29/09/2016

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Il vero Io (spirituale) è unità o sintesi di io e non-io (di ego e non-ego, di soggetto e oggetto) (*).
Tale Io (inabitato dal Logos) (**) viene preso, dagli oggettivisti (assolutisti), per il non-io (fisico o metafisico), dai soggettivisti (relativisti), per l’io (psichico).
Ascoltiamo, riguardo ai soggettivisti, questo passo di Hegel (chiosandolo in chiave scientifico-spirituale): “Affinché l’Io sia cominciamento e fondamento della filosofia [come vorrebbe ad esempio Fichte], occorre che ne venga separato questo concreto [l’ego], nel che sta l’atto assoluto per cui l’Io vien purgato da se stesso [dall’ego], ed entra nella coscienza come Io astratto [come Sé spirituale]. Se non che questo puro Io non è allora più un Io immediato, né quel noto Io, l’Io ordinario della nostra coscienza (…) Quel puro Io è anzi, nella sua astratta essenzialità [nella sua realtà spirituale], un che d’ignoto alla coscienza ordinaria, qualcosa ch’essa non trova in sé. Da ciò nasce anzi l’inconveniente dell’illusione che si parli di qualcosa di noto, cioè dell’Io della coscienza di sé empirica, mentre nel fatto si parla di qualcosa che a questa coscienza è affatto estraneo. La determinazione del sapere puro come Io [del pensare puro come Io] (***) porta continuamente seco il richiamo all’Io soggettivo, i cui limiti bisogna dimenticare [superare], e fa sempre immaginare che le proposizioni e i rapporti, che nell’ulteriore sviluppo [dell’autocoscienza] risultano convenire all’Io, possano presentarsi e riscontrarsi nella coscienza ordinaria, poiché sarebbe appunto questa, della quale verrebbero affermati. Invece di una immediata chiarezza, questo scambio produce piuttosto una confusione grandissima e un completo disorientamento” (****). “L’Io come tale – scrive inoltre – non ha nessuno contenuto dato dalla natura o immediato, ma ha solo se stesso per contenuto. Questa pura forma è a sé, insieme, il proprio contenuto” (*****).
Come si vede, e come abbiamo altrove osservato (******), Hegel coglie speculativamente l’idea e l’Io, ma non coglie, nel pensare, l’attività (eterica) mediante la quale l’Io percepisce l’idea: gli sfugge perciò il piano di realtà in cui si svolge la missione di Michele (*******).

(*) “Per quanto tempo durerà questo lavoro di riunire gli opposti? Fin tanto che l’uomo sia di fatto arrivato a riprodurre, a ripetere nella propria la coscienza divina” (R.Steiner: Il senso della vita in Cristo e l’anima umana – Antroposofica, Milano 1996, p. 50).

(**) “Il Cristo, passato attraverso il mistero del Golgota, ha il suo rapporto con il vero io umano (…) nel detto di Paolo: “Non io, ma il Cristo in me”, quell’“in me” si riferisce al vero io, nascosto alla concezione attuale” (R.Steiner: Le necessità della coscienza per il presente e l’avvenire – Antroposofica, Milano 2003, p. 87).

(***) “Per l’io non è indifferente quel che il pensiero puro fa, perché il pensiero puro è il creatore dell’io” (R.Steiner: Filosofia e antroposofia – Antroposofica, Milano 1980, p. 32).

(****) G.W.F.Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari, 1974, vol. 1°, pp. 63-64.

(*****) G.W.F.Hegel: Propedeutica filosofica – La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 21.

(******) cfr. Della dialettica, 14 ottobre 2015.

(*******) cfr. R.Steiner: La missione di Michele – Antroposofica, Milano 1981; R.Steiner: Il mistero di Michele in Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969.

P.S.
Nell’articolo summenzionato (Della dialettica), abbiamo detto che Hegel non si avvede che assegnando il movimento ai pensieri lo si sottrae al pensare e, di conseguenza, al pensante (all’Io).
Lo provano, ove ce ne fosse ancora bisogno, queste sue affermazioni: “Meno che mai possiam credere che quelle forme di pensiero [le idee o le categorie], le quali si stendono attraverso a tutte le nostre rappresentazioni (…), servano a noi; che cioè siamo noi, che le abbiamo in nostro possesso, e non piuttosto quelle che hanno in possesso noi. Che cosa rimane a noi di fronte ad esse? Come potremmo noi, come potrei io mettermi al di sopra di esse come più universale, al di sopra di esse, che sono appunto l’universale come tale?” (*).
Non si avvede, inoltre, che l’ego non è “affatto estraneo” all’Io (un altro o secondo Io), bensì (per usare un suo noto modo di dire) è “già e non ancora” l’Io: ovvero, è già la coscienza rappresentativa (sensibile) dell’Io e non ancora la coscienza intuitiva (sovrasensibile) dell’Io.

(*) G.W.F.Hegel: Scienza della logica, vol. I, p. 14.

Di Lucio Russo
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