L’Editrice Novalis (Milano, 2001) ha di recente pubblicato la traduzione italiana di uno dei Quaderni di Flensburg (“Conversazioni sull’antroposofia”), intitolato: I retroscena del 666. Il volume comprende cinque articoli di Wolfgang Weirauch, uno di Frank Linde, uno di Arfst Wagner e un’intervista dello stesso Weirauch a Heinz-Herbert Schoffler.
Si tratta di un lavoro interessante e documentato che però suscita, in chi ben conosca l’insegnamento di Rudolf Steiner, diverse perplessità.
Proveremo qui a esporne alcune.
Stando a quanto afferma Steiner – dice Weirauch – Sorath “sarebbe un essere di natura arimanica” che “ha pienamente sviluppato l’anima cosciente”, guiderebbe “certi spiriti più elevati che avevano intenzione di esercitare una determinata azione sull’umanità nell’anno 666 d.C.” (p.12) e agirebbe “dalla Luna” (p.16).
In cosa doveva consistere tale azione?
Nel far sì – risponde Steiner – che la “saggezza dell’anima cosciente” discendesse sugli uomini “dall’alto, come una rivelazione”, e non che i singoli vi ascendessero in virtù del loro sforzo (p.126).
Ove si fossero realizzate le intenzioni degli spiriti guidati dal demone solare, la saggezza in questione si sarebbe dunque data, non come conquista di un io, ma come elargizione di un non-io. Un conto però è sviluppare, ad esempio, la muscolatura grazie alla propria attività, altro svilupparla iniettandosi magari degli anabolizzanti: nel primo caso si è infatti attivi, nel secondo si è invece passivi. Orbene, non si dovrebbe mai dimenticare che l’io vive, non nella “saggezza dell’anima cosciente” (intesa quale “sapere”), ma nell’attività interiore che serve a conquistarla.
Chiunque avesse avuto perciò intenzione di ostacolare lo sviluppo dell’io (dell’anima cosciente o, per essere più precisi, della coscienza dell’io) avrebbe potuto fare (mettiamo a Galilei) il seguente discorso: “Non c’è alcun bisogno che ti sforzi di osservare e pensare il mondo da solo, perché tutto quello che potrai conquistarti così faticosamente posso dartelo io”.
Chiarito questo, veniamo dunque all’intervista di Weirauch a Schoffler.
Domanda il primo: “Rudolf Steiner riferisce nelle sue conferenze dell’O.O. 184 che nel VII secolo, specialmente nell’anno 666, nell’Accademia di Gondishapur si sarebbe potuto verificare un’evoluzione automatica e prematura dell’anima cosciente, in virtù del fatto che sarebbero stati dati all’anima contenuti di sapere che dovevano essere conquistati soltanto nel corso dei successivi duemila anni, grazie ad uno sviluppo dell’individualità (…) Come avrebbe agito questo vasto sapere sugli uomini di allora?”.
Risponde Schoffler: “Rudolf Steiner ipotizza che siano comparsi alcuni geni dal sapere immenso. Tale sapere sarebbe stato diffuso tramite l’Accademia, ed ancor più grazie all’incontro tra uomini in varie circostanze. Esso sarebbe stato trasferito ad altri a cascata. Ciò avrebbe comportato un’enorme accelerazione ed il sapere così conseguito avrebbe avuto ripercussione sugli uomini, contaminandoli spiritualmente: essi sarebbero stati corrotti da questo sapere che avrebbe agito come una seduzione. I pensieri umani naturalmente sarebbero stati indirizzati diversamente da quanto è accaduto senza quest’acquisizione di sapere, la quale doveva essere conseguita soltanto nel corso di secoli”.
Al che, Weirauch replica: “Steiner dice al proposito che l’anima cosciente sarebbe stata formata in modo automatico e l’uomo non avrebbe potuto conseguire un ulteriore perfezionamento spirituale superiore dell’anima. Non mi è del tutto chiaro (corsivo nostro) come le anime umane avrebbero potuto essere paralizzate a causa di un immenso sapere, in modo tale da non potersi sviluppare ulteriormente. Come va inteso ciò?”
Risponde Schoffler: “In effetti gli uomini non avrebbero potuto svilupparsi ulteriormente sino al sé spirituale ed ai livelli spirituali superiori; sarebbe bastato loro il dianetico (l’intelletto – nda). Quando un uomo può e sa molte cose, corre il pericolo di arrestarsi nello sviluppo”.
Ma Weirauch insiste: “Cerco ripetutamente di raffigurarmi la seguente immagine: compaiono alcuni geni dal sapere immenso, lo diffondono ed esso attira cerchie sempre più ampie; non riesco tuttavia a concepire (corsivo nostro) come ciò avrebbe potuto frenare tutto il futuro sviluppo animico dell’Occidente”.
Dice allora Schoffler: “In effetti è difficile immaginarlo (corsivo nostro), dal che si può dedurre come questo impulso sarebbe stato smisurato e schiacciante…” (pp.34-35).
Come si vede, viene messo ripetutamente in luce il carattere “prematuro” di tale impulso e la “schiacciante smisuratezza” del sapere che ne sarebbe derivato, ma non si fa alcun accenno a ciò ch’è invece essenziale: ovvero, alla sua capacità di limitare o inibire la libera attività dell’io.
Se quindi “non è del tutto chiaro”, “non si riesce a concepire” o è “difficile immaginare” come un sapere immenso, diffuso da alcuni geni, avrebbe potuto paralizzare lo sviluppo animico dell’Occidente, è perché la “seduzione” operata dalla prospettiva di cotanto sapere finisce col far dimenticare che il vero problema non è costituito appunto dal “sapere” (dalla sua maggiore o minore ampiezza), bensì dallo spirito (o dal soggetto) che lo ispira, e, in particolare, dalla relazione in cui, questo stesso spirito, sta con l’io umano. Per l’uomo, infatti, è spiritualmente più proficuo un “piccolo” sapere nelle mani di un “grande” io (come quello fornito, ad esempio, dalla scienza galileiana) che non un “grande” sapere nelle mani di un “piccolo” io.
“Sorath – afferma Weirauch – è la forza malvagia d’azione anticristiana del Sole” (p.36). Ma in tanto lo è – andrebbe sottolineato – in quanto non costituisce, come quella del Cristo, la forza dell’Io nell’io, o dell’Io degli io (ovvero, del loro fondamento ultimo), bensì una forza estranea all’io, o altra dall’io.
Proprio perchè tale, una siffatta entità può permettersi il lusso di comprare la libertà umana al prezzo di un “sapere immenso” e diffuso da “alcuni geni” che stanno al suo servizio. C’è comunque un’altra entità che può permettersi il medesimo lusso pagandolo però in termini di “volontà” (vale a dire di “sottomissione” e “ubbidienza”) e non di “sapere”. Ed è appunto questa seconda entità a essersi contrapposta alla prima, dando vita all’Islam.
Ricorda appunto Weirauch: “Steiner afferma, per es. nella conferenza del 12/10/1918 (O.O.184), che l’Islam agì da contrappeso nei confronti dell’impulso di Gondishapur. Religione e scienza erano in questo contrapposte e poiché gran parte del popolo si consacrò all’Islam, la forza arimanica di Gondishapur fu neutralizzata” (p.37).
A un’unilateralità ottenebrante di carattere arimanico si è venuta dunque a contrapporre, storicamente, un’unilateralità abbagliante di carattere luciferico.
Weirauch, tuttavia, non sembra averlo pienamente realizzato. Scrive infatti: “Purtroppo un grave malinteso relativo al rapporto tra Sorath ed Islam o arabismo attraversa parte della letteratura antroposofica secondaria sul tema dell’Islam. Si tratta in parte di visioni unilaterali, in parte di ignoranza della materia, ma anche di informazioni errate e pregiudizi privi di qualsiasi fondamento. Anche alcune affermazioni di Rudolf Steiner su questo tema si prestano a malintesi. Vorrei riportare qualche citazione affinché risulti chiaro quanto la cultura e la scienza dell’arabismo, la religione dell’Islam, come pure gli arabi e i musulmani siano misconosciuti e talvolta anche diffamati (…) Purtroppo Steiner in talune conferenze espone questi nessi – analogamente a quanto accade nella letteratura antroposofica secondaria – in modo a volte unilaterale ed ambiguo”(pp.46 e 92).
Ma cosa dice Steiner (o la letteratura antroposofica “primaria”)? “Dice – riferisce sempre Weirauch – che l’Islam, rispetto al Cristianesimo, rappresenta la massima polarità e che vi è in esso la volontà di eliminare ogni libertà; che nell’arabismo è insito il pericolo di dimenticare il mistero del sole come mistero del Cristo e che Sorath, il demone solare, opera sullo sfondo delle azioni arabe e maomettane. Steiner afferma inoltre che l’autore dell’Apocalisse, Giovanni, definì i rappresentanti dell’arabismo in Europa uomini dediti al demone solare Sorath, e sostiene anche che dall’arabismo proviene tutto ciò che, nel modo di vedere e negli impulsi della volontà, avvicina l’uomo all’animalità; che l’arabismo è la dottrina del demone solare”(p.92).
Ebbene, Weirauch, non solo trascura di spiegare che l’arabismo “avvicina l’uomo all’animalità” solo in quanto lo avvicina a un io “collettivo” o “di gruppo”, ma lamenta pure che Steiner – come dice testualmente – sia “poco preciso nella scelta delle parole” (p.120), che non distingua “nettamente tra arabismo, Islam e Maomettanesimo”, che mescoli talvolta “persino volontariamente questi concetti, suscitando l’impressione che si possano sostituire a piacere” e che, con “affermazioni forse non ben meditate”, possa “purtroppo alimentare pregiudizi e facili deduzioni” (p.93).
Confessiamo che non ci è facile immaginare che Steiner si sia lasciato andare ad “affermazioni forse non ben meditate” (che abbia parlato cioè “a vanvera”), ma questo, essendo affar nostro, non ha molta importanza.
Veniamo piuttosto ai fatti. Sostiene Weirauch che Steiner non distingue “nettamente tra arabismo, Islam e Maomettanesimo”. Ma come! Non lo abbiamo appena udito ricordare che Steiner (nella conferenza del 12/10/1918) distingue l’impulso religioso dell’Islam da quello scientifico dell’arabismo, spiegando che il primo “agì da contrappeso” nei confronti del secondo? Nei confronti, ossia, di “una scienza (e una modalità di pensiero ad essa correlata) che, – come precisa ancora Steiner e riferisce sempre Weirauch – partita da Gondishapur, fu ulteriormente elaborata all’epoca del califfato di Baghdad e si sviluppò nel corso dei secoli per approdare alle attuali scienze naturali, unilaterali e materialistiche” (p.93)? E dov’è allora il problema? Forse nel fatto che non è appropriato definire i musulmani “maomettani” poiché al centro della loro fede c’è Allah e non Maometto? E che dire allora di un islamista del calibro di Henry Corbin che redige una Storia della filosofia islamica (Adelphi, Milano 1991) o di un medievalista di prestigio quale Jean Jolivet che scrive: La teologia degli Arabi (Jaca Book, Milano 2001)? E’ sul serio questo – come ritiene Weirauch – un “errore fatale” (p.49)?
“Come è possibile – dice ad esempio – considerare allo stesso modo Arabi e musulmani? Non ci si è mai occupati del fatto che vi sono nell’Islam molte correnti diverse e che esistono i più vari Stati arabi e musulmani? Un sunnita non può essere paragonato ad uno sciita, un sufi ad un ismailita o a un druso” (p.51).
Orbene, pur tralasciando il fatto che i sunniti costituiscono la stragrande maggioranza dei musulmani, per quale ragione il riconoscere “che vi sono nell’Islam molte correnti diverse”, dovrebbe impedirci di ricercare il perché tali “correnti diverse” si richiamino tutte all’Islam? Del perché, ossia, un sunnita, uno sciita, un sufi, un ismailita o un druso si sentano e si considerino tutti seguaci dell’Islam?
Come si sa, ci sono persone che per vedere la foresta non vedono gli alberi, ma ci sono anche quelle che per vedere gli alberi non vedono la foresta. Ebbene, abbiamo la netta impressione che, se proprio si vuole parlare di un “errore fatale”, questo consista proprio nel vedere gli alberi, ma non la foresta. Ma da cosa è rappresentata, nel nostro caso, la foresta? Dal fatto che Steiner, distingue, sì, tra Islam religioso e arabismo scientifico (o filosofico), ma non manca poi di accomunarli, in quanto entrambi, pur avendo caratteri opposti, si pongono comunque in antitesi col Cristianesimo e con la libertà.
Ci si è forse dimenticati che anche Lucifero e Arimane, pur essendo opposti tra loro, esercitano, nell’anima umana, una comune azione ostacolatrice nei confronti dell’impulso del Cristo?
Weirauch si sente tuttavia in diritto di bacchettare degli antroposofi (quali Karl Heyes, Wilhelm Maas, Fred Popping e Walter Buehler), arrivando addirittura ad accusarli – come si è visto – di “diffamare” gli arabi e i musulmani. “Anche accettando – dice inoltre – che manchino nell’Islam, da un solo punto di vista, possibilità di evoluzione, che si trovano invece nel Cristianesimo, è assurdo ipotizzare che il male – sia esso Lucifero, Arimane o Sorath – si appropri di interi popoli o religioni”.
Ma non sono tali entità a fomentare appunto le “guerre di religione”, e a essersi appropriate, nel corso del Novecento, in forma di comunismo, di fascismo e di nazismo, di “interi popoli” o ideologie (vissute alla stessa stregua di “religioni”)? E per quale ragione dovrebbe essere allora “assurdo ipotizzare” che possano appropriarsi degli arabi e dell’Islam, o magari degli italiani e del Cattolicesimo?
Dice ancora Weirauch: “Dato che la modalità di pensiero sopra descritta – rivolgere l’intera forza dell’intelletto al mondo sensibile e non più a quello spirituale – ha interessato quasi tutta la nostra cultura e le scienze attuali, e dal momento che Steiner definisce arabismo questo modo di pensare, oggi saremmo in questo senso tutti più o meno arabisti. Da questo punto di vista il riflesso dell’attività di Sorath agisce in noi, nella nostra civiltà occidentale, nel nostro pensiero, e non solo in quello dei musulmani o degli scienziati e dei filosofi arabi del califfato di Baghdad o della Spagna moresca. In modo un po’ provocatorio, ci si potrebbe perfino domandare se oggi, nell’Occidente cristiano, non abbiamo una concezione islamica della religione: in primo piano vi è Dio Padre e manca del tutto una reale comprensione del Cristo e della Resurrezione. Il Cristo Gesù viene visto soltanto come un uomo e in gran parte della Chiesa cattolica e ortodossa troviamo un’eccessiva venerazione per Maria” (pp.96-97).
Ebbene, anche se quest’ultimo riferimento a “un’eccessiva venerazione per Maria” ci lascia francamente perplessi, occorre purtroppo dire che, per il resto, non vi è alcun bisogno di ricorrere al paradosso o alla provocazione, poichè le cose stanno proprio così. Ma per quale ragione si crede che Steiner abbia detto, più volte, che il Cristianesimo deve ancora nascere? O che la rimozione del “goetheanismo” ha impedito all’Europa di compenetrare cristicamente la propria cultura?
C’è poco da fare: molti sedicenti cristiani sono inconsciamente degli islamici, degli ebrei, dei buddhisti o quant’altro si voglia. “Solo in virtù di una colossale menzogna – ha scritto Ernesto Buonaiuti – noi ci diciamo ancora cristiani. Il Cristianesimo lo dobbiamo conquistare”. Diciamo dunque la verità: è impossibile diventare quei cristiani che c’illudiamo di essere se non troviamo il coraggio di prendere coscienza di questo stato di cose.
Ma c’è ancora un equivoco. Dice Weirauch (riferendosi sempre all’arabismo): “Non si tratta quindi di qualcosa di malvagio in sé, ma di un’evoluzione iniziata troppo precocemente” (p.95). E ribadisce: “L’impulso di Gondishapur, sviluppatosi solamente in forma attenuata, non può essere in nessun caso paragonato semplicemente al male. Vi era in esso un impulso anacronistico che mirava ad accelerare e rendere unilaterale la normale evoluzione. L’atteggiamento spirituale derivatone non è di per sé cattivo, ma caratterizza in maniera prevalente un solo aspetto della realtà” (p.97).
Weirauch dovrebbe però sapere che, dal punto di vista della scienza dello spirito, è “male” tutto ciò che impedisce all’uomo di procedere nella sua evoluzione verso la realizzazione della libertà e dell’amore (o, in una parola, dello spirito libero), e che le cosiddette “forze ostacolatrici”, non essendo “creatrici”, possono unicamente dislocare nel tempo e nello spazio, o nella sfera “esistenziale” che si trova al di qua della “soglia”, quanto le “forze creatrici” generano nella sfera “essenziale” che si trova al di là della stessa. Ciò vuol dire dunque che il “male” è tale, non tanto perché sia “malvagio in sé” o “di per sé cattivo”, quanto piuttosto perché induce e costringe l’anima umana all’anacronismo o all’unilateralità.
Non è forse significativo che, nell’ambito dell’Occidente, all’unilateralità del materialismo scientifico faccia da pendant l’anacronismo dello spiritualismo religioso? “Ma viene il tempo – dice infatti il Cristo -, anzi è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Perché il Padre così vuole i suoi adoratori. Dio è spirito, e quei che l’adorano, devono adorarlo in spirito e verità” (Gv, 4-23).
Certo, il “male” non va rigettato (o “diffamato”), bensì affrontato, trasformato e redento (in noi stessi e nel mondo), ma come farlo se non lo si sa riconoscere?
“Steiner – ricorda Frank Linde – ha sempre sottolineato che l’antroposofia, per sua natura, non può essere in contrasto con le moderne scienze naturali. Ciò che queste hanno da dire dell’uomo e del mondo grazie all’indagine del mondo sensibile, viene integrato dall’antroposofia con le conoscenze della ricerca soprasensibile. Il compito futuro consiste nel trovare la piena realtà nella giusta unione delle due; allora si parleranno due linguaggi: quello naturalistico e quello scientifico-spirituale” (p.144).
Sarebbe bene però ricordare che, “per parlare entrambi i linguaggi” e trovare la loro “giusta unione”, è necessario sviluppare, per così dire, un “terzo” linguaggio: ossia, un pensiero che sappia muoversi liberamente tra il livello inferiore (sensibile) e quello superiore (soprasensibile), in quanto poggi su sé stesso (o sull’Io) e non abbia quindi bisogno di farsi sorreggere dall’una o dall’altra realtà. Non si tratta dunque di giustapporre i due linguaggi, quasi che si dovesse trovare la “giusta unione” (o un giusto compromesso) tra la fede e la ragione o tra la religione e la scienza. Il compito, insomma, non consiste nell’aggiungere Lucifero ad Arimane o Arimane a Lucifero, bensì – come dice appunto Steiner – nell'”imparare a parlare della natura – cioè a sentire – in modo conforme al Cristo. Dobbiamo imparare il linguaggio del Cristo non semplicemente sulla redenzione della natura, non semplicemente sull’anima e il divino, ma sul cosmo” (p.145).
I retroscena del 666
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