Un libro del grande poeta polacco Czeslaw Milosz (Nobel per la letteratura nel 1980) reca questo titolo: La mente prigioniera (Adelphi, Milano 1981). Non c’è solo, però, la mente prigioniera dell’ideologia marxista di cui parla Milosz, c’è anche la mens capta dell’odierna tecnoscienza, caratterizzata da una sorta di impotèntia cogitandi et generandi animico-spirituale: ovvero, da una impotèntia dell’“immaginazione creatrice” (*).
Eccone un esempio.
In un articolo, titolato: I batteri resistenti agli antibiotici uccideranno una persona ogni 3 secondi, si dà notizia che “i batteri diventano sempre più resistenti ai nostri antibiotici. E nel 2050, avverte un rapporto britannico, le infezioni per le quali non avremo farmaci a disposizione potrebbero arrivare a uccidere 10 milioni di persone. A lanciare l’allarme da Londra è il rapporto “Review on Antimicrobial Resistance”, voluto dal premier David Cameron a metà del 2014. Da quando il progetto è partito, un milione di persone sono morte per la mancanza di un farmaco adatto alla loro infezione” (la Repubblica.it., 19 maggio 2016).
Se si facesse davvero “scienza”, un fatto del genere lo si sarebbe previsto, giacché i batteri altro non fanno che mutare, sviluppando, per così dire, degli “anti-antibiotici” in grado di farli sopravvivere nelle nuove condizioni ambientali.
Non solo invece non lo si è previsto, ma s’intende pure proseguire sulla stessa strada meccanica (in osservanza alla freudiana “coazione a ripetere” e in barba al noto adagio: “Errare è umano, perseverare è diabolico”). L’autore della ricerca (l’economista Jim O’Neill) raccomanda infatti “il lancio di una vasta campagna di sensibilizzazione del pubblico, in gran parte “ignorante” dei rischi, di creare un fondo di ricerca per 2 miliardi, di limitare l’uso degli antibiotici in zootecnia e promuovere i laboratori che creino nuovi antibiotici con un premio di un miliardo di dollari”.
Ma per quale ragione i “nuovi antibiotici” (gli “anti-anti-antibiotici”) non dovrebbero indurre ancora una volta i batteri a realizzare nuove mutazioni (nuovi “anti-anti-anti-antibiotici”)?
Recita un altro celebre adagio: “Sbagliando, s’impara”. Non sempre s’impara, però, perché per imparare ciò che si dovrebbe occorrerebbe cambiare il proprio modo di pensare o la propria forma mentis.
Morale della favola: sarebbe il caso di creare un nuovo modo di pensare o una nuova forma mentis, e non solo nuovi antibiotici.
(*) Scrive Scaligero: “Il pensiero deve essere coscienza pensante di sé, oltre che pensiero delle cose: deve liberarsi, per essere creatore oltre i limiti postigli dal sensibile” (M.Scaligero: La luce. Introduzione all’immaginazione creatrice – Tilopa, Roma 1964, p. 54).