenta alla diversità del pensare (al “modo in cui bisogna pensare”), mentre, sia la coscienza ordinaria, sia quello che abbiamo altrove chiamato l’”antroposofismo” sono in primo luogo attenti alla diversità dei pensieri (al “mero contenuto”).
Che quanto richiesto dall’antroposofia sia tutt’altro che facile può dimostrarlo il fatto che si è generalmente convinti di aver cambiato il proprio modo di pensare quando si sono cambiati i pensieri che si hanno, e non il pensare in cui si è.
(“La novità della scienza spirituale antroposofica è non solo che nel suo àmbito si pensa del nuovo, ma che si pensa in modo nuovo. Questo è il motivo per cui tanta gente non è in grado di avvicinarsi al modo nuovo di pensare. L’importante è però il pensare in modo nuovo, il pensare di cui si può dire che il pensiero si immerge nella realtà e vive con essa”.) (6)
In una delle conferenze raccolte nel volume intitolato Il pensiero cosmico, Steiner mette in rapporto i dodici segni dello zodiaco con altrettante visioni o concezioni del mondo.
Afferma: “Si cominci con l’idealismo, designando questo come il segno zodiacale spirituale dell’“Ariete”; si designino similmente il razionalismo come il “Toro”, il matematismo come i “Gemelli”, il materialismo come il “Cancro”, il sensismo come il “Leone”, il fenomenismo come la “Vergine”, il realismo come la “Bilancia”, il dinamismo come lo “Scorpione”, il monadismo come il “Sagittario”, lo spiritualismo come il “Capricorno”, lo pneumatismo come l’“Acquario”, lo psichismo come i “Pesci”” (7).
Quanti trasformano, di fatto, l’antroposofia in “antroposofismo” non fanno dunque che aggiungere ai dodici “segni zodiacali spirituali” un tredicesimo segno o “ismo”.
Questo, in quanto periferico, dotato di forma, e quindi necessitante quanto gli altri, potrebbe essere detto il “falso tredicesimo”, giacché il “vero tredicesimo” (l’Io, quale principio o fondamento dei dodici) è invece centrale, privo di forma, e libero, in quanto privo di forma, di prenderle tutte.
Dice Steiner: “Il mondo non si può considerare dal punto di vista unilaterale di una concezione del mondo, di un pensiero; bensì il mondo si rivela soltanto a chi sa che bisogna girare attorno ad esso”; bisogna “essere in condizione di poter girare intorno al mondo e di potersi familiarizzare con i dodici diversi punti di vista, dai quali si può considerare il mondo stesso. Di fronte al pensiero tutti i dodici punti di vista sono pienamente giustificati” (8).
Solo l’Io (il “vero tredicesimo”) può però “girare intorno al mondo” (mediante il pensare) e familiarizzarsi “con i dodici diversi punti di vista”; il “falso tredicesimo” non può farlo perché si è di fatto costituito come un ulteriore “punto di vista”, patendo così la medesima unilateralità degli altri dodici.
Fatto si è che ciascun “punto di vista” è karma, e quindi necessità. “Per virtù di un siffatto esame – afferma Steiner – ci appare ancor più profondo, di quanto altrimenti non potrebbe apparirci, un pensiero di Fichte, che dice: la filosofia che un uomo ha dipende da ciò che egli è. Sì veramente, la filosofia che un uomo ha dipende da ciò che egli stesso è!” (9); dipende “da ciò che egli stesso è” perché, non avendo superato la soggettività dell’anima razionale-affettiva (per l’appunto “filosofica”), non è approdato all’oggettività dell’anima cosciente (scientifica).
Le dodici concezioni del mondo, in quanto costellazioni di concetti, sono idee, e quindi pensieri. Solo il pensare, in quanto arto o atto dell’Io, può dunque evitare l’unilateralità e gestire “i dodici diversi punti di vista”: cioè a dire, i “dodici diversi” pensieri o, nelle parole di Steiner, le diverse “leggi dei pensieri del cosmo” che “sono attive nell’uomo” (10).
Può “girare intorno al mondo” il sangue che circola (supporto dell’Io), ma non il nervo (supporto del corpo astrale).
(La nota figura del cosiddetto “Homo zodiacalis” può aiutare a capire come il circolare all’interno del corpo umano del sangue sia immagine del “girare intorno al mondo” dell’Io.)
Riguardo al “girare”, Steiner, sempre ne Il pensiero cosmico, esemplifica il modo in cui dovrebbe essere pensato (immaginato) il cosiddetto “triangolo universale” (quel concetto di “triangolo” che per i nominalisti non è appunto che un “nome”).
Dice: “Noi ci assumiamo un modo incomodo di rappresentarci il triangolo per cui diciamo: non voglio soltanto disegnare un triangolo per poi lasciarlo stare, ma pretendo che la tua capacità di rappresentazione soddisfi a determinate esigenze. Tu devi immaginarti che i lati del triangolo siano in continuo moto. Se sono in moto – dalla forma dei movimenti possono contemporaneamente scaturire un triangolo rettangolo, o uno ottusangolo, o qualsiasi altro -. Due cose si possono fare e anche esigere in questo campo. Anzitutto si può esigere la massima comodità; se qualcuno ci disegna un triangolo, tutto è finito e se ne conosce l’aspetto; ora si può riposare tranquillamente nei propri pensieri, perché si ha ciò che si vuole. Si può però anche fare nell’altro modo: si può considerare il triangolo come punto di partenza e permettere al contempo a ogni lato di volgersi con velocità diversa verso diverse direzioni. Questo caso però riesce meno comodo, poiché si devono compiere dei movimenti nei propri pensieri. Così però si ottiene pure realmente il pensiero universale del triangolo; mentre non lo si raggiunge se ci si ferma a un solo triangolo. Il pensiero universale “triangolo” vi è, quando si tiene il pensiero in continuo movimento, quando è versatile” (11).
Quando “si tiene il pensiero in continuo movimento”, si ha il pensare “continuo” (immaginativo). Il pensare “discreto” (rappresentativo) può rilevare dei nessi tra determinati triangoli (scoprendo, ad esempio, che la somma degli angoli interni del triangolo acutangolo, del triangolo rettangolo e del triangolo ottusangolo è sempre di 180°), ma non è in grado di far scaturire, mediante un processo di metamorfosi, un triangolo dall’altro. Per far questo occorre infatti il pensare continuo, occorre tenere, come dice Steiner, “il pensiero in continuo movimento”.
Il pensare continuo va però educato e sviluppato. Steiner suggerisce, tra gli altri, il seguente esercizio: “Occorre cominciare col dirigere l’attenzione dell’anima su determinati processi (corsivo nostro) del mondo che ci circonda; da un lato sulla vita germogliante, crescente e fiorente, e dall’altro su tutti i fenomeni connessi con l’appassire, lo sfiorire e il morire (…) Quando l’uomo percepisce un determinato genere di crescita e di rigoglio, deve eliminare dall’anima tutto il resto, e abbandonarsi per breve tempo soltanto a quell’unica impressione. Allora constaterà che un sentimento, che prima in un caso simile si sarebbe appena affacciato alla sua anima, ora si fa grande e assume forma forte ed energica. Egli deve poi permettere che questa forma di sentimento risuoni tranquillamente in lui. Egli deve nel frattempo fare il completo silenzio nella sua interiorità (…) Una forma ben determinata di sentimenti si connette col crescere e col divenire; un’altra parimenti determinata con l’appassire e il morire, ma soltanto quando tali sentimenti vengano coltivati nel modo descritto” (12).
Ci auguriamo, per concludere, che il nostro insistere sulla differenza tra il “pensare” (oggetto di auto-percezione) e i “pensieri” (oggetti di etero-percezione) e sulla differenza tra il movimento “discreto” e quello “continuo” del pensare aiuti a comprendere nelle loro più profonde implicazioni queste due affermazioni di Steiner, tratte dalla Filosofia della libertà:
1) “Debbo attribuire particolare valore al fatto che qui, a questo punto, si faccia attenzione che io ho preso come punto di partenza il pensare, e non i concetti e le idee, che soltanto mediante il pensare possono essere conquistati, e quindi presuppongono già il pensare. Perciò non si può applicare senz’altro ai concetti quello che ho detto riguardo alla natura del pensare, il quale non poggia che su se stesso, non è determinato da nulla” (13);
2) “Questo libro non concepisce il rapporto fra scienza e vita nel senso che l’uomo debba piegarsi all’idea e consacrare le proprie forze al suo servizio, ma nel senso che egli debba impadronirsi del mondo delle idee per adoperarlo per i propri fini umani, i quali vanno al di là di quelli puramente scientifici. Dobbiamo poterci mettere di fronte all’idea in modo vivente; altrimenti si diventa schiavi di essa” (14).
A quali estremi e a quali aberrazioni possa portare il non sapersi “mettere di fronte all’idea in modo vivente” (“da Io a Io”) e il diventare “schiavi di essa” (di un “ismo”), lo ha dimostrato il Novecento, non a caso definito, dallo storico Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine (15).
Note:
1) R.Steiner: Aforismi e dediche – Antroposofica, Milano 2012, p. 135;
2) R.Steiner: Come ritrovare il Cristo – Antroposofica, Milano 1988, pp. 157 e 158;
3) cfr. Il pensare e i pensieri, 10 novembre 2013;
4) cfr. “Noterella” 4 maggio 2014;
5) tali essenziali differenze emergono solo se si osserva e sperimenta davvero il pensare. Scrive Steiner: “Per chiunque abbia la capacità di osservare il pensare – e con un po’ di buona volontà questa capacità può averla ogni uomo normalmente organizzato – tale osservazione è la più straordinariamente importante di quante egli ne possa fare” (La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p. 38);
6) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, p. 275;
7) R.Steiner: Il pensiero cosmico – Basaia, Roma 1985, p. 64;
8) ibid., pp. 47 e 48;
9) ibid., p. 92;
10) ibid., p. 90;
11) ibid., pp. 9-10;
12) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1991, pp. 37-38;
13) R.Steiner: La filosofia della libertà, pp. 48-49;
14) ibid., p. 230;
15) cfr. R.Conquest, Il secolo delle idee assassine – Mondadori, Milano 2001.