In un articolo titolato Un patto tra scienza e fede, il nefrologo Giuseppe Remuzzi (*) afferma che l’accordo tra la scienza e la fede, che avrebbe potuto, nonostante Galilei, essere salvaguardato (“I fenomeni fisici si sarebbero comunque potuti spiegare come “cammino della creazione, secondo il disegno della infinita bontà, sapienza e potenza di Dio””), è stato rotto invece da Darwin: “Un creatore adesso non serve più, da Darwin in poi si dovrà riconoscere che siamo frutto di un processo evolutivo governato sostanzialmente dal caso” (Corriere Della Sera/ LA Lettura, 28 febbraio 2016).
Ma non è che “un creatore adesso non serve più”, è che adesso si crede “creatore” il caso, e non Dio: che si ha cioè fede nel caso, e non in Dio.
Dice Remuzzi: “Come conciliare il Dio creatore con il fatto che tra noi e lo scimpanzé c’è un’analogia nel Dna che va dal 97 al 99 per cento?”. Ma tale analogia non sta piuttosto a dimostrare che la differenza tra la forma umana e quella dello scimpanzé non dipende dal Dna? (**) Per ricostruire il patto tra la scienza e la fede, dice ancora, “basterebbe trovare un’interpretazione teologica della teoria dell’evoluzione; se fosse convincente e si basasse su argomenti logici e inoppugnabili potrebbe mettere d’accordo tutti”.
Dal momento, tuttavia, che una cosa è il fenomeno dell’evoluzione, altra la teoria dell’evoluzione (l’evoluzionismo), si tratterebbe di trovare non “un’interpretazione teologica della teoria dell’evoluzione”, ossia un’interpretazione di un’interpretazione (il caso è un idea, non un fenomeno), bensì una teoria che sia a un tempo scientifica, ma non materialistica, spirituale, ma non cattolica (dottrinaria), e in grado di convincere perché “estrinsecata” goethianamente dal fenomeno, e non perché basata su “argomenti logici e inoppugnabili” (astratti) (***).
(*) Si veda, nella Corrispondenza, la lettera 19 giugno 2002.
(**) Thomas J. Weihs: “La fondamentale scoperta compiuta dalla biologia in questo secolo della distinzione fra l’aspetto genetico strettamente predeterminato e quello epigenetico dello sviluppo della forma (…) può essere compresa nella sua ampia rilevanza solo se realizziamo che la genetica determina unicamente quello che distingue un uomo dall’altro, cioè i dettagli che differenziano l’aspetto di ogni uomo; ma quello che rende ciascuno evidentemente umano e che tutti abbiamo in comune non è fondato geneticamente, ma origina altrove” (Embriogenesi. Lo sviluppo embrionale nel mito e nella scienza – Filadelfia, Milano 1991, p. 120).
(***) Goethe: “L’ideale sarebbe capire che ogni elemento reale è già teoria. L’azzurro del cielo ci rivela la legge fondamentale del cromatismo. Soprattutto non si cerchi nulla dietro ai fenomeni: essi stessi sono la teoria” (Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p.137); Steiner: “La logica da sola non fa la realtà, perché la realtà si ottiene soltanto quando qualcosa, oltre a essere logico, è anche aderente alla realtà” (La pedagogia antroposofica e le sue premesse – Antroposofica, Milano 2015, p. 71).