Democrazia e antropocrazia

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A un certo punto della sua “conversazione” con Francesco Kostner, pubblicata con il titolo: La lunga ombra di Yalta, Gianni De Michelis, alludendo al problema del “nuovo ordine mondiale”, dice: “La questione non è di poco conto, perché, ad esempio, lo stesso concetto di democrazia viene percepito diversamente nelle varie parti del pianeta. All’impostazione occidentale, tanto per affrontare un primo aspetto, tipica del filone culturale giudaico-cristiano, basato sulla valorizzazione del diritto dell’individuo – e quindi sulla visione di una democrazia i cui meccanismi funzionano attraverso la contrapposizione tra maggioranza e minoranza, in cui regole e valori sono volti a tutelare i diritti della minoranza fermo restando il diritto della maggioranza ad affermare le proprie decisioni – si contrappone una concezione orientale del funzionamento della società che, all’opposto, è tutta basata non sui diritti dei singoli, ma sulla valorizzazione del gruppo. Sia esso la famiglia, il clan, il villaggio o l’etnia. E dove il valore principale non consiste nel determinare le regole in base alle prevalenze delle opinioni di una maggioranza, ma nel compromesso e nell’armonia all’interno del gruppo” (1).
Ebbene, vogliamo prendere spunto da queste affermazioni per fare qualche breve considerazione.
“Lo stesso concetto di democrazia – dice De Michelis – viene percepito diversamente nelle varie parti del pianeta”. Ma non è proprio così. Ci sono infatti anime che il “concetto” di democrazia non lo intuiscono affatto e ce ne sono altre che invece lo intuiscono, ma se lo rappresentano poi diversamente. E tanto il fatto di intuire o non intuire la sua realtà universale quanto quello di rappresentarsela in modo particolare non dipendono che dal grado evolutivo raggiunto, nel suo sviluppo, dall’anima (dalla coscienza).
Sappiamo bene che oggi, imperando il “relativismo culturale” un’affermazione del genere risulta “politicamente scorretta” (resta però da spiegare per quale ragione l’idea, ad esempio, che il bruco si trovi in una fase di sviluppo precedente quella della farfalla, e in tal senso a un grado evolutivo “inferiore”, debba per forza comportare, nei suoi riguardi, un atteggiamento “sprezzante”, “arrogante”, se non addirittura “razzista”).
Poco c’importa, comunque, delle “mode culturali” poiché ciò che ci sta a cuore è la realtà. E proprio questa mostra che la moderna anima cosciente (sorta verso la metà del XV secolo) si rappresenta il concetto di democrazia in modo diverso sia dall’anima razionale o affettiva sia dall’anima senziente che, a dire il vero, non arrivando neanche a intuirlo, non se lo rappresenta affatto.
Nella sua prima fase di sviluppo, l’anima cosciente o la “coscienza dell’Io” si basa però sull’intelletto e sui sensi (sul sistema neuro sensoriale) e prende perciò la forma dell’“ego”: del soggetto, ossia, di una coscienza prevalentemente “quantitativa”. Ciò spiega dunque il perché l’Occidente si sia finora rappresentato la democrazia in termini principalmente numerici: in termini, cioè, di maggioranze e minoranze.
Dice De Michelis che l’Oriente guarda al “funzionamento della società”, non in chiave di “regole” e di “prevalenze delle opinioni di una maggioranza”, bensì in chiave di “compromesso” e di “armonia all’interno del gruppo” (ossia, della “famiglia”, del “clan”, del “villaggio” o dell’”etnia”): che a tale “funzionamento”, insomma, guarda in termini naturali o di legami di sangue, e non in termini culturali o di rapporti giuridici. Ciò avviene, tuttavia, perché i legami naturali o di sangue vengono ancora avvertiti, dagli orientali, quali legami religiosi o spirituali.
Tuttavia, come dallo “zigote”, attraverso processi di divisione, differenziazione e accrescimento, si sviluppano nell’embrione i tre “foglietti germinativi”, o come, più in generale, dagli organismi unicellulari si sviluppano quelli pluricellulari, così le moderne società democratiche, in cui vige (almeno formalmente) la suddivisione, differenziazione e articolazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), si sviluppano da quelle monocratiche o teocratiche.
Dice al riguardo Steiner: “Prendiamo il concetto di democrazia, come esiste oggi e come in fondo è di origine occidentale: come è nato? Seguiamo l’evoluzione dell’Inghilterra: si troverà che attraverso le più antiche signorie inglesi si nota sempre una tendenza a uscire dalla costrizione. Tutto questo ha un carattere religioso che si accentua proprio sotto Cromwell, quando dall’elemento teocratico puritano e dalla libertà di fede si sviluppa qualcosa che poi si stacca dalla teocrazia e dalla fede per divenire elemento di libertà politica democratica” (2).
In altre parole, nelle moderne società occidentali la vita politica (o giuridica) e la vita economica si sono prima sviluppate e poi staccate da quella spirituale. Il problema, però, è che la vita politica, non solo non si è staccata altrettanto da quella economica, ma ha anche e in larga misura fagocitato e incorporato quella spirituale (basti pensare al “Ministero della pubblica istruzione”), conservando in tal modo traccie dello “Stato etico”, e non dando di conseguenza forma compiuta (come si era invece riproposta) allo “Stato di diritto”.
Osserva appunto Steiner: “In effetti, così come è oggi (siamo nel 1921 – nda) la vita statale, come essa ha assorbito da un lato la vita spirituale, con la quale non ha nulla a che fare, e dall’altro come ha sempre più assorbito la vita economica, la vita statale propriamente detta si è atrofizzata. Allora non esiste più la vera vita statale, cioè quella che deve svolgersi tra uomo e uomo, tra maggiorenni” (3).
In effetti, come l’attività economica mette l’uomo in rapporto con la natura (con ciò che sta “al di sotto” di lui), e come quella religiosa lo mette in rapporto con lo spirito (con ciò che sta “al di sopra” di lui), così l’attività politica mette l’uomo in rapporto con l’altro uomo (e con ciò che sta quindi al suo stesso livello).
Tornando al problema del “nuovo ordine mondiale”, sarebbe dunque importante che gli europei tenessero conto di questo nei loro rapporti con l’Occidente, nel quale prevalgono gli interessi economici, e con l’Oriente, nel quale prevalgono invece quelli spirituali.
Si è parlato molto, di recente, della possibilità o meno di “esportare la democrazia” nell’Oriente (o nel Medio Oriente). In questa direzione, però, occorrerebbe in primo luogo “esportare” la vita spirituale o culturale, così come, in quella opposta (nell’Occidente), occorrerebbe anzitutto “esportare” la vita economica.
Dice infatti Steiner: “Si deve aver chiaro che ci occorre una libera vita spirituale produttiva, e che dobbiamo coltivarla se vogliamo avere possibilità di relazioni con l’oriente. Parimenti, per poter trattare con l’occidente, dobbiamo avere una vita economica nella quale non si immischi né lo Stato, né la vita spirituale, nella quale siano attivi solo gli uomini d’affari (…) Ma da noi, quando gli uomini d’affari diventano statisti, si diseconomizzano, diventano uomini che pensano in maniera del tutto statale. E’ importante guardare alle reali necessità della vita; dobbiamo cioè avere la triarticolazione dell’organismo sociale, al fine di inviare verso occidente operatori economici non influenzati dalle macchinazioni dello Stato e della vita spirituale; ci occorre una libera vita spirituale per avere la possibilità di allacciare relazioni con l’oriente” (4).
Ma quale vita spirituale potrebbe oggi “esportare” l’Europa? Forse quella “forte”, ma “pre-moderna”, delle varie Chiese o dei vari “credi” che non solo viene rigettata dall’Oriente, ma che è pure anacronistica espressione dell’anima razionale o affettiva, se non dell’anima senziente? O quella folle e brutale delle ideologie che l’hanno devastata e insanguinata nel corso del Novecento? Oppure quella moderna, ma agnostica, frigida e “debole”, del variopinto arcipelago razionalista? Oppure ancora quella alquanto rozza e materialistica degli utilitaristi o pragmatisti: cioè a dire, degli scientisti, dei tecnocrati o, per riprendere le parole di Steiner, degli “uomini d’affari”?
Fatto si è che l’Europa non ha ancora sviluppato una vita spirituale che sia davvero all’altezza della modernità. “E’ ormai esaurita – afferma appunto Steiner – la vita spirituale rimasta fin dai tempi antichi, nelle confessioni religiose; le scienze universitarie attuali ne sono solo la derivazione; l’altra vita spirituale, cresciuta dalla scienza naturale e dalla tecnica, non ha ancora potuto cominciare a vivere come vita spirituale, non ha cioè potuto ancora spiritualizzarsi” (5). E Scaligero aggiunge: “Il moto del freddo pensiero astratto, scaturito come pensiero scientifico, cela in sé il potere di una dimensione trascendente, riconoscibile nel suo carattere di impersonalismo puro. Tale valore metafisico, presente nell’esperienza scientifica occidentale, sfugge tuttavia allo scienziato come al filosofo. Nell’aridità dell’agnostico pensiero matematico, in effetto brilla una fredda luce, segno inavvertito di una invisibile luce di vita, più prossima alle nitide linee della geometria e della logica formale, che non alle tensioni della psiche yoghica o mistica” (6).
L’anima cosciente, insomma, non è riuscita ancora a passare dalla sua prima fase di sviluppo scientifico-naturale alla seconda scientifico-spirituale.
Dice sempre De Michelis che la “valorizzazione del diritto dell’individuo” è “tipica del filone culturale giudaico-cristiano”. Anche qui, tuttavia, non è proprio così, in quanto il “filone” monoteistico e giudaico è ben diverso da quello trinitario e cristiano. Il Dio giudaico (Jhwh) è infatti un Dio trascendente e di popolo, cioè il Dio di un collettivo, mentre il Dio cristiano, essendosi “fatto carne”, alberga nell’Io (o nel “sacro cuore”) di ogni essere umano (7). Ma perché si continua allora a parlare di cultura “giudaico-cristiana”? In parte, ovviamente, per superficialità, ma, in parte, anche perché la peculiarità e l’eccezionalità del Dio cristiano si va facendo sempre meno oggetto di fede, senza farsi sempre più, al contempo, oggetto di conoscenza, e perché l’entità divina del Cristo si è indubbiamente incarnata in quella umana di Gesù, e dunque in un ebreo.
“L’Europa – spiega però Steiner – non era in condizione di fornire un corpo al Cristo. Avendo sviluppato l’Io prematuramente, all’alba di una nuova esistenza, l’Europa aveva un’altra facoltà: una volta venuto il Cristo a portare all’uomo la piena coscienza dell’Io, l’Europa era in grado di conquistare, prima di ogni altra cosa, la piena comprensione di questa coscienza. I popoli europei, infatti, avevano accolto molto presto il sentimento dell’Io ed erano cresciuti insieme ad esso” (8).
Ciò vuol dire, quindi, che ovunque il valore del gruppo prevalga su quello dell’individuo ci si trova all’interno del “filone culturale” giudaico e non ancora di quello cristiano; e si tenga ben presente che “gruppo” è, sì, la “famiglia, il clan, il villaggio o l’etnia”, ma anche (e più “modernamente”) la nazione, il ceto, la classe o il partito.
Non è dunque casuale, da questo punto di vista, che la “democrazia” si sia presto trasformata in “partitocrazia”: ovvero, che quello che doveva essere il luogo del rapporto tra uomo e uomo si sia presto trasformato in un luogo di confronto e di scontro tra gruppi.
Fatto sta che solo la democrazia quale momento politico (o giuridico) di un’”antropocrazia” o di un organismo sociale triarticolato può essere una vera democrazia: ossia, una democrazia “sostanziale” e non più soltanto “formale”.
Solo un organismo del genere può in effetti risolvere, strutturalmente, quel perenne “conflitto d’interessi” che mina alle radici le attuali democrazie. L’odierna vita politica, infatti, quando non è alterata da interessi religiosi, spirituali o ideologici, è allora alterata da interessi economici. Lo stesso vale – naturalmente – per la vita spirituale e per quella economica che possono essere rispettivamente alterate da quella politica ed economica e da quella spirituale e politica.
Proprio in questo momento, ad esempio, ci è dato appunto assistere, in Italia, allo sconcertante spettacolo di membri dell’apparato giudiziario che accusano membri dell’apparato politico di essere dei corruttori (economici) e di questi che accusano quelli di essere dei “corrotti” (politici o ideologici).

Note:

01) G.De Michelis: La lunga ombra di Yalta – Marsilio, Venezia 2003, p.192;
02) R.Steiner: Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale – Antroposofica, Milano 1988, p.52;
03) ibid., p.51;
04) ibid. pp.46-47;
05) ibid. p. 69;
06) M.Scaligero: Graal – Tilopa, Roma 1982, p.17;
07) cfr. nota: C’è un Dio per l’Io?, 7 giugno 2002;
08) R.Steiner: L’impulso-Cristo e la coscienza dell’Io – Tilopa, Roma 1994, p.107.

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Di Francesco Giorgi
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