In un articolo, titolato: Stare soli a pensare? Piuttosto una scossa elettrica (Avvenire.it, 4 luglio 2014), Andrea Lavazza c’informa che un gruppo di ricercatori dell’Università della Virginia ha scoperto che “al tedio di pochi minuti in cui rimanere a pensare senza avere altre possibilità di azione o percezione si preferisce auto-infliggersi una piccola scossa elettrica”.
Il 50% dei 400 studenti che si sono sottoposti volontariamente al test ha infatti dichiarato di non avere per nulla gradito la “meditazione solitaria” di 15 minuti, e ancor peggio è andata con quelli che hanno provato a ripeterlo a casa per 20 minuti.
Non basta. “A 55 giovani – scrive Lavazza – sono state fatte provare sei stimolazioni diverse – tre piacevoli e tre dolorose, tra cui una piccola scossa elettrica. Si è poi chiesto loro se avrebbero pagato 5 dollari per non essere più sottoposti a tale “elettroshock”: ben 42 hanno risposto di sì. Quando, tuttavia, gli stessi 55 sono stati “chiusi” a pensare per 15 minuti avendo a disposizione un tasto per auto-infliggersi la scossa, il 67% dei maschi e il 25% delle femmine l’hanno premuto, e anche più di una volta. Niente è peggio che stare in silenzio soli con i propri pensieri, a quanto pare. Anche un piccolo dolore è meno disturbante del silenzio interiore”.
Non stupisce che un piccolo dolore possa essere “meno disturbante del silenzio interiore”, giacché “il silenzio – come ha detto un saggio – non è silenzioso”, e può quindi capitare che l’ego, in tali momenti, oda qualcosa in grado di procurargli ben altro dolore (una “ferita narcisistica”).
Ciò che inquieta, piuttosto, è che tale fatto potrebbe essere segno che all’odierna e sempre più ampia diffusione delle cosiddette “intolleranze alimentari” si stia accompagnando una “intolleranza” (più grave della “misologia” diagnosticata, ai suoi tempi, da Hegel) al pensare, al riflettere e al meditare: in una parola, allo spirito.
16/07/2014
1