05/09/2004

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Dopo l’orrenda strage di Beslan, qualcuno ha invitato gli italiani, la sera del 4 settembre, ad accendere una candela alla finestra per tutti i bambini morti in Ossezia. Ci si perdonerà se parteciperemo il nostro strazio accendendo, anziché una candela, un pensiero.
Dice il Cristo-Gesù: “Se persevererete nei miei insegnamenti, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).
Solo dalla verità della libertà (da una conoscenza o scienza della libertà) può dunque scaturire una vera e reale libertà. Cosa scaturisce infatti dalla menzogna della libertà? Una falsa e illusoria libertà: ovvero, una libertà che rifugge dalla responsabilità (dall’Io).
Questa falsa e illusoria libertà è frutto – secondo Rüdiger Safranski – della “cultura della spiegazione discolpante” (R.Safranski: Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia – Longanesi, Milano 2004, p.454).
E che cos’è la “cultura della spiegazione discolpante”? E’ una cultura – chiarisce – che, non ammettendo “l’esistenza del male puro”, si colloca “in un’inquietante zona grigia” nella quale i confini “tra lo spiegare e lo scusare” sono incerti, e che viene perciò prediletta da coloro nei quali l’esigenza della libertà è “superiore al coraggio e alla capacità di addossarsi delle responsabilità”.
E’ questa “cultura”, ad esempio, ad aver tentato ieri di spiegare il “fenomeno Hitler” con “l’infanzia infelice”, la “necrofilia”, l’”angoscia piccolo borghese”, l’”interesse del capitale”, lo “choc della modernizzazione ecc.”, e a tentare oggi di spiegare quello del terrorismo con analoghi argomenti di carattere psico-socio-politico-economico (cui prima o poi – vedrete – se ne aggiungeranno altri di carattere genetico): ossia, con ragioni che invero suscitano, nell’anima, quasi lo stesso orrore del fenomeno che ambirebbero chiarificare.

Di Lucio Russo
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