In due delle nostre note, considerata l’ammirazione nutrita da Edoardo Boncinelli per Kant (1) e da Enrico Bellone per Hume (2), avevamo così parafrasato un noto adagio: “Scienziato che vai, filosofo che trovi”.
Ebbene, a questi dobbiamo ora aggiungere il neuropsicologo Antonio Damasio che, in un suo recente lavoro (3), manifesta un’analoga ammirazione per Spinoza. Non solo, ma come Boncinelli tenta di spacciare Kant per un “biologo eccezionale” (4), così Damasio tenta di spacciare la “teoria unitaria di Baruch Spinoza” per un’anticipazione di “tante idee della scienza moderna” (5).
In un’altra e più recente nota (6), avevamo comunque già accennato a Damasio, rilevando il fatto che, quando non si è “cefalocentristi”, quando non si è convinti, cioè, che il pensare, il sentire e il volere “vengono fuori” dal cervello, si è allora – per così dire – “somatocentristi”, e perciò convinti che gli stessi “vengono fuori” dal corpo.
“Damasio è portoghese – dice appunto Daniela Minerva che lo ha intervistato – e alla frottola della res extensa, la materia e il corpo, separati dalla res cogitans, la mente che li conosce, non ci crede. Piuttosto preferisce ribaltare il “cogito ergo sum” cartesiano in un suo “sono, dunque penso”. Come a dire che prima di tutto noi siamo corpo”.
Damasio vorrebbe dunque risolvere il dualismo mediante una reductio ad unum: mediante ossia una riduzione della res cogitans alla res extensa. Ma si dà il caso che coloro cui si oppone, vale a dire i sostenitori della res cogitans o “cefalocentristi”, non siano degli idealisti (come, mettiamo, un Berkeley), ma dei materialisti: ovvero, – come dice sempre la Minerva – dei “cultori della neurologia deterministica che, armati di Pet, Tac, Rmn, pretendono di fotografare la coscienza, per i pasdaran della medicina scientifica”.
Ciò vuol dire, quindi, che il dualismo cui Damasio vorrebbe porre rimedio non è quello classico tra l’anima e il corpo, ma quello tutto materialistico tra una concezione (meccanicistica) che fa nascere il pensare, il sentire e il volere dal cervello, e perciò da una parte del corpo, e un’altra (misticheggiante) che li fa invece nascere dal corpo intero.
Dice infatti Damasio: “Le neuroscienze fino ad oggi hanno spiegato i meccanismi della memoria, della visione, dell’apprendimento, e molti altri, ma hanno sempre fermato il loro campo d’indagine sulla soglia del sentimento. Dall’altra parte molta psicologia pensa che i neurologi siano troppo riduttivi per comprendere con i loro strumenti questo misterioso reame. No, ad entrambi. Nel libro scrivo chiaramente che i sentimenti sono l’espressione dell’umana vitalità e dell’umana angoscia così come si manifestano nella mente e nel corpo”.
Recensendo il lavoro di Damasio, e riferendosi appunto ai sentimenti, Boncinelli così dice: “Una domanda prima di tutto: vengono dal corpo e la mente li percepisce, quando li percepisce, solo in un secondo tempo; oppure nascono nella nostra mente e interessano solo secondariamente il corpo?” (7).
Ma una domanda del genere, se può avere senso per quanti riconoscono alla mente una natura extracorporea (animico-spirituale), o per quanti distinguono – seguendo in questo la scienza dello spirito – tra le attività o le funzioni dell’apparato neuro-sensoriale (che fa da supporto al pensare), quelle dell’apparato ritmico (che fa da supporto al sentire) e quelle dell’apparato metabolico e degli arti (che fa da supporto al volere), non ne dovrebbe invece avere per coloro che identificano la “mente” col cervello, e quindi con una parte del corpo. Sarebbe infatti assurdo domandarsi, senza distinguere la testa (centro dell’attività del pensare) dal restante organismo (centro, nella zona mediana, del sentire e, in quella inferiore, del volere) se i sentimenti vengono dal corpo e il corpo stesso li percepisce; oppure nascono nel nostro corpo e interessano solo secondariamente il corpo stesso.
Al cospetto dell’unilateralità delle neuroscienze, Damasio non ha comunque torto nel rivendicare le ragioni di tutto il corpo, ma lo ha nel concepire quest’ultimo allo stesso modo (materialistico) di quelle e nel considerare la sua totalità in modo astratto e indifferenziato.
E’ proprio questo, però, a spiegare il suo attaccamento a Spinoza (“L’uomo – confessa – mi ha agganciato intellettualmente e mi sarebbe piaciuto conoscerlo come persona”).
Per capirlo, non si può far di meglio che ascoltare quanto dice Hegel di Spinoza e della sua idea di “sostanza”. E’ inesatto – dice – “chiamare ateo Spinoza soltanto perché non distingue Dio dal mondo. Con altrettanta o più ragione lo spinozismo potrebbe dirsi piuttosto acosmismo, in quanto in esso non il sistema cosmico, l’essenza finita, l’universo, ma soltanto Dio è considerato sostanziale e gli si attribuisce vita perenne. Spinoza afferma che ciò che si chiama mondo non esiste affatto: è soltanto una forma di Dio, non è niente in sé e per sé. L’universo non ha vera realtà; tutto è gettato nell’abisso dell’unica identità. Non c’è quindi nulla nella realtà finita; questa non ha verità alcuna; secondo Spinoza, quello che è è soltanto Dio. E’ adunque vero tutto il contrario di quanto si sostiene da coloro che incolpano Spinoza di ateismo: se mai in lui c’è troppo Dio (…) Il sistema di Spinoza è il panteismo e monoteismo assoluto elevato nel pensiero” (8).
Ebbene, come per Spinoza “quello che è è soltanto Dio” perché “in lui c’è troppo Dio”, così per Damasio “quello che è è soltanto” corpo perché “in lui c’è troppo” corpo.
Non siamo di fronte, in definitiva, che all’ennesima versione del contrasto (luciferico-arimanico) tra l’attitudine mistica o del sangue (che tende ad assolutizzare l’unità) e quella meccanicistica o dei nervi (che tende ad assolutizzare la molteplicità).
In Damasio, oltretutto, il “monoteismo” di Spinoza viene ridotto a una sorta di “monosomatismo” che non viene “elevato nel pensiero”, bensì “abbassato” nella materia. Laddove Spinoza pone Dio, Damasio pone infatti il corpo (fisico).
Una cosa, del resto, è andare al di là degli opposti, risolvendoli in un terzo che insieme li unifichi e trascenda, altra è invece rimanerne al di qua, riducendo – come fanno i materialisti e gli idealisti – uno dei termini del dualismo all’altro.
Dice ancora Boncinelli che quello di Damasio è “un libro coraggioso, scritto da uno spirito illuminista che muove alla ricerca delle ragioni del cuore, quelle che la ragione, secondo Pascal, non può comprendere”.
Non c’è che dire, i materialisti sono davvero strani: parlano di una cosa e ne pensano un’altra. Ad esempio, parlano dello “spirito”, ma pensano al “cervello”; oppure parlano di una “ricerca delle ragioni del cuore”, ma pensano al cuore come a una pompa (idraulica).
Ciò ci lascia interdetti: quali mai “ragioni” avrà infatti una pompa (idraulica) “che la ragione non può comprendere”?
Note:
01) Il cervello, la mente e l’anima, 15 gennaio 2002;
02) Nani e giganti, 18 maggio 2003;
03) A.Damasio: Alla ricerca di Spinoza – Adelphi, Milano 2003;
04) E.Boncinelli e U.Galimberti, con G.M.Pace: E ora? – Einaudi, Torino 2000, p.133;
05) per le citazioni di Damasio e per quelle di Daniela Minerva, cfr. L’espresso, 21 agosto 2003, pp.132-136;
06) Del “cefalocentrismo”, 24 agosto 2003;
07) Corriere della Sera, 3 settembre 2003;
08) G.W.F.Hegel: Lezioni sulla storia della filosofia – La Nuova Italia, Firenze 1981, vol.3,II, pp.135-136;