Osama bin Laden, nel messaggio ai “suoi fratelli musulmani, in tutto il mondo e nella Penisola Arabica in particolare”, a un certo punto scrive: “I nostri giovani credono nel paradiso dopo la morte. Credono che partecipare al combattimento non avvicinerà il giorno fissato per la loro morte; né rimanere nelle retrovie riuscirà a posporlo (…) Questi giovani sanno che la loro ricompensa per combattere voi, gli Stati Uniti, è doppia rispetto alla ricompensa per combattere qualcun altro, che non faccia parte dei Popoli del Libro. Non hanno altra intenzione che quella di entrare in Paradiso uccidendovi” (Massimo Introvigne: Osama bin Laden – Apocalisse sull’Occidente – Elledici, Torino 2001, pp.94 e 95-96).
Ebbene, è forse possibile capire il perché tanti musulmani, per “partecipare al combattimento” contro il “Grande Miscredente” (p.81), siano pronti a sfidare la morte o perfino a suicidarsi, come i cosiddetti (impropriamente) “kamikaze”, se si prescinde dalla loro fede o la si sottovaluta?
Eppure, molti europei e occidentali non sembrano prenderla sul serio, convinti come sono che gli argomenti di ordine religioso servano unicamente a coprire ben più concrete motivazioni di carattere economico e politico.
In realtà, è il loro materialismo a spingerli a giudicare essenziali gli interessi economici e politici e inessenziali quelli religiosi o spirituali. Tanto la teoria marxista che la pratica liberista considerano infatti “strutturale” la vita economica e “sovrastrutturali” la vita politica e quella culturale.
Come credere, quindi, che possa esserci ancora qualcuno disposto a battersi in nome dello spirito? Questo in verità fa paura poiché la stragrande maggioranza degli europei e degli occidentali è ormai spiritualmente disarmata.
Una cosa, comunque, è battersi in nome dello spirito, altra l’essere coscienti della natura dello spirito per cui ci si batte. E la differenza tra la prima e la seconda situazione dipende in toto dal tipo di rapporto che l’io ha con il proprio “ideale” o con il proprio Dio.
“Nelle moderne società sviluppate – osserva ad esempio Paolo Branca – l’individuo occupa una posizione di assoluta centralità rispetto al gruppo. Invece nel mondo islamico, fatte salve le già richiamate differenze che possono sussistere in ambienti e in situazioni diversificati, lo spirito di gruppo (inteso come famiglia allargata, clan, tribù, etnia o comunque identità collettiva) conserva un ruolo o un peso che da noi ha ormai quasi completamente perso” (I musulmani – Il Mulino, Bologna 2000, pp.14-15).
Stando a quanto riferisce Emma Bonino, Salih Bin Abdullah Bin Humaid, “teologo di chiara fama che presiede la Majlis Ash-Shura (il Parlamento saudita)”, afferma infatti: “L’Islam e la politica? Ma l’Islam o è politico o non è nulla: perché l’Islam non è il rapporto di Dio con ogni individuo ma con l’insieme degli individui, ogni atto o decisione in nome dell’Islam è un atto politico” (Il Giornale, 30 maggio 2002).
Il Dio dell’Islam (Allah) e il Dio dell’Antico Testamento (Jhwh) garantiscono dunque ai musulmani e agli ebrei una forte “identità collettiva” (fondata nello spirito). Ebbene, c’è forse un Dio in grado di garantire, con altrettanta forza, una “identità individuale” (fondata nello spirito) agli europei e agli occidentali? Vale a dire un Dio che non chieda loro di rinunciare all’io, e quindi alla “modernità”?
Allo stato attuale delle cose, parrebbe proprio di no. Il vaticanista Sandro Magister, ad esempio, a Emanuele Boffi che gli domanda: “Recentemente è uscito in libreria I nuovi perseguitati di Antonio Socci, dove si dà ampia documentazione delle persecuzioni contro i cristiani, sul tuo sito dai spesso notizia di soprusi subiti dai cristiani. Eppure, come ha scritto Paolo Mieli, “se ne parla poco”. Perché?”, così risponde: “Questo silenzio, da parte in particolare dei cristiani del vecchio mondo europeo e nordamericano occidentale, è congiunto a una perdita di consapevolezza identitaria. L’uomo occidentale oggi non si identifica come uomo cristiano; le vittime sono viste in modo indifferenziato. Gli eccidi che avvengono nelle Molucche, non sono percepiti come una persecuzione anticristiana. I 200mila morti calcolati su 600mila persone di Timor Est non sono stati visti come caduti cristiani. La guerra dei Balcani, connotata da matrici religiose e storiche precise, è stata letta come una guerra civile. E’ questo un modo di fare dell’Occidente che legge le vicende al di fuori della loro connotazione cristiana. E quindi si piangono i morti solo per il fatto che sono morti, senza sapere perché sono caduti sotto gli spari o le lame dei nemici” (Tempi, 31 maggio – 5 giugno 2002).
Ma per quale ragione il moderno uomo europeo e occidentale “non si identifica come uomo cristiano”? Perché – possiamo rispondere – non avendo ancora preso coscienza del rapporto del Cristo (portatore dell’essenza umana universale) con l’io (o con “ogni individuo”), teme giustamente, identificandosi “come uomo cristiano”, di perdere l’identità individuale e di regredire a quella collettiva (finendo magari in un “gregge” bisognoso di “pastori”).
“Il Cristianesimo – dice Baget Bozzo – è la vita divina comunicata all’uomo e quindi una nuova umanità, non una nuova religione” (Tempi, 31 maggio – 5 giugno 2002). E’ vero, ma non si dice tutto se non si specifica che questa “nuova umanità” è appunto quella chiamata a universalizzare l’io individuale e a individualizzare l’Io universale, “santificando” l’io (“Sia santificato il Tuo nome”) e realizzando lo “spirito libero”: ovverosia, un’individualità cosciente della natura divina della propria umanità e della natura umana della propria divinità (o – per dirla con Solov’ev – della “Divinoumanità”).
Se si esclude Steiner, nessuno è riuscito però a offrire all’uomo moderno i mezzi per sviluppare la coscienza del rapporto che lega l’io umano all’Io divino (al Cristo), e per superare così, in modo individuale, volontario e consapevole, l’egoità (“Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi” – Es 3,14).
Nessuna meraviglia, dunque, se l’io individuale, ostacolato, soprattutto sul piano del pensiero (o noetico), dal materialismo e dalle istituzioni religiose (che si frappongono, quali realtà “collettive”, tra l’io umano e l’Io divino), viene a trovarsi spiritualmente scoperto o indifeso nel momento in cui è chiamato a confrontarsi con quegli io che traggono invece forza, soprattutto sul piano della volontà (o etico), da un Dio o da un Io collettivo.
Alla viva “fede” di quest’ultimi in un Dio trascendente, il moderno uomo europeo e occidentale dovrebbe riuscire infatti a contrapporre (e non di certo per belligerare) la viva “coscienza” di un Dio che, essendosi “fatto carne”, ha reso ormai obsoleto il dualismo di “trascendenza-immanenza” e ha preso a “inabitare” il “Sacro Cuore” di “ogni individuo”. Ma come riuscire in un’impresa del genere, se, a questo stesso uomo, le scienze attuali insegnano che l’io non è spirito, bensì corpo (cervello), e le chiese che non è spirito, ma solo anima?
Se l’uomo europeo e occidentale – come dice Magister – “oggi non s’identifica come uomo cristiano” lo si deve dunque al fatto che si sente, non “uomo” ( o “individuo”) in quanto “cristiano”, o “cristiano” in quanto “uomo” (o “individuo”), bensì – come scrive Boncinelli – uno “Psicozoo”: ovvero, un “animale dotato di mente” cui è tuttavia offerta l’opportunità di trovare un eventuale e illusorio conforto nella “fede” religiosa (Il cervello la mente e l’anima – Mondadori, Milano 2000, p.67).
Non si può dar torto perciò a Baget Bozzo quando sostiene che il Cristianesimo non è una “religione”, ma “un’ontologia mistica ed escatologica” (Profezia – Mondadori, Milano 2002, p.9). Anche in questo caso, tuttavia, sarebbe opportuno specificare (tanto più se il Cristianesimo – come gli abbiamo già sentito dire – è anche “una nuova umanità”) che tale “ontologia” è al tempo stesso un'”antropologia”, e che tale antropologia, in quanto “mistica” (fondata cioè nello spirito), è allora un'”antroposofia”.
Non c’illudiamo, di sicuro, che il Baget Bozzo nostalgico “dell’Italia romana, medievale, tridentina, barocca”, o di quella “prerisorgimentale” (Tempi 6-12 giugno 2002), sia disposto a seguirci su questa strada; siamo certi, tuttavia, che, senza un radicale rinnovamento (scientifico-spirituale) della coscienza cristiana, o (il che è lo stesso) dell’autocoscienza umana, nessuna speranza di un riscatto morale potrà realizzarsi.
C’è un Dio per l’io?
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