Ci siamo già occupati del grande filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948) e del fatto che non abbia compreso l’insegnamento di Steiner (1).
Riprendiamo qui l’argomento, prendendo spunto da alcune affermazioni relative all’antroposofia (da lui impropriamente definita “una teosofia scientiforme”) tratte dal suo Il senso della creazione (1916) (2).
Vogliamo farlo perché riteniamo che comprendere la mancata comprensione della scienza dello spirito da parte di seri e validi pensatori, e non della moltitudine degli odierni “cervellazzi” (T.Garzoni), aiuti a comprendere più profondamente Steiner.
Scrive Berdjaev: “L’aspirazione alla scientificità e alla scientiformità non ha soggiogato soltanto la filosofia, ma anche la teosofia. Il movimento teosofico contemporaneo è totalmente impregnato da quell’infelice idea secondo cui religione e mistica sarebbero una conoscenza di tipo scientifico. E’ il vecchio gnosticismo che risorge in forma scientifica. Il teosofo contemporaneo più famoso e significativo, Rudolf Steiner, dà alla sua teosofia una struttura scientifica, la struttura di una scienza rigorosa, pura e semplice. La sua teosofia è una sorta di scienza naturale, con la sola differenza che è applicata ad altri piani dell’essere, è uno Haeckel trasferito in altri mondi. Steiner scrive intenzionalmente i propri libri secondo lo stile dei trattati di mineralogia e geografia. Il suo metodo è puramente descrittivo e scientifico, e comunque non filosofico. In un certo senso non esce dall’ambito naturalistico scientifico, ed anzi vuole ampliarlo e diffonderlo invece di superarlo e liberarsene. Secondo Steiner, la scienza è il fatto fondamentale della vita dell’umanità. Anche se poi egli combatte le conseguenze materialistiche di questo fatto. Steiner scrive di mistica non in modo mistico, ma scientifico. Nei suoi scritti non affiorano neppur lontanamente quelle esperienze personali, quelle ispirazioni e quelle illuminazioni la cui presenza ci rende invece così affascinanti i veri mistici. Egli non fa altro che esporre con una secchezza puramente descrittiva la propria materia, dando una sorta di carta geografica dell’essere […] Il carattere scientiforme della sua teosofia [antroposofia] dà l’impressione di essere una concessione allo spirito del tempo o una sorta di adattamento tattico ad una mentalità nutrita di materialismo e di positivismo” (3).
Come si vede, a Berdjaev sfugge la natura sostanziale (ontologica), e non meramente formale, della scienza: gli sfugge, ossia, che la scienza è un soggetto, non un oggetto, ch’è un’entità spirituale, e ch’è l’avvento di questa entità a costituire “il fatto fondamentale della vita dell’umanità” moderna (e non dell’umanità in generale).
Scrive Hegel: “Una tale fede [dei “discepoli in Cristo”], alla quale non mancava la certezza più salda, viene tuttavia dichiarata soltanto come l’inizio, la base fondamentale e la condizione, come qualcosa di ancora incompiuto. Coloro che possedevano tale fede non avevano ancora lo Spirito, dovevano ancora riceverlo: dovevano ricevere ancora lo Spirito che è la Verità stessa, lo Spirito che è soltanto posteriore a quella fede e che è guida verso ogni verità” (4).
L’antroposofia (“posteriore a quella fede”) è per l’appunto espressione non del “vecchio gnosticismo che risorge in forma scientifica”, ma di una conoscenza del tutto nuova, come del tutto nuovo è l’avvento, dopo quello del Figlio, dello Spirito Santo o dello “Spirito di verità” (5).
(L’antroposofia è “una corrente spirituale che nella nostra epoca scaturisce con profonda necessità dal sorgere della concezione scientifica dei secoli scorsi, nella forma che questa ha assunto in modo speciale nel nostro tempo”; deve essere però pensata “più come una figlia vivente, se così posso dire, dei presupposti scientifici, piuttosto che solo una sua logica conseguenza” [6]; “Non capisce l’intimo impulso dell’antroposofia chi non voglia organizzarla nel senso del pensiero e del sentimento più moderni” [7].)
Solo chi riconosca questa verità potrà capire l’esortazione (pentecostale) di Steiner a “giungere al Cristo attraverso un pensiero scientifico” (8).
Dice il Cristo-Gesù: “Quando invece sarà venuto lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità, perché non vi parlerà da se stesso; ma vi dirà tutto quello che ascolta, e vi farà conoscere l’avvenire. Egli mi glorificherà perché riceverà del mio e ve lo farà conoscere” (Gv 16,13).
Che cosa vuol dire che lo Spirito di verità (Dio nel pensiero) “non vi parlerà da se stesso”? Vuol dire che sarà portatore di un pensiero libero dalla soggettività: libero, cioè, dalle ipoteche del sentire dell’anima razionale-affettiva e da quelle del volere dell’anima senziente (dall’Oriente cristiano la terza Persona della Trinità viene detta “kenotica”: ovvero, dimentica o vuota di sé).
Nella fase evolutiva dell’anima senziente (mitologica o mitosofica), l’uomo ha sperimentato il pensiero nella volontà, in quella dell’anima razionale-affettiva (filosofica), ha sperimentato il pensiero nel sentimento; con l’avvento dell’anima cosciente (1413 d.C.) sperimenta invece il pensiero nel pensiero: un pensiero per un verso astratto, ma per l’altro libero tanto dalla soggettività (organica) del volere quanto da quella (animica) del sentire. Questo pensiero, proprio perché privo di vita e di anima, ha permesso all’uomo di conoscere quanto nel mondo è privo di vita e di anima: ha cioè permesso la nascita della scienza naturale, quale conoscenza oggettiva (galileiana) del mondo sensibile o, per meglio dire, inorganico.
Dice appunto Steiner: “La prima cosa necessaria affinché l’uomo possa rimanere sulla Terra nel modo giusto, è una conoscenza veramente pura del mondo sensibile. In epoche passate non esisteva una simile conoscenza pura, perché nella vita animica degli uomini interveniva sempre un elemento visionario, immaginativo, e presso i Greci ancora la fantasia” (9).
(L’avvento dell’anima cosciente ha permesso quello della scienza, e non viceversa. Scrive Steiner: “Da quando l’uomo forma i pensieri [pensa-percepisce i concetti e forma le rappresentazioni] per attività propria [grazie al proprio pensare], egli è rinviato alla percezione dei sensi per dare un contenuto ai suoi pensieri. Inizialmente, quindi, l’uomo dovette riempire di contenuto materiale la propria conquistata spiritualità” [10]. Si può dire: in passato, l’uomo ha sperimentato il pensiero nella volontà e nel sentimento; oggi, sperimenta il pensiero nel pensiero; in futuro, se saprà aprirsi la strada che porta dal pensiero rappresentativo a quello immaginativo [michaelita], sperimenterà il sentimento e la volontà nel pensiero [l’ispirazione e l’intuizione].)
Quanti conoscono la sua biografia ricorderanno di certo queste parole: “Sono persino convinto che se avessi studiato nel senso usuale filosofia invece di venir educato in un Politecnico, trovandomi quindi inserito nell’odierno mondo della tecnica, non avrei scritto La filosofia della libertà; essa è infatti l’aspetto polare dell’esperienza del puro fatto. Il fatto puro, che viene sperimentato nel mondo meccanico esteriore e che conduce quindi al fenomeno è senza dubbio ciò che richiama pienamente l’altro polo opposto […] In tal modo l’epoca della tecnica, con le sue macchine, è da un certo lato il terreno fecondo per una concezione del mondo conforme allo spirito” (11).
Qual è “l’aspetto polare dell’esperienza del puro fatto”? E’ l’esperienza del puro pensiero, quella appunto del pensiero nel pensiero, di un pensiero privo di vita e di anima (matematico), e per ciò stesso “morto”, cui viene data la possibilità (in grazia del Verbo che “si è fatto carne”) di risorgere (dal suo non-essere) e di ritrovare così, al di là della sfera soggettiva (karmicamente determinata), la vera vita e la vera anima (umane).
Ascoltiamo quanto dice Scaligero: il Tantrismo “manca dell’elemento primo, dell’essenziale immanenza […] manca dell’elemento radicale imprescindibile alla situazione dell’uomo caduto: il moto del freddo pensiero astratto che, scaturito come pensiero scientifico, cela in sé il potere di una dimensione trascendente, riconoscibile nel suo carattere di impersonalismo puro. Tale valore metafisico, presente nell’esperienza scientifica occidentale, sfugge tuttavia allo scienziato come al filosofo. Nell’aridità dell’agnostico pensiero matematico, in effetto brilla una fredda luce, segno di una invisibile luce di vita, più prossima alle nitide linee della geometria e della logica formale, che non alle tensioni della psiche yoghica o mistica. Tale pensiero, recato a coscienza e afferrato nella sua incorporeità, si rivela scaturente da una corrente di vita la cui dynamis è appunto ciò che lo yoga tantrico chiama kundalini […] Se il pensiero riflesso è mâyâ, è nulla, non vincola all’essere né all’esistere, esso è simultaneamente l’unica attività in cui lo sperimentatore può liberamente giocare: mediante il veicolo più basso, ma più autonomo, egli può muovere fuori della propria natura, sino a contemplare qualcosa di là dai dinamismi corporei e psichici: può tendere verso ciò che egli è di là dall’esistenza sensibile” (12).
Negli scritti di Steiner – afferma Berdjaev – “non affiorano neppur lontanamente quelle esperienze personali, quelle ispirazioni e quelle illuminazioni la cui presenza ci rende invece così affascinanti i veri mistici”.
Per quale ragione Steiner, benché apprezzato (13), non lo affascina? Perché essendo quella di Berdjaev un’anima razionale-affettiva (filosofica) affascinata dall’anima affettivo-razionale e in parte senziente dei mistici (“la teosofia mistica – dichiara – è l’arte suprema”) (14), non è in grado di comprendere un’anima cosciente elevatasi dalla sua prima fase di sviluppo scientifico-naturale a quella scientifico-spirituale (15).
(“Le concezioni di Copernico e di Giordano Bruno, relative al superamento dell’apparenza sensibile nei riguardi dello spazio, scaturiscono nel vero senso della parola dalle ispirazioni della corrente spirituale di cui è seguace anche la moderna scienza dello spirito. Ciò che possiamo chiamare l’esoterismo dei tempi nuovi esercitò segretamente la sua influenza su Copernico, Bruno, Keplero e altri” [16].)
Dice Steiner, di quella che Berdjaev chiama la “secchezza puramente descrittiva” del suo stile: “Il mio stile non è tenuto in modo da far trapelare nei periodi i miei sentimenti soggettivi. Mentre scrivo, attutisco ciò che sale dall’intimo calore e dal profondo sentimento, in uno stile asciutto, matematico. Ma solo questo stile può essere un risvegliatore, poiché il lettore deve suscitare in se stesso il calore e il sentimento; non può lasciare che, in uno stato di coscienza smorzata, essi vengano in lui semplicemente “travasati” dall’autore” (17).
(Chi affascina, incanta o seduce agisce, di fatto, sul corpo astrale dell’altro; chi si serve della sola e pura forza del pensiero si rivolge invece, scientemente, all’Io.)
Che cosa si deve dunque concludere? Che a Berdjaev è essenzialmente mancato, per dirla con Scaligero, il “coraggio di essere moderno” (18), così com’è ad esempio e in altro modo mancato al Georges Bernanos (1888-1948) de Lo spirito europeo e il mondo delle macchine (19), al René Guénon (1886-1951) de La crisi del mondo moderno (20), allo Julius Evola (1898-1974) della Rivolta contro il mondo moderno (21), e come manca ancora a tanti altri (magari sedicenti “post-moderni”).
(Osserva Scaligero: si “può riconoscere bensì il regno di Ahrimane, ma illudersi di recedere da esso, mediante forme attuali dell’antica Gnosi, e una opposizione alla Scienza, alla tecnologia, al consumismo, attraverso una critica severa del mondo moderno: che è un tornare nel regno di Lucifero e una reviviscenza del legalismo javetico, il cui scopo occulto è lasciare intatto il mondo di Ahrimane” [22].)
Si consideri, per finire, che non avere il “coraggio di essere moderno” significa, per un pensatore cristiano, non avere il coraggio di aprire le porte della propria anima allo Spirito Santo: al solo Spirito, cioè, che permette di distinguere la luce del Cristo da quella di Lucifero (Christus verus Lucifer).
Note:
01) cfr. Il cosa, il come, il chi (6 marzo 2008) e i commenti alle Massime antroposofiche 29/30/31 (18 marzo 2011); 38/39/40 – 1° (29 aprile 2011); 109/110/111 – 1° (12 aprile 2012); 162/163/164 – 3° (17 settembre 2013);
02) N.Berdjaev: Il senso della creazione – Jaca Book, Milano 1994;
03) ibid., pp. 82-83 e 83n;
04) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Rusconi, Milano 1996, p. 79;
05) cfr. Noterella 1 settembre 2016. Scrive Nereo Villa: “Tutto ciò che rientra nel concetto di tempo è, per il mondo ebraico, compreso entro il concetto del 40. Si parla infatti dei 40 giorni di peregrinazione di Elia sull’Horeb, dei 40 anni di Mosè nel deserto, dei 40 giorni di digiuno, ecc.. Il concetto del 40 si estende fino al 49. Poi incomincia un altro mondo. E’ un mondo in cui si accede a una conoscenza superiore. Tale conoscenza è l’accoglimento di qualcosa di completamente nuovo: la rivelazione dello spirito di verità. Quest’ultima è espressa nel cristianesimo in una festa che cade il 50° giorno dopo Pasqua che, proprio per questo motivo, è denominata Pentecoste” (N.Villa: Il sacro simbolo dell’arcobaleno – SeaR Edizioni, Casalgrande [R.E.] 1998, p. 59 – corsivo nostro);
06) R.Steiner: L’antroposofia e le scienze – Antroposofica, Milano 1995, p. 7;
07) R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p. 122;
08) cit. in S.Rihouët-Coroze: Rudolf Steiner. La vita e l’opera del fondatore dell’antroposofia – Convivio (Nardini), Firenze 1989, p. 94;
09) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, p. 31;
10) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 61;
11) cit. in G.Roggero: Fiducia nel pensare. La formazione filosofica di Rudolf Steiner – Tilopa, Roma 1995, p. 92;
12) M.Scaligero: Graal. Saggio sul mistero del sacro amore – Tilopa, Roma 1982, pp. 17-18. Scrive Steiner: “Nel freddo e astratto mondo del pensiero può penetrare la realtà spirituale satura di essere. Questo significa l’inizio dell’epoca di Michele” (R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 61);
13) non però nel 1918, quando scrisse: ”Lo spirito germanico ha agito per vie multiformi e complesse; attraverso Marx, attraverso Kant, attraverso Steiner e attraverso molti altri maestri che ci hanno sedotto, debilitando la volontà russa” (N.Berdjaev: Lettere ai miei nemici. Filosofia della disuguaglianza – La Casa di Matriona, Milano 2014, p. 43);
14) N.Berdjaev: Il senso della creazione, p. 84;
15) Berdjaev vorrebbe superare l’idealismo “astratto” (filosofico) e ritrovare “l’essere vivo” mediante la mistica, e non, come Goethe e soprattutto Steiner, mediante l’idealismo “oggettivo”, “empirico” o “scientifico-spirituale” (cfr. Le opere scientifiche di Goethe (46) [24 gennaio 2007] e Della dialettica [14 ottobre 2015]). Scrive: “L’idealismo tedesco si fermò allo stadio d’un’estrema astrattezza e di un estremo razionalismo, portati a compimento da Hegel. I filosofi russi, cominciando da Chomjakov, fecero un’acuta critica dell’idealismo astratto e del razionalismo di Hegel e passarono non all’empirismo, non al neocriticismo, ma all’idealismo concreto, al realismo ontologico, al completamento mistico dell’intelletto della filosofia europea che aveva perduto l’essere vivo” (N.Berdjaev: La verità filosofica ed il vero dell’intelligencija in AA.VV.: La svolta (Vechi) – Jaca Book, Milano 1990, pp. 28-29);
16) R.Steiner: La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità – Antroposofica, Milano 1975, pp.67-68;
17) R.Steiner: La mia vita – Antroposofica, Milano 1992, p. 334;
18) M.Scaligero: op. cit., p. 17. Lo stesso Berdjaev dice: “L’uomo russo è incline a sperimentare tutto in modo trascendente, non immanente, e questo può facilmente comportare una servitù dello spirito. In ogni caso ciò dimostra un’insufficiente maturità spirituale” (N.Berdjaev: Gli spiriti della rivoluzione russa in AA.VV.: Dal profondo – Jaca Book, Milano 1971, p. 88);
19) cfr. G.Bernanos: Lo spirito europeo e il mondo delle macchine – Rusconi, Milano 1972;
20) cfr. René Guénon: La crisi del mondo moderno – Mediterranee, Roma 2003;
21) cfr. Julius Evola: Rivolta contro il mondo moderno – Bocca, Milano 1951;
22) M.Scaligero: Iside-Sophia la dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p. 84.