Scienza reale e scienza simulata

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Tra il XV e il XVI secolo, scrive Antonio Banfi (1886-1957), “la sintesi aristotelica-scolastica, con il suo tipico significato culturale, con il suo concluso sistema di concetti, con la sua caratteristica problematica e metodica, appare ormai teoreticamente sterile. Il nuovo pensiero nell’affrontare i suoi nuovi problemi, riconosce e cerca di definire la propria indipendenza dai presupposti teologici e ancor più particolarmente esige di rinnovare a diretto contatto con la realtà sia naturale che spirituale i propri concetti, fuori del tradizionale sistema d’interpretazione metafisica”; ciò implica, prosegue, che “il criterio della verità non è più qui trascendente al processo del pensiero, come quando esso consisteva nella presupposta concezione metafisica del reale; il criterio è immanente e dato dalla universalità e necessità dei rapporti e delle leggi secondo cui si svolge il pensiero stesso (…) La verità – l’ideale di ragione – non è più oggetto, ma legge del pensiero” (1).
Dire che “il criterio della verità non è più qui trascendente al processo del pensiero”, bensì “immanente e dato dalla universalità e necessità dei rapporti e delle leggi secondo cui si svolge il pensiero stesso” significa parlare del “pensare”, e non dei “pensieri” (dei concetti o delle idee): solo quello del pensare, infatti, può essere un “criterio della verità” che non trascende il “processo” o il modo in cui “si svolge” il pensare stesso; si parla invece dei pensieri quando ci si riferisce all’”universalità e necessità dei rapporti e delle leggi secondo cui si svolge” il pensare: il modo in cui questo si svolge (logicamente) è adeguato infatti alla natura dei pensieri, così come questi sono adeguati, a loro volta, alla natura della realtà cui sono rivolti (i pensieri non s’inventano, ma si scoprono).
E quale natura ha la realtà cui sono rivolti i pensieri di Galilei? Ha natura inorganica e meccanica.
Scrive appunto Banfi: “L’induzione scientifica, consiste nella risoluzione del fatto in un sistema di rapporti matematicamente esprimibili (…) Il metodo scientifico consiste nel determinarsi reciproco del fatto singolo in funzione della legge e della legge in funzione del fatto (…) Il piano dell’esperienza che consente e quasi direi richiama quest’applicazione dei rapporti matematici, rappresentandoli nella loro massima purezza, è il piano dei fenomeni meccanici” (2).
Il fenomeno meccanico è dunque in sintonia con la logica matematica (“consente e quasi direi richiama quest’applicazione dei rapporti matematici”), ossia con il movimento discreto del pensare, e la logica matematica è in sintonia con il fenomeno meccanico.
Rivolgere l’indagine a un diverso “piano dell’esperienza” imporrebbe pertanto di mutare tanto il modo di muoversi del pensare quanto i pensieri.
Come la logica “meccanica” umana è infatti in sintonia con la logica dei fenomeni meccanici del mondo (il cui ”Ur-phenomenon”, per così dire, è rappresentato dal rapporto di causa-effetto), così la logica “dinamica” è in sintonia con la logica dei fenomeni vitali (il cui ” Ur-phenomenon” è rappresentato dal processo della metamorfosi), la logica “qualitativa” è in sintonia con la logica dei fenomeni animici (il cui ” Ur-phenomenon” è rappresentato dalla enantiodromia, dal capovolgimento nell’opposto) e la logica “dell’essenza” è in sintonia con la logica dei fenomeni spirituali (il cui ” Ur-phenomenon” è rappresentato dalla entelechia).
L’odierna ricerca scientifica utilizza invece lo stesso movimento del pensare e gli stessi pensieri anche quando affronta i fenomeni della vita (o del regno vegetale), dell’anima (o del regno animale) e dello spirito (o del regno umano). Così facendo, cessa però di essere “scientifica”.
(Scrive R.W.Emerson: “La natura tende le braccia per stringerci a sé, purché i nostri pensieri siano adeguati alla sua grandezza (…) Basta che i pensieri dell’uomo abbiano la stessa ampiezza della natura e la cornice sarà adatta al quadro” [3].)
Secondo i seguaci della cosiddetta “filosofia digitale”, “dopo l’organon aristotelico della logica deduttiva e il novum organum baconiano dell’induzione”, sarebbe ora “la volta di un tertium organum: la simulazione” (4).
Non si avvedono, dunque, che tale tertium organum è in realtà una simulazione della scienza: non si avvedono, cioè, che applicare la logica meccanica ai fenomeni della vita, dell’anima e dello spirito non è fare scienza, bensì simularla (non c’è da stupirsi, del resto, che la cosiddetta “scimmia di Dio” possa anche farsi “scimmia della scienza”).
Fatto si è che come la nascita della scienza naturale galileiana (manifestazione della prima fase di sviluppo dell’anima cosciente), ha prodotto, tra il XV e il XVI secolo, un profondo rivolgimento culturale (quello, oltremodo inviso ai tradizionalisti, della “modernità”), così la nascita della scienza spirituale antroposofica (manifestazione della seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente), avrebbe dovuto produrre, a partire dalla fine del XIX secolo, un nuovo e più profondo rivolgimento noetico ed etico (“Le concezioni di Copernico e di Giordano Bruno, – dice Steiner – relative al superamento dell’apparenza sensibile nei riguardi dello spazio, scaturirono nel vero senso della parola dalle ispirazioni della corrente spirituale di cui è seguace anche la moderna scienza dello spirito”) (5).
Se ciò non è avvenuto (e ne stiamo tutti patendo le amare conseguenze), lo si deve al fatto che mentre il primo rivolgimento fu contrastato inutilmente dalla dogmatica religiosa, il secondo è stato ed è tuttora contrastato con successo dalla dogmatica materialista e scientista, divenuta ormai, grazie ai media e ai poteri economici (nonché all’indolenza spirituale e al tiepidume animico dei più), credenza o fede collettiva.
(Va aggiunto che, in luogo del rivolgimento prodotto da una scienza ascesa dal piano sensibile [dove si pensa, come Galilei, ciò che viene percepito dai sensi] a quello “sovra-sensibile” [dove si percepisce, come Steiner, il pensare e ciò che si pensa, ossia i pensieri], si è avuto un “contro-rivolgimento” prodotto da una scienza discesa dal piano sensibile a quello “sub-sensibile”, e dedita perciò a congetturare in modo regressivo, cioè metafisico, su ciò che non viene percepito dai sensi. Trafficare con delle realtà la cui essenza [natura o qualità], in quanto non percepita, non può essere obiettivamente determinata [dal momento che il percetto è il concetto sconosciuto e il concetto è il percetto conosciuto] significa però operare, di fatto, come degli “apprendisti stregoni” [simulanti appunto la scienza]. Si rifletta, in proposito, sulle seguenti parole di Steiner: “Che cosa sia il “percepire” conoscente può essere sperimentato solo nel conoscere il mondo dei sensi. Se lo si è sperimentato, lo si può formare anche per il percepire spirituale. Ritraendosi da questo modo di percepire, ci si priva del tutto dell’esperienza percettiva e ci si riporta su un gradino dell’esperienza animica che è meno reale della percezione dei sensi” [6].)
Afferma ancora Steiner (siamo nel dicembre del 1919): “Se lasciamo che ancora per tre decenni si continui a insegnare come si fa ora nelle nostre università, che si continui a pensare sulle questioni sociali come si fa attualmente, avremo fra trent’anni un’Europa devastata. Si potranno proporre ideali in questo o quel campo, ci si potrà sgolare a parlare delle singole aspirazioni che vengono dai diversi gruppi di uomini, o a parlare della fede che qualcosa sia fatto per tali pressanti aspirazioni per il futuro dell’umanità; tutto sarà inutile se la trasformazione non avverrà partendo dalle fondamenta delle anime umane, dal pensiero dei nessi esistenti fra questo mondo e quello spirituale. Se non ci si trasformerà, se non si muterà pensiero, verrà il diluvio morale sopra l’Europa” (7).
Diceva Scaligero: “In tempi di diluvio, bisogna costruire l’arca”. Per quanti non rinunciano, al fine di costruirla, al pensare reale (8), vale il fatto che se è vero, come afferma Banfi, che la verità “non è più oggetto, ma legge del pensiero”, è vero allora che verità è il movimento o la vita del pensare e verità è il soggetto del pensare, ossia l’Io (“Io sono la via, la verità e la vita” – Gv 14,6).

Note:

1) Introduzione a G.Galilei: Antologia – La Nuova Italia, Firenze 1970, pp. XXIV e XXXIII;
2) ibid., pp. XXXVIII e XXXIX;
3) R.W.Emerson: Natura – Donzelli, Roma 2010, p. 31;
4) cfr. Del “Bit Bang” , 6 aprile 2014;
5) R.Steiner: La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità – Antroposofica, Milano 1975, p. 67;
6) R.Steiner: Enigmi dell’essere umano – Antroposofica, Milano 2006, p. 124;
7) R.Steiner: La missione di Michele – Antroposofica, Milano 1981, p. 183;
8) l’odierna cultura, scrive Scaligero, è “cultura di uomini che non pensano più in pensieri, ma in parole o in correlazioni quantitative, ogni volta mnemonicamente evocabili nella loro meccanicità” (M.Scaligero: Trattato del pensiero vivente – Feriani, Milano 1961, p. 10).

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Di Lucio Russo
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