26/01/2005

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Il 26 giugno del 2001, Edoardo Boncinelli scrisse sul Corriere della Sera: “Se da una parte è innegabile che noi non siamo topi, dall’altra si deve ammettere che a proposito degli animali di quella specie si possiede un enorme patrimonio di conoscenze che potrebbero essere messe a frutto una volta determinata la sequenza del loro genoma. A certe conclusioni di carattere generale si perverrà molto più facilmente studiando la biologia di quella specie che studiando la nostra. E moltissime delle cose che sono valide per un topo sono valide anche per una scimmia o per un uomo (…) L’unitarietà dei viventi è tale che ci si può permettere di studiare un dato fenomeno biologico nella specie dove è più facile farlo e poi applicare ciò che vi si è appreso agli individui della specie che più ci interessa, la specie umana (…) Il topo è un mammifero e ci si possono studiare cose molto più vicine a noi e al nostro stile di vita. Lo studio del topo non ci potrà informare sulle basi biologiche del linguaggio, ma su quasi tutto il resto sì” (cfr. Uomini e topi, 13 luglio 2001).
Ma non è il caso di disperare. Lo studio del topo non potrà forse informarci sulle basi “biologiche” del linguaggio, ma su quelle “neurologiche” sì. “Lo dice una ricerca pubblicata sulla rivista dell’”American Psychological Association”. L’esperimento è del neurologo Juan Toro a Barcellona, e un gruppo di colleghi, su 64 topi adulti che hanno mostrato la capacità di distinguere“ la lingua olandese da quella giapponese. “I topi sono stati esposti ai due linguaggi con il cibo come ricompensa. “Gli esperimenti hanno mostrato che i topi distinguono tra i due linguaggi solo quando le frasi sono pronunciate da una stessa persona”, ha spiegato Juan Toro, aggiungendo: “Si tratta di una reazione simile a quella dei neonati. L’esperimento mostra che le abilità degli esseri umani per il linguaggio sono condivise con altri animali”” (La Stampa, 10 gennaio 2005).
Non si creda, tuttavia, che i topi condividano qualcosa con i “neonati”, ma non con le madri. Il “notiziario” (11 gennaio 2005) de Le scienze “on-line” (cfr. http://www.lescienze.it/sixcms/detail.php3?id=10151), titolando: La maternità è come una droga, c’informa infatti che una ricerca curata da Craig Ferris dell’Università del Massachusetts (e colleghi) e “pubblicata sul numero del 5 gennaio 2005 della rivista “Journal of Neuroscience” rivela che le scansioni cerebrali di ratti esposti alla cocaina sono indistinguibili da quelle delle madri che allattano i piccoli (…) Se si offre loro di scegliere, i ratti con figli di età inferiore agli otto giorni preferiscono l’allattamento dei piccoli all’uso di cocaina.“
Dal momento che quest’ultima ricerca sui topi – stando a Le scienze – “potrebbe aiutare a comprendere meglio il legame madre-figlio anche negli esseri umani”, possiamo allora augurarci che ci aiuti a “comprendere meglio” anche quel particolarissimo “legame madre-figlio” cui allude Dante con i celebri versi:

“Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”

Di Lucio Russo
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