04/04/2010

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Ascoltando, con raccapriccio, le note del “Va’ pensiero” di Verdi costrette a pubblicizzare una banca, e ripensando al fatto che, nel 2009, l’Italia è stata teatro, oltre che del Festival di Sanremo, del Festival della creatività (con annesso “caffé filosofico”), del Festival della scienza, del Festival della filosofia, del Festival della mente, del Festival della luce, e financo del Festival della lentezza, ci sono tornate alla mente, sia le seguenti parole di Nietzsche: “La nostra cultura moderna (…) non è affatto una vera cultura, ma solo una specie di sapere intorno alla cultura” (Sull’utilità e il danno della storia per la vita – Adelphi, Milano 2009, p. 32), sia queste (in parte profetiche) di Marc Fumaroli: “Uno degli equivoci che pesano fin dal 1930 sulla parola “cultura” deriva senza dubbio dal fatto che è servita, già allora, da uniforme di taglio antiquato per un mostro nascente: la propaganda ideologica, il martellamento politico. Cultura animi era invece la crescita dell’anima grazie allo studio disinteressato, ed era inscindibile dalla conversazione intima e dotta. Oggi, usando le arti come strumenti di seduzione e di condizionamento e servendosi di formule ripetitive, slogan e banalità ideologiche, si è ridotta la cultura a un potente narcotico dello spirito. Non ci vorrà molto ed essa sarà l’alibi della pubblicità commerciale, che ha bisogno di zucchero per far ingoiare le sue pozioni amare. La sintesi della “cultura” e della propaganda, della “cultura” e della pubblicità, consuma le opere dello spirito, innocenti e affabili, nell’interesse del potere e della cupidigia. In questo modo lo stupro della folla diventa contagio unanimista, facile, viscerale” (Lo Stato culturale – Adelphi, Milano 1993, p. 123).

Di Lucio Russo
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