24/05/2015

2

Scrive Hegel: “Sentimenti, intuizioni, appetizioni, volizioni ecc., in quanto se ne ha coscienza, vengono denominati, in genere, rappresentazioni: si può dire perciò, in generale, che la filosofia pone, al posto delle rappresentazioni, pensieri, categorie e, più propriamente, concetti. Le rappresentazioni in genere possono essere considerate metafore dei pensieri e concetti (…) Si ode dire che non si sa che cosa si debba pensare in un concetto che si è già appreso: ora, in un concetto non c’è da pensar altro che il concetto stesso” (Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 6-7).
Ma è proprio vero che “in un concetto non c’è da pensar altro che il concetto stesso”? E’ vero se si sta sul terreno della filosofia, ma non lo è più se ci si porta su quello della scienza dello spirito (orientata antroposoficamente). Grazie a questa, infatti, il concetto che si è pensato o “già appreso” (che si è inconsciamente intuito) può essere percepito (sentito o sperimentato) nella sua essenza o realtà spirituale.
(Si ricordi che nella scienza della natura, il percepire si fa pensare, e facendosi pensare si spegne, mentre nella scienza dello spirito, il pensare si fa percepire, e facendosi percepire si accende.)
La filosofia “pone, al posto delle rappresentazioni, pensieri, categorie e, più propriamente, concetti”; la scienza dello spirito (in virtù della coscienza ispirata e di quella intuitiva) pone invece, al posto dei concetti, delle entità spirituali.
Si consideri, per fare un solo esempio la “bellezza”. Non è vero, come si è soliti dire, che Afrodite, per l’uomo greco, era “la Dea della bellezza”, è vero, piuttosto, che la bellezza, per l’uomo greco, era un entità divina.
Per l’uomo moderno (quello della prima fase di sviluppo dell’anima cosciente o della “caduta degli Dei”), la bellezza si è ridotta a un concetto, e questo si è a sua volta ridotto a un nome.
Per l’uomo “post-moderno”, vale a dire per l’uomo della seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente o della “resurrezione degli Dei”, la bellezza, in virtù del pensare nel sentire (degli “ideali del cuore”, dice Unger [*], e non della logica o del sentire nel pensare dell’anima razionale-affettiva), torna a essere un’entità divina: ovvero, la Sophia quale “bellezza della verità” o “splendore del vero”.

[*] C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 186.

Di Lucio Russo
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente