Un’altra lettera delle Massime antroposofiche

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Vogliamo aggiungere, a quelle presenti in Due lettere delle Massime antroposofiche (2 novembre 2017), alcune riflessioni sulla lettera del 16 novembre 1924, intitolata: La missione di Michele nell’epoca della libertà umana.
Per comprendere queste, sarà quindi bene conoscere quelle.
Recita il Vangelo di Giovanni: “La luce, quella vera, che illumina ogni uomo, veniva nel mondo. Era nel mondo, e il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa sua, e i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero, a quelli che credono nel suo nome, diede il potere di diventare figli di Dio; i quali, non dal sangue, né da voler di carne, né da voler dell’uomo, ma da Dio sono nati” (Gv 1,9-13).
Che cosa significa nascere “da Dio” e “diventare figli di Dio”?
Per poterlo capire, è necessario ricordare che il processo della creazione è partito dal corpo fisico (antico-Saturno) ed è arrivato all’Io (Terra), passando per le tappe del corpo eterico (antico-Sole) e del corpo astrale (antica-Luna) (1).
Arrivato all’Io, il processo della creazione si è esaurito e consolidato nel “creato” (nell’“opera compiuta”); e tale sarebbe rimasto se il Cristo, facendosi “carne”, non avesse offerto all’uomo la possibilità di procedere a una nuova creazione (a un “ottavo giorno della creazione”), ripercorrendo dal basso in alto le tappe della sua discesa.
(“Michele riascende le vie che l’umanità ha disceso sui gradini dell’evoluzione dello spirito fino all’esplicazione dell’intelligenza. Solo che Michele guiderà la volontà a riascendere le vie che la saggezza ha discese fino al suo ultimo gradino, all’intelligenza” [all’intelletto].) (2)
La nuova creazione parte dunque dall’Io (dalla Terra) per arrivare all’Uomo-spirito (futuro Vulcano), passando per le tappe del Sé spirituale (futuro Giove) e dello Spirito vitale (futura Venere): parte cioè dall’Io, per arrivare al corpo fisico (alla “resurrezione della carne”), passando per le tappe del corpo astrale e del corpo eterico.
Nascere “da Dio” significa dunque nascere dall’“Io sono”, e “diventare Figli di Dio” significa diventare figli (“unigeniti”) dell’“Io sono”, ri-creando, a partire appunto dall’Io (inabitato dal Cristo), il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.
Ma c’è un problema: l’uomo moderno è chiamato a gestire, nel suo essere, la contingente convivenza della forza viva che crea, muovendo verso il futuro, una “vita nova” (un nuovo Adamo) con quella statica e inerte del passato (del vecchio Adamo). Si tratta di una convivenza che può impedire, se non gestita con saggezza, coraggio e spregiudicatezza, la resurrezione o redenzione dell’uomo e del mondo.
(Paolo: “La creazione attende con gran desiderio la glorificazione dei figli di Dio […] Tutta quanta la natura insieme sospira e soffre le doglie del parto” [Rm 8,19 e 22].)
Ma vediamo meglio.
Scrive Steiner: “Se veramente la libertà deve vivere nell’azione umana, ciò che viene compiuto nella luce della libertà non deve per nulla dipendere dall’organizzazione fisica ed eterica dell’uomo. L’azione libera può compiersi soltanto partendo dall’io, e il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io, per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico. – Questo è però solo un lato del fenomeno. L’altro lato diventa comprensibile appunto in relazione con la missione di Michele. Ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico. Se questo accadesse l’uomo dovrebbe interamente deviare da ciò che egli è divenuto, nelle tappe della sua evoluzione, sotto l’influsso dell’entità divino-spirituale e della manifestazione divino-spirituale. Quello che l’uomo sperimenta attraverso ciò che è soltanto opera compiuta divino-spirituale attorno a lui deve esercitare un’influenza soltanto sul suo spirito (sul suo io) [l’opera compiuta “deve esercitare un’influenza”, quale percezione, soltanto sul pensare, e il pensare “deve esercitare un’influenza” sul sentire e sul volere]. Sulla sua organizzazione fisica ed eterica può esercitare un’influenza solo ciò che di quanto ha avuto il suo principio nell’“entità” e nella “manifestazione” del divino-spirituale, non continua nella corrente evolutiva, nel mondo che circonda l’uomo [nell’opera compiuta], ma entro la sua stessa entità [nell’Io e nel corpo astrale]” (3).
Se si è compresa La filosofia della libertà (4), non si faticherà a comprendere le prime righe di questo passo: non si faticherà a comprendere, cioè, che non può essere libera un’azione che, partendo dal corpo fisico, dal corpo eterico o dal corpo astrale (dalla natura inferiore), giunga a condizionare o determinare l’Io.
(Si tenga presente, in proposito, che Arimane agisce sull’Io [fuoco-etere del calore], a partire dal corpo fisico [terra-etere della vita], mentre Lucifero agisce sul corpo eterico [acqua-etere chimico o del suono], a partire dal corpo astrale [aria-etere della luce], e che “nei corpi eterico e fisico-sensibile – come afferma Steiner – operano forze che provengono dalle entità luciferiche e arimaniche. Poiché tali entità sono di origine spirituale, è naturale che nella sfera stessa del corpo fisico e di quello eterico si trovi una specie di entità astrale dell’uomo. A una veggenza spirituale che si limiti ad accogliere solo le immagini della coscienza soprasensibile, senza essere capace di comprenderne bene il significato, può facilmente accadere che l’involucro astrale del corpo fisico e di quello eterico vengano scambiati per il vero corpo astrale. Senonché proprio questo “corpo astrale” è l’elemento della natura umana che nella sua attività contrasta l’ordinamento veramente assegnato all’uomo nella struttura dell’universo” [5].)
Comprendere le righe successive (“l’altro lato” del fenomeno) è ben più impegnativo (perfino Carl Unger, nel suo studio delle “Massime”, le giudica oltremodo difficili) (6).
Domandiamoci: un Io che sia riuscito a distinguersi e a dis-identificarsi dalla propria natura inferiore, come dovrà poi comportarsi nei suoi riguardi? Dice Steiner che sulla nostra organizzazione fisica ed eterica “può esercitare un’influenza solo ciò che di quanto ha avuto il suo principio nell’“entità” e nella “manifestazione” del divino-spirituale, non continua nella corrente evolutiva, nel mondo che circonda l’uomo, ma entro la sua stessa entità”. Ebbene, proviamo a ridirla così: nell’uomo, quale portatore dell’Io e del corpo astrale, “quanto ha avuto il suo principio nell’“entità” e nella “manifestazione” del divino-spirituale” opera come libertà (spirituale); “nel mondo che circonda l’uomo” e nell’uomo stesso, quale portatore del corpo fisico (dell’“opera compiuta”) e del corpo eterico (dell’“effetto operante”), nonché del falso corpo astrale (della psiche neuro-fisiologica), opera di contro come necessità (naturale).
(“Nell’attività del Cristo entro l’evoluzione umana giacciono le forze di cui l’uomo, nel suo agire in libertà, ha bisogno come compenso agli impulsi naturali soppressi”: a quegli impulsi che, in origine, erano “in pari tempo vie spirituali” [7].
Ci si potrebbe aiutare immaginando l’Io e il corpo astrale come la parte superiore e umana del Centauro, il corpo fisico e il corpo eterico come la parte inferiore e animale.)
Spiega Steiner: “Immaginiamo il nuovo Iniziato [non l’iniziato dell’anima senziente, rappresentato da Artù [il Sole], da Ginevra [la Luna] e dai Cavalieri della Tavola Rotonda [i dodici segni zodiacali], ma quello dell’anima razionale-affettiva, rappresentato dai Cavalieri del Graal] nel momento in cui, dopo aver liberato il suo io e il suo corpo astrale dai corpi fisico ed eterico, li contemplava dall’esterno, e rendiamoci conto di che cosa egli vedesse in essi e intorno ad essi. Vedeva qualcosa che, in certo senso, se non s’impara a capire a fondo, poteva dar ragione di forte inquietudine. Ed è ancora oggi così. Il corpo fisico e quello eterico sono pervasi in ogni direzione da correnti, da “fasci di fili”, qualcosa di comparabile ai fasci nervosi del corpo fisico, ma più sottile, qualcosa che percorre il corpo e di cui la visione occulta deve dire: “Ma questo è morto! Così morto che l’uomo ha veramente nel suo corpo fisico una specie di sostanza morta”. Ma questo qualcosa di morto, condannato alla morte durante tutta la vita terrena, era ancora vivente durante l’epoca orientale dell’evoluzione umana. Si fa veramente l’esperienza che oggi nei corpi umani è contenuto qualcosa di morto. E poi si cerca di capire che cosa sia in realtà questo elemento morto inserito nel corpo umano, e che una volta viveva (“morto” va inteso in senso relativo; è bensì vivificato dall’ambiente circostante [dalla natura], ma è formato da correnti e tendenze nel corpo umano che di fronte al vivente hanno sempre la disposizione alla morte)” (8).
Alla domanda che ci siamo posti (“Un io che sia riuscito a distinguersi e a dis-identificarsi dalla propria natura inferiore, come dovrà poi comportarsi nei suoi riguardi”?), Steiner così risponde: “Le anime anelano a vivificare nel corpo fisico e nel corpo eterico, qualcosa che invece devono lasciar morto, perché ciò che un tempo accolsero in sé non arriva più alla coscienza […] Le forze luciferiche ed arimaniche, agendo su questo elemento morto, esercitano sull’uomo un’influenza del tutto particolare per natura ed ampiezza. Se, per un verso, l’uomo diviene sempre più libero, dall’altro proprio nell’elemento che si sottrae al controllo dell’anima s’insinuano le forze luciferiche ed arimaniche. Questa è la ragione per cui, oggi, tante nature si sentono come abitate da due anime, come se l’una volesse veramente separarsi dall’altra” (9).
Ciò che nell’uomo dell’anima cosciente è “morto” (“in senso relativo”) e “non arriva più alla coscienza” è dunque l’inconscio. Come bisogna quindi affrontarlo? Lo si deve esplorare con la coscienza ordinaria (l’intelletto) o lo si deve “lasciar morto”, impegnandosi piuttosto a “nutrire” l’anima cosciente (“quella zona dell’anima rimasta viva”) “perché possa rendersi dominatrice di quel morto elemento del corpo fisico e di quanto, nell’anima, è divenuto incosciente” (10)?
Insomma, si deve scendere (nell’inconscio) per salire, o si deve salire (ai gradi superiori di coscienza) per scendere?
Ignorando la realtà dei gradi superiori di coscienza (11), Jung segue la prima di queste due vie. Scrive infatti: “La discesa nel profondo sembra precedere sempre l’ascesa”; a chi “tende a una più luminosa altezza si oppone la necessità di sprofondare prima in un baratro oscuro: questa si dimostra condizione indispensabile per un’ulteriore salita” (12).
Steiner segue invece la seconda. “A differenza degli antichi Misteri – afferma -, i Nuovi possono essere compresi da tutti; infatti questo intenso compenetrarsi dell’anima cosciente di saggezza spirituale, di una conoscenza spirituale attinta con l’aiuto di concetti e non fondata su di una autorità, permetterà di superare a poco a poco, quel che è incosciente e morto nell’anima e nell’organismo. Se si tien conto di tutto quello che la cultura e il sapere possono oggi donare all’uomo, perfino contenuti come quelli esposti, una volta accolti possono venir compresi, interamente penetrati mediante concetti, ma potranno essere indagati solo da chi conoscerà per diretta chiaroveggenza i Misteri moderni. Questi contenuti devono essere perfettamente compresi! E non ha importanza se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’“umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito. Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale: quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal” (13).
“Nell’epoca moderna, – afferma ancora – la natura umana può essere ancora una “doppia natura” (14) […] L’uomo dei tempi moderni porta in sé questa duplice natura: Parsifal che aspira e tende con ogni sforzo a salire, e il ferito Amfortas; l’uomo, conoscendo se stesso, è così che deve percepirsi” (15); e così conclude: “Il voler negare l’esistenza della natura di Amfortas significa non essere veramente pronti per la nostra epoca: l’uomo moderno vuol negare l’esistenza di Amfortas, che pure reca in sé, perché ama avvolgersi nella mâyâ” (16).
In quanto appunto “avvolto nella mâyâ”, Jung non realizza che la “doppia natura” (“Nel mio petto, ahimè, abitano due anime”, dice Faust) (17) è una prova evolutiva (ontologica) della moderna umanità (“L’uomo – scrive Scaligero – è un malato in via di guarigione”) (18), e non un mero problema personale o nevrotico (psicologico), né realizza che non vi è alcun bisogno che l’uomo, per poter ascendere a una “più luminosa altezza”, sprofondi in un “baratro oscuro”, giacché la sua inferiore natura vi è già da gran tempo sprofondata.
Ci auguriamo, concludendo, che queste modeste riflessioni siano in grado di aiutare a comprendere più profondamente la lettera di Steiner e a guadagnare una sempre più lucida consapevolezza dell’essenziale differenza tra la cosiddetta “psicologia dell’inconscio” (freudiana e junghiana) e la scienza dello spirito, ch’è anche, come si vede, una scienza dell’anima (una psicologia o, per meglio dire, una “psicosofia”).

Note:

01) cfr. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969;
02) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, pp. 78-79;
03) ibid., pp. 95-96;
04) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
05) R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, pp. 154-155;
06) cfr. C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970;
07) R.Steiner: Massime antroposofiche, pp. 97 e 98;
08) R.Steiner: Parsifal e Amfortas – Tilopa, Roma 1983, pp. 55-56;
09) ibid., p. 57;
10) ibid., p. 57;
11) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977;
12) C.G.Jung: Gli archetipi dell’inconscio collettivo in La dimensione psichica – Boringhieri, Torino 1972, pp. 136-137;
13) R.Steiner: Parsifal e Amfortas, pp. 64-65;
14) ibid., p. 64. Questa profonda e ignota “doppia natura” è alla radice di quanto va oggi sotto il nome di “ambivalenza” o “bipolarismo”;
15) ibid., p. 66;
16) ibid., p. 66;
17) J.W.Goethe: Faust – Einaudi, Torino 1967, p. 35;
18) M.Scaligero: Guarire con il pensiero – Mediterranee, Roma 1993, p.13.

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Di Lucio Russo
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