Il “difetto”

I

Nel nostro Amor, che ne la mente mi ragiona, avevamo riportato il seguente passo di una lettera (1 novembre 1894) nella quale Steiner risponde ad alcune obiezioni mossegli da Eduard von Hartmann: “Avverto anch’io come un difetto del mio libro, il fatto che non mi sia riuscito di rispondere con piena chiarezza alla questione, in che senso l’individuale sia in fondo un universale, il molteplice un’unità. Ma questo è forse il compito più difficile di una filosofia dell’immanenza” (1).
Giacché tale questione (postasi in occasione della prima edizione del libro) riguarda il superamento dinamico degli opposti, ci eravamo limitati a dire, in quella sede, che il “difetto” di cui parla modestamente Steiner non è tanto del libro quanto piuttosto dell’intelletto (statico) con il quale se ne intraprende normalmente lo studio.
Dal momento, però, che si tratta di una dichiarazione che può essere giudicata modesta, ma non insincera, proveremo qui a capire che cosa contenga di vero: per quale ragione, cioè, Steiner asserisca di non aver risposto “con piena chiarezza alla questione, in che senso l’individuale sia in fondo un universale, il molteplice un’unità”.
Partiamo da questa sua affermazione: “Debbo attribuire particolare valore al fatto che qui, a questo punto, si faccia attenzione che io ho preso come punto di partenza il pensare, e non i concetti e le idee, che soltanto mediante il pensare possono essere conquistati, e quindi presuppongono già il pensare. Perciò non si può applicare senz’altro ai concetti quello che ho detto riguardo alla natura del pensare, il quale non poggia che su se stesso, non è determinato da nulla. (Faccio espressamente questa osservazione perché in ciò consiste la mia differenza da Hegel: egli pone infatti il concetto come elemento primo ed originario” (2).
Come “punto di partenza” e quale “elemento primo ed originario” Steiner prende dunque il pensare, ossia un’attività o una forza, mentre Hegel prende il concetto, ossia un ente o una forma (3).
Che ne consegue? E’ ovvio: che mettendo in primo piano (giustamente) il pensare finisce in secondo piano il concetto, mentre mettendo in primo piano il concetto finisce in secondo piano (ingiustamente) il pensare.
Ciò non vuol dire, sia chiaro, che Steiner non prenda in considerazione la realtà del concetto e che Hegel non prenda in considerazione la realtà del pensare; vuole semplicemente dire che, mettendo in primo piano il pensare (la sua osservazione ed esperienza), può succedere che non si riesca poi a spiegare “con piena chiarezza” il perché l’individuale sia un universale, così come, mettendo in primo piano il concetto (la sua intuizione), può succedere che non si riesca poi a spiegare con altrettanta chiarezza se il pensare sia un elemento astratto (“La logica è la scienza dell’Idea pura, cioè dell’Idea nell’elemento astratto del pensiero”) oppure un atto dell’Io (“Il pensiero in quanto attività è l’Universale attivo, e precisamente, è l’Universale che si attiva: infatti l’atto, il prodotto, è appunto l’Universale. Il pensiero rappresentato come soggetto è un’entità pensante, e l’espressione più semplice del soggetto che esiste come pensante è: Io) (4).
Ma per quale ragione può succedere che, mettendo in primo piano il pensare, non si riesca poi a spiegare “con piena chiarezza” il perché l’individuale sia un universale?
Per rispondere a questa domanda, prendiamo questo altro passo de La Filosofia della libertà: “Profondamente radicata nella coscienza dell’uomo ingenuo è l’idea che il pensare sia astratto, senza alcun contenuto concreto, e che possa tutt’al più fornire una controimmagine “ideale” dell’unità universale, ma non questa stessa. Chi giudica così non ha mai compreso chiaramente che cosa sia la percezione senza il concetto. Guardiamo dunque un momento questo mondo della percezione: ci appare come un aggregato di singole cose senza nesso, semplicemente una accanto all’altra nello spazio, e una dopo l’altra nel tempo. Nessuna, delle cose che entrano od escono dalla scena della percezione, ha alcunché da fare con l’altra, il mondo è una molteplicità di oggetti equivalenti. Nessuno ha una parte più importante dell’altro nel congegno del mondo” (5).
Come si vede, Steiner richiama l’attenzione su un mondo che, senza il concetto, apparirebbe “come un aggregato di singole cose senza nesso, semplicemente una accanto all’altra nello spazio, e una dopo l’altra nel tempo”: richiama cioè l’attenzione sulle relazioni tra le singole cose (tra la molteplicità degli oggetti), e non sulle singole cose (sui singoli oggetti).
Più che giusto, dal momento che “vi è una differenza profondissima – scrive – fra le reciproche relazioni che hanno, per me, le varie parti di un fenomeno prima che io abbia scoperto i corrispondenti concetti, e dopo” (6).
Volendo però “rispondere con piena chiarezza alla questione, in che senso l’individuale sia in fondo un universale, il molteplice un’unità”, conviene richiamare l’attenzione sulle singole cose (7).
Nel nostro studio de La filosofia della libertà, abbiamo fatto per questo notare che com’è vero che il mondo, senza il concetto, ci apparirebbe un “aggregato di singole cose senza nesso, semplicemente una accanto all’altra nello spazio, e una dopo l’altra nel tempo”, così è vero che anche le singole cose, senza il concetto, ci apparirebbero un “aggregato” di singoli stimoli “senza nesso”. Dal punto di vista puramente percettivo, ogni oggetto (ogni singola cosa) non è infatti che una irrelata molteplicità di stimoli ambientali, di impulsi nervosi e di eventi cerebrali.
(Scrive John Eccles: “Finora, è stato impossibile sviluppare qualsiasi teoria neurofisiologica che spieghi il modo in cui si possa raggiungere la sintesi di una diversità di eventi cerebrali, affinché vi sia un’esperienza cosciente unificata di carattere globale o di Gestalt. Gli eventi cerebrali rimangono disparati (…) Gli eventi cerebrali non forniscono alcuna spiegazione della nostra esperienza più comune, ovvero il mondo visivo osservato come un’entità globale, momento per momento” [8].)
Senza il concetto (senza il suo “potere di sintesi”, dice Scaligero) non solo, dunque, non si darebbero le relazioni o i nessi tra le singole cose, ma non si darebbero neppure le singole cose.
(Nei Dialoghi sulla libertà, abbiamo scritto: “I concetti passano inosservati perché vengono inconsciamente identificati con le cose. Si dice, ad esempio: “Vedo una sedia”, e si crede, così dicendo, che siano gli occhi a vederla. Se si fosse coscienti di quel che si fa, si direbbe invece: “I miei occhi ricevono degli stimoli che penso come “sedia” (…) Non ci si rende conto che la “sedia” è un concetto, e non una cosa” [9].)
Dire che l’individuale è un universale, significa dunque dire che il percetto è un concetto. Questo è quanto afferma in modo non del tutto esplicito (non “con piena chiarezza”) Steiner (10), in modo esplicito Hegel (“E’ senz’altro un sorprendente difetto di osservazione quello che nelle varie logiche causa la mancata indicazione del factum che in ogni giudizio viene enunciata questa proposizione: “Il Singolare è l’Universale”, oppure, in maniera ancora più determinata: “Il Soggetto è il Predicato””) (11), e questo è quanto abbiamo ripetutamente cercato, nel nostro piccolo (anzi, piccolissimo), di mostrare (12).
(Più volte, ad esempio, abbiamo paragonato l’Io a un pescatore, il pensare al pescare, i concetti e le idee ai pesci vivi e le rappresentazioni ai pesci pescati e morti, e, sempre nei Dialoghi, abbiamo scritto: “Ciò che più importa capire è che il percetto e il concetto non sono due cose diverse, bensì una stessa cosa appresa a due livelli di coscienza diversi. Il momento in cui percepiamo potrebbe essere paragonato a quello in cui un pescatore, sentendo tirare la lenza, sa di aver preso qualcosa, ma non sa ancora che cosa; il momento in cui pensiamo potrebbe essere invece paragonato a quello in cui il pescatore, tirandola fuori dall’acqua, realizza se è un pesce [e quale] o solo, magari, una vecchia ciabatta” [13].)

Note:
01) cit. in G.Roggero: Fiducia nel pensare – La formazione filosofica di Rudolf Steiner – Tilopa, Roma 1995, p. 112;
02) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, pp. 48-49;
03) cfr. Il pensare e i pensieri, 10 novembre 2013; Noterella 4 maggio 2014; Ancora sul pensare e i pensieri, 30 maggio 2014;
04) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Rusconi, Milano 1996, pp. 129 e 131. Che non sia riuscito a spiegarlo (“con piena chiarezza”) può provarlo anche il fatto che Steiner parla di Max Stirner (1806-1856), ossia del filosofo dell’Io (dell’ego), come dell’“anti-Hegel” (R.Steiner: I confini della conoscenza della natura – Antroposofica, Milano 1979, p. 57);
05) R.Steiner: op. cit., pp. 78-79;
06) ibid., p. 31;
07) nel fare questa affermazione, ci confortano le seguenti parole di Steiner: “La mia Filosofia della libertà intende sollecitare ad ogni pagina l’attività pensante del lettore; il libro vuol essere solo una specie di spartito che occorre leggere pensando attivamente, e progredendo per forza propria di pensiero in pensiero. In esso vien fatto appello continuamente alla collaborazione pensante del lettore, e inoltre si conta sugli effetti che una tale attività di pensiero esercita sull’anima” (R.Steiner: I confini della conoscenza della natura, pp. 104-105);
08) J.Eccles: Come l’io controlla il suo cervello – Rizzoli, Milano 1994, pp. 49-50. Si veda pure Il cervello la mente e l’anima, 12 dicembre 2001;
09) Dialoghi sulla libertà (3), 25 marzo 2009;
10) si considerino, al riguardo, queste parole di Steiner, tratte da una lettera scritta a Rosa Mayreder poco dopo la pubblicazione de La filosofia della libertà: ”Nel mio libro tutto è inteso personalmente, anche la forma dei pensieri. Una natura professorale potrebbe ampliare la cosa, forse anch’io a suo tempo” (in G.Roggero: op. cit., p. 113). E’ questa la probabile ragione delle aggiunte e delle appendici alla seconda edizione del 1918;
11) G.W.F.Hegel: op. cit., p. 333;
12) nei nostri “Studi gnoseologici”, in specie in Coscienza naturale e coscienza spirituale (15 febbraio 2002), abbiamo chiamato il percetto (l’individuale) X, il concetto (l’universale ) A, e così formulato quello che Steiner chiama il “giudizio di percezione”: “X è A” (l’individuale è l’universale). Riguardo al fatto – conseguente – che il “molteplice” sia un’”unità”, si veda il commento alle Massime antroposofiche 121/122/123 – 2°, 23 agosto 2012;
13) Dialoghi sulla libertà (6) , 26 giugno 2009.

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Di Lucio Russo
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