13/10/2017

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Alberto Mattioli così apre, su La Stampa, il suo articolo: “Si chiama YuMi, è un robot e di mestiere fa il direttore d’orchestra. Ha debuttato martedì, al Festival della Robotica di Pisa, con Andrea Bocelli”, dirigendo “l’intermezzo di “Cavalleria rusticana” di Mascagni, “O mio babbino caro” dal “Gianni Schicchi” di Puccini e “La donna è mobile” del “Rigoletto di Verdi””; e così lo chiude: “Si supera, qui, la soglia fra la macchina che replica quel che l’uomo gli ha insegnato a fare e la macchina che se lo inventa. Lasciandoci con l’idea che queste magnifiche sorti e progressive dell’automazione possano diventare anche un po’ preoccupanti. Quasi peggio che sentire Bocelli straziare Verdi” (14 settembre 2017).
Il fatto ha lasciato in noi, più che un’“idea”, una sensazione non meno sgradevole di quella prodotta dal raschio delle unghie sulla lavagna.
Abbiamo infatti sentito penosamente stridente il connubio tra la morta realtà meccanica del robot, frutto d’ingegno, e quella vivente, animata e spirituale della musica, frutto d’ispirazione (nessuno, vogliamo sperare, definirebbe “ingegnose” le creazioni di Mascagni, Puccini e Verdi).
Che cosa avrà sentito o provato YuMi, mentre dirigeva? Assolutamente nulla (e nulla avrà pertanto trasmesso, a differenza, che so, di un Toscanini, di un Furtwängler o di un Karajan, all’orchestra e agli ascoltatori), dal momento ch’è una mera e gelida “cosa” fornita d’intelligenza artificiale (computazionale), ma non di sentimento e di volontà (più povera, dunque, dei vegetali e degli animali, giacché sembra che la musica riesca a far crescere i pomodori e che le mucche del Wisconsin, ascoltando Mozart, producano più latte) (*).
Se non vivessimo in tempi di “peste culturale”, sarebbe inutile ricordare che la musica, come afferma Beethoven, mette l’uomo in contatto con l’essenza divino-spirituale della realtà.
Si consideri, inoltre, che la capacità della musica di “toccare” tutto l’uomo (il corpo, l’anima e lo spirito), e non la sua sola parte neuro-sensoriale, implica un suo stretto e inconscio legame con la sfera della moralità.
Non a caso, è possibile un’“intelligenza artificiale”, ma è impossibile una “saggezza artificiale”.

(*)cfr. P.Vessicchio: La musica fa crescere i pomodori – Rizzoli, Milano 2017; A.Baricco: Le mucche del Wisconsin e l’anima di Hegel – Feltrinelli, Milano 2013.

P.S.
Dalle lettere di Ludwig van Beethoven:
“La musica deve far sprizzare lo spirito degli uomini”;
“La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e di ogni filosofia…”;
“Non vi è nulla di più bello che avvicinarsi alla Divinità e spargerne i raggi sulla razza umana” (R.Rolland: Vita di Beethoven – Passigli, Firenze 1984, p. 89).

Di Lucio Russo
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