Nella nota intitolata: Pacifisti e guerrafondai (15 Novembre 2002), avevamo riferito la seguente affermazione di Bin Laden: “Io non temo la morte. Io la amo: così come voi amate la vita”.
Ebbene, leggendo oggi il testo dell’”intercettazione ambientale della conversazione tra i presunti terroristi El Ayashi Radi (Merai) e Mohamed il somalo (Cise Maxamed Cabdullah) avvenuta il primo aprile nella cella di sicurezza della questura di Milano, dopo l’arresto”, vediamo che Merai, alludendo agli occidentali e agli europei, così dice al somalo: “Maledetti. A loro piace la vita, io voglio essere un martire, io vivo per il jihad. Dentro questa vita non c’è nulla, la vita è dopo, soprattutto fratello, la sensazione indescrivibile è quella di morire martire. Dio aiutami a essere tuo martire” (il Giornale, 11 aprile 2003).
Augurandoci che possa servire, almeno un poco, a scorgere le radici più profonde di molti dei conflitti in atto, riporteremo qui alcuni passi tratti dal ciclo di conferenze tenute da Rudolf Steiner a Colonia (dal 28 dicembre al 1° gennaio 1913) e pubblicato con il titolo: La Bhagavad-Gita e le lettere di Paolo (Antroposofica, Milano 1977).
Dice infatti Steiner: “Entro la civiltà orientale, perfino nell’iniziazione orientale, tutto tende a liberarsi dall’esistenza materiale, dalla natura che si estende là, fuori dell’uomo. Infatti, per la filosofia dei Veda la natura che si stende fuori dell’uomo è maya: tutto quanto è fuori, è maya (…) Non così in Paolo. Se egli avesse conosciuto quella dottrina orientale, dalle profondità della sua anima si sarebbe levata una replica di questo genere: ecco, tu vuoi liberarti da tutto quanto esiste là fuori, intorno a te, e perfino delle stesse opere che hai compiuto nel mondo. Vuoi davvero abbandonare tutto questo? Ma non è forse tutto opera e creazione di Dio, dello spirito, quello che vorresti lasciare dietro e sotto di te? Non disprezzi forse l’opera di Dio, disprezzando il mondo esterno? Non vive forse in ogni parte di esso una rivelazione di Dio, lo spirito di Dio? (…) E’ forse colpa della realtà oggettiva il fatto che noi scorgiamo maya? No certo: alla nostra anima la realtà oggettiva apparirebbe nella sua verità, se non si fosse dovuto soccombere alla forza di Lucifero. Essa ci appare come maya solo perché non siamo capaci di scorgere il fondo di tutto quanto esiste intorno a noi. Questo è dovuto all’anima che ha ceduto a Lucifero, non è colpa degli dèi, è colpa dell’anima stessa. Tu, anima, ti sei fatto il mondo della maya, soccombendo a Lucifero. Esiste una linea diretta tra la più alta formulazione scientifico-spirituale di quella formula e le parole di Goethe: “I sensi non ingannano, è il giudizio che inganna”. Per quanto certi pedanti e certi fanatici possano combattere Goethe e il suo cristianesimo, pure egli aveva il diritto di dirsi uno degli uomini più cristiani, perché pensava in modo cristiano nel più profondo del suo essere, perfino nella formula: “I sensi non ingannano, è il giudizio che inganna”. Dipende dall’anima che quanto essa vede non le appaia come verità, ma come maya. Ciò che nelle dottrine orientali troviamo definito semplicemente come un’azione degli dèi, qui lo troviamo deviato entro le profondità dell’anima umana, dove si svolge la grande lotta contro Lucifero. Così le dottrine orientali, se considerate attentamente, sono in un certo senso materialistiche, in quanto non riconoscono la spiritualità della maya e predicano la fuga dalla realtà materiale” (pp.108, 109, 110).
Le dottrine orientali – vogliamo solo aggiungere – predicano la fuga luciferica dalla realtà materiale, mentre quelle odierne occidentali predicano la fuga arimanica dalla realtà spirituale. Entrambe disconoscono o rinnegano quindi il Cristo, cioè a dire il Dio che si è fatto “carne”, in quanto sanno soltanto vedere o, spiritualisticamente, un Dio senza “carne” o, materialisticamente, una “carne” senza Dio.
04/04/2003
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