30/12/2014

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Scrive Marco Girardo: ““Perché non avete previsto la crisi?”. Così, una domanda diretta, senza girare intorno al problema. Era il novembre del 2008, poche settimane dopo l’inizio della più grave crisi globale del Dopoguerra, quando Elisabetta II, in visita alla London School of economics, schiaffò con spudoratezza regale il quesito in faccia a una pletora di economisti riuniti nel prestigioso centro britannico”.
Ebbene, Gary B. Gorton (“ex consulente della “Federal Reserve e oggi di stanza alla Yale University”), in una intervista rilasciata a Girardo, si dice convinto che gli economisti sono divenuti incapaci non solo di “prevedere le crisi”, ma addirittura di “vederle” a causa di “un corto circuito epistemologico capace di rendere cieca la scienza economica”.
In primo luogo, infatti, sono in larga parte “studiosi che hanno iniziato a formarsi nei college. Si sono specializzati in ambito accademico e poi sono andati a insegnare Economia all’università. Non hanno dunque quella che potremo chiamare “esperienza sul campo””.
In secondo luogo, si sono “innamorati dei numeri e hanno sacrificato la prospettiva storica per la certezza atemporale degli algoritmi. “Per come la vedo io – disse una volta il Nobel atipico Paul Krugman – la professione economica ha perso la bussola perché gli economisti hanno collettivamente confuso la bellezza, rivestita di calcoli matematici affascinanti, con la realtà (…) La causa fondamentale del fallimento della professione va ricercata nel desiderio di un approccio intellettualmente elegante che desse agli economisti anche un’opportunità di fare sfoggio delle loro competenze matematiche”” (Non è l’economista che fa l’economiaAvvenire.it, 10 dicembre 2014).
E pensare che molti non riescono ancora a capire il perché Steiner abbia affermato (più di novant’anni fa) che “per la vita sociale il problema del pane è un problema di pensiero” (R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999, p. 277).

P.S.
A proposito della “eleganza” e della “bellezza, rivestita di calcoli matemtici affascinanti” (confusi con la realtà), si tenga presente che, una volta passati, in modo intellettuale, dalla realtà sensibile all’astrazione, è poi possibile passare, sia, in modo scientifico-spirituale (attivo), dall’astrazione alla realtà sovrasensibile (essenza di quella sensibile), sia, in modo intellettualistico (passivo), dall’astrazione a un’ulteriore e seducente astrazione: cioè, al “virtuale”.
Diceva Goethe: “Sono pochi quelli che hanno il senso e il gusto del reale. I più si spassano entro paesi e circostanze inverosimili, di cui non hanno idea veruna, ma che la loro fantasia dipinge loro come meravigliosi” (G.P.Eckermann: Colloqui col Goethe – Laterza, Bari 1912, vol. I, pp. 168-169).

Di Lucio Russo
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