L’essere, il mondo delle Madri e la soglia

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I testi (interamente rielaborati) che qui presentiamo sono estratti da due dispense di Lucio Russo, intitolate L’essere e la coscienza dell’essere (del settembre 1996) e Il mondo alla rovescia e la soglia (dell’ottobre 1996), distribuite ai partecipanti ai corsi tenuti allora dall’autore presso la Società Antroposofica Romana. Si tratta di due “studi hegeliani” cui faremo seguire, al più presto, il terzo: La logica hegeliana e le gerarchie spirituali (del maggio 1997).

 

“”Hegel racchiude in sé, in un certo senso, la quintessenza della vita spirituale della Mitteleuropa””

“”Si sarebbe portati a dire che, con la Logica di Hegel, il più peculiare anelito dell’umanità venga alla luce nella sua massima elevatezza””

“”Sì, questa logica hegeliana è stata strappata, rapita alle potenze arimaniche e data all’umanità; è ciò di cui l’umanità ha bisogno, senza la quale non potrebbe progredire””

“”Ogni scienza di carattere spirituale dovrebbe divenire rachitica, se non potesse venir compenetrata da quell’osseo sistema di idee strappato, grazie ad Hegel, all’ossificante Arimane””

(R.Steiner: L’elemento perenne della logica hegeliana ed il suo capovolgimento nel marxismo in Graal – Rivista di scienza dello Spirito, anno VI, n°21, marzo 1988)


L’essere, il mondo delle Madri e la soglia


Nella “Lettera ai soci” del 2 novembre 1924, Steiner distingue quattro fasi dell’evoluzione cosmica e umana.
Nel corso della prima, – scrive – “il mondo nel quale l’uomo viveva era entità divino-spirituale. A una tappa successiva dell’evoluzione non lo fu più. Il mondo divenne manifestazione cosmica del divino-spirituale, mentre l’entità di questa aleggiava dietro la manifestazione. Nella manifestazione, tuttavia, viveva e tramava l’entità. Già era venuto ad esistenza il mondo stellare”.
Nel passaggio dalla seconda alla terza, “il mondo stellare cessò di portare in sé, immediatamente presente, l’attività divino-spirituale. Le stelle vivevano e si muovevano, continuando per forza d’inerzia l’attività che prima era in esse. Il divino-spirituale viveva nel cosmo non più come manifestazione, ma come effetto operante. Era subentrata una dualità distinta tra il divino-spirituale e il cosmico”.
Nella quarta, infine, si ha “un mondo che immediatamente non mostra più nemmeno l’effetto operante del divino-spirituale, ma solo qualcosa che è rimasto di quell’effetto operante; si può dire: la sola opera compiuta del divino-spirituale. Le forme, i processi naturali rivelano alla visione umana il divino, ma non lo contengono più vivente” (1).
Come si vede, si tratta di quattro diversi momenti del divenire dell’entità divino-spirituale: in virtù di un automovimento, l’Io prima si anima quale “manifestazione” (astrale), poi vive quale ”effetto operante” (eterico), e infine muore quale ”opera compiuta” (fisica).
Con il passaggio dalla seconda alla terza fase (dallo stato astrale a quello eterico), subentra inoltre – come dice Steiner – una “dualità distinta” tra l’entità e la manifestazione da un lato, e l’effetto operante e l’opera compiuta dall’altro.
Si viene così a costituire una soglia, al di là della quale, si hanno l’Io e la sua anima e, al di qua della quale, si hanno invece la sua vita e il suo corpo.
Ebbene, è da un’analoga autogenerazione del puro Essere che, nella logica hegeliana, vengono alla luce tutte le altre categorie: in virtù del processo dialettico, il puro Essere si trasforma infatti prima in essere determinato, qualità ed essenza, poi in tempo e infine in spazio; anche qui si viene così a instaurare una sorta di dualità tra il puro Essere e l’essenza, da una parte, e il tempo e lo spazio, dall’altra.
Esaminiamo dunque queste categorie e in specie il modo in cui Hegel le fa sviluppare l’una dall’altra.
Il primo capitolo della prima sezione della Scienza della logica si apre con i seguenti tre passi riguardanti, nell’ordine, l’Essere, il Nulla e il divenire:
1) “essere, puro essere, – senza nessun’altra determinazione. Nella sua indeterminata immediatezza esso è simile soltanto a se stesso, ed anche non dissimile di fronte ad altro; non ha alcuna diversità né dentro di sé, né all’esterno. Con qualche determinazione o contenuto, che fosse diverso in lui, o per cui esso fosse posto come diverso da un altro, l’essere non sarebbe fissato nella sua purezza. Esso è la pura indeterminatezza e il puro vuoto. – Nell’essere non v’è nulla da intuire, se qui si può parlar d’intuire, ovvero esso è questo puro, vuoto intuire stesso. Così non vi è nemmeno qualcosa da pensare, ovvero l’essere non è, anche qui, che questo vuoto pensare. L’essere, l’indeterminato immediato, nel fatto è nulla, né più né meno che nulla”.
2) “nulla, il puro nulla. E’ semplice simiglianza con sé, completa vuotezza, assenza di determinazione e di contenuto; indistinzione in se stesso. – Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare, si considera come differente, che s’intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o pensar nulla, ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare, quel medesimo vuoto intuire e pensare ch’era il puro essere. – Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione, epperò in generale lo stesso, che il puro essere”.
3) “il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l’essere né il nulla, ma che l’essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell’essere. In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch’essi non son lo stesso, ch’essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili, e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto. La verità dell’essere e del nulla è pertanto questo movimento consistente nell’immediato sparire di essi nell’altro: il divenire; movimento in cui l’essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in pari tempo immediatamente risoluta” (2).
Per Hegel, il puro Essere, in quanto indeterminata immediatezza, è dunque insieme uguale e diverso dal puro vuoto o dal puro Nulla.
Cominciamo quindi col chiederci se il puro Essere (o l’ontologia) e il puro Nulla (o la meontologia) siano davvero uguali: ovvero, se possano o no rivendicare pari valore o dignità (Hegel stesso invita peraltro a farlo allorché scrive: “Quelli che vogliono star fermi alla differenza dell’essere e del nulla, si provino a dire in che consiste”) (3).
Orbene, ciò che afferma Hegel non ricorda forse quanto si dice nella quinta scena del primo atto della seconda parte del Faust? In questa, Mefistofele (lo spirito che “nega”) parla del regno delle Madri come di un regno appunto vuoto: “né più né meno che nulla” – vorrebbe far credere a Faust – sarebbe il mondo in cui tali Auguste Dee “non vedono se non le Idee” e “seggono” o “stan ritte e vanno. In perpetuo formarsi e trasformarsi. Eterno giuoco del Pensiero eterno”. Ma Faust, ben conoscendo – come ammette lo stesso Mefistofele – il Diavolo, così gli risponde: “Spero nel Nulla tuo, trovare il Tutto” (4).
Il “regno delle Madri” di Goethe corrisponde, in Steiner, a quello della “manifestazione” e, in Hegel, a quello dell’”essenza”.
Ma di questo diremo poi. Per il momento, cerchiamo piuttosto di capire se il puro Essere e il puro Nulla possono essere considerati – come detto – proprio uguali.
Partiamo da una banale osservazione: un bicchiere pieno di liquido è per ciò stesso vuoto d’aria, così come un bicchiere vuoto di liquido è per ciò stesso pieno d’aria.
Muovendo da questa semplice osservazione, potremmo dunque chiederci: se una realtà appare, da un certo punto di vista, vuota e, da un altro, piena, non sarà allora che il problema non nasce dalla realtà, ma dalla contrastante natura dei due punti di vista? E’ dal punto di vista di Mefistofele che il regno delle Madri si presenta infatti come un vuoto o un nulla; ma Mefistofele, in quanto “Principe di questo mondo” (Gv 12,31), non può che osservare l’essere dal “basso”: ovvero, da un livello o da uno stato che, pur essendo divenuto dall’essere, ne è ormai qualitativamente distinto e separato (come opera compiuta).
Da un punto di vista del genere, l’essere non può in effetti apparire che vuoto: quale puro Essere è infatti privo di determinazione (animica), di vita (biologica) e di corporeità (fisica).
Afferma in proposito Steiner: “Si tratta effettivamente di una vista a cui prima dobbiamo assuefarci (…) Dovremmo pensare che tutto quanto è percepibile ai nostri sensi andrebbe eliminato da quel mondo. Dovremmo anche pensarne eliminata tutta la sfera della nostra interiorità, in quanto consta dei normali moti dell’anima. Dovremmo pensarne escluse anche tutte le nostre rappresentazioni. Riassumendo: dal mondo esterno dovremmo escludere tutto ciò che è percepibile ai sensi; e dal mondo interno tutti i moti dell’anima e tutte le rappresentazioni. Facciamoci allora un’idea di quale sarebbe il nostro stato d’animo se realmente concepissimo il pensiero: tutte queste cose vengono eliminate, eppure l’uomo esiste ancora. Non possiamo dire altro se non che in tal caso l’uomo dovrebbe provare un’immensa paura, un terrore indescrivibile, di fronte al vuoto infinito che gli si spalanca intorno. Dovrebbe imparare a sentire il suo ambiente come tutto impregnato, come tutto saturo di qualcosa che da ogni parte gli incute spavento, gli incute orrore. E al tempo stesso dovrebbe però essere in grado di vincere quella paura, grazie alla saldezza e alla sicurezza del suo stesso essere” (5).
Una cosa, insomma, è la pienezza dell’essere (in sé), quella in grado cioè di garantire – come dice Steiner – “saldezza” e “sicurezza”, altra la sua (relativa) vuotezza di manifestazione, di effetto operante e di opera compiuta.
Tralasciamo per il momento quanto si riferisce alla vita (al tempo) e al corpo (allo spazio) e soffermiamoci sul problema della manifestazione o della determinazione.
Al riguardo, Hegel così precisa: “Il nulla si suol contrapporre al qualcosa. Ma qualcosa è già un ente determinato, che si distingue da un altro qualcosa, e così anche il nulla contrapposto al qualcosa è il nulla di un certo qualcosa, un nulla determinato. Qui però il nulla è da intendere nella sua indeterminata semplicità” (6).
Egli vorrebbe dunque che il nulla, “nella sua indeterminata semplicità”, non venisse contrapposto “al qualcosa” perché ciò lo renderebbe non meno determinato del qualcosa cui venisse appunto contrapposto.
Va tuttavia rilevato che Hegel, nei rari luoghi in cui cerca di esemplificare il rapporto tra l’essere e il nulla, fa ricorso a delle rappresentazioni che si riferiscono più all’essere determinato che non al puro Essere. “Nulla è ancora – scrive ad esempio – e qualcosa deve divenire. Il cominciamento non è il puro nulla, ma un nulla da cui deve uscire qualcosa. Dunque anche nel cominciamento è già contenuto l’essere. Il cominciamento contien dunque l’uno e l’altro, l’essere e il nulla; è l’unità dell’essere col nulla…” (7).
Come si vede, ci si riferisce qui a un “qualcosa” (che deve “divenire” o “uscire”): ma un “qualcosa” è appunto un essere determinato, e non il puro Essere (del resto, anche nel secondo dei passi citati dice: “Si considera come differente, che s’intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla”).
Fatto si è che il nulla, quale espressione dello “spirito che nega” non può vivere, come un parassita, che a spese delle altre categorie: non può pertanto essere puro, e quindi essere in sé o vivere di sé. Ove il puro Nulla fosse, infatti, essendo il nulla (quale essere), il nulla stesso non sarebbe.
Il nulla non ha dunque che un valore privativo e relativo. Mentre l’essere, infatti, può affermare direttamente se stesso, il nulla può affermare se stesso solo indirettamente, mediante la negazione dell’altro.
Ma andiamo avanti. Come accennato, il puro Essere si trasforma e, da essere indeterminato, si fa essere determinato, qualità ed essenza.
Ma come riesce a trasformarsi?
A questa domanda, Hegel così risponde: “Dal divenire sorge l’esser determinato” (8). E’ dunque in virtù del divenire che il puro Essere si trasforma nell’essere determinato.
Per Hegel, tuttavia, il divenire non è che un “terzo”: non è ossia che un risultato del rapporto dialettico tra l’essere e il nulla. Il divenire – scrive infatti – “è l’inseparabilità dell’essere e del nulla (…) unità in cui è tanto l’essere quanto il nulla (…) lo sparire dell’essere nel nulla, e del nulla nell’essere, e lo sparire, in generale, dell’essere e del nulla” (9).
Come si sa, è questo un “luogo” della logica hegeliana che, a partire dal momento della sua pubblicazione (1812-1816), ha fatto versare fiumi d’inchiostro tanto agli oppositori quanto ai seguaci di Hegel (10).
Obietta ad esempio Friedrich Adolf Trendelemburg (1802-1872): “Il puro essere, uguale a se stesso, è quiete; il nulla, uguale a se stesso, è ugualmente quiete. In che modo dall’unità di due statiche rappresentazioni sorge il movimentato divenire? Negli stadi precedenti non è in alcun modo prefigurato il movimento, senza il quale il divenire sarebbe soltanto un essere. Poiché tanto il puro essere quanto il non-essere esprimono quiete, il successivo compito del pensiero, se si deve porre l’unità di entrambi, può essere solo quello di trovare una statica unione. Se però il pensiero di quell’unità produce qualcos’altro, palesemente è perché esso stesso ve lo aggiunge, introducendo tacitamente il movimento per inserire l’essere e il non-essere nel flusso del divenire. Altrimenti non si avrebbe mai dall’essere e dal non-essere – questi concetti statici – l’intuizione in sé mobile e sempre vivente del divenire. Il divenire non potrebbe affatto nascere dall’essere e dal non-essere, se la rappresentazione del divenire non lo precedesse” (11).
Trendelemburg, in sostanza, non fa che porre questa domanda: è dalla naturale dialettica dell’essere e del nulla (riconosciuti come diversi) che sorge necessariamente il divenire, o non è piuttosto la necessità del divenire che impone una innaturale dialettica dell’essere e del nulla (posti come diversi)?
In effetti, Hegel concepisce il divenire non come un libero automovimento o una libera emanazione dell’essere, bensì appunto come un necessario risultato del rapporto dialettico tra l’essere e il nulla.
Dice però il Vangelo: “Prima che il mondo fosse, era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio” (Gv 1,1).
Ebbene, lo stesso passo, parafrasato, potrebbe suonare così: “Prima che il Divenuto fosse, era il Divenire, e il Divenire era nell’Essere, e il Divenire era l’Essere”.
Da questo punto di vista, l’essere non è dunque che il divenire assunto come soggetto (in quiete) così come il divenire non è che il soggetto (in movimento) assunto come verbo.
Si consideri, per esemplificare, questa banale proposizione: “Mario costruisce la casa”. In questa, ovviamente, “Mario” è il soggetto, “costruisce” il verbo e “la casa” l’oggetto. Bene, si provi adesso a pensare: “Prima che la casa fosse, era il costruire, e il costruire era in Mario, e il costruire era Mario”.
Ben si vedrà, così, che è l’attività del soggetto a porre l’oggetto, e che tale attività, in quanto immediata e diretta espressione del soggetto stesso, è nel soggetto così come il soggetto è in essa.
Ancora il Vangelo dice infatti: “Io e il Padre siamo una sol cosa” (Gv 10,30) e “Il Padre è in me e Io sono nel Padre” (Gv 10,38).
L’essere e il divenire sono pertanto “una sol cosa”: l’essere diviene, il divenire è.
E’ da questa libera emanazione o creazione dell’essere che nascono dunque gli esseri determinati, le qualità e le essenze: che nasce cioè il mondo delle idee o – goethianamente – il regno delle Madri.
E’ questa la realtà di quella manifestazione in cui – come dice Steiner – vive e trama l’entità divino-spirituale. Lo stesso concetto è espresso da Hegel con queste parole: “Nell’essere determinato la determinazione è una con l’essere” (12).
Poiché il puro Essere è sostanza, potenza o forza, mentre la determinazione è forma (in atto), ogni essere determinato non è allora che una forma determinata e attuata della sostanza, della potenza o della forza dell’essere (“le idee – afferma infatti Steiner – per l’antroposofia sono i recipienti d’amore”) (13).
In quanto forma, la determinazione costituisce tuttavia un limite: vale a dire, uno spazio qualitativo sperimentabile soltanto al di là della soglia (14). Al di qua della stessa, invece (cioè a dire, nella sfera dell’esistere), il divenire della forma lo si sperimenta come tempo (come effetto operante) e la forma divenuta la si sperimenta come spazio (come opera compiuta).
E’ importante realizzarlo perché Trendelemburg muove a Hegel quest’altra obiezione: “La dialettica che pretende di non presupporre alcunché, presuppone il movimento senza esaminarlo. Il movimento attraversa l’intera “Logica” hegeliana, e vien però esaminato soltanto nella “Filosofia della natura”. Si può obiettare, e qualcuno lo farà, che il movimento considerato nella “Filosofia della natura” è tutt’altro movimento, e che il movimento della natura esterna si differenzia dal movimento interno del pensiero. Chi sostenesse ciò dovrebbe però indicare tale differenza, il che non è mai avvenuto” (15).
Indicare – come vorrebbe Trendelemburg – “tale differenza”, significa però indicare gradi, stati o livelli diversi dell’essere (ovvero, sue gerarchie). Come abbiamo visto, è infatti dalla vivente e unitaria (o triunitaria) realtà dell’essere che promana quella molteplice delle essenze; è dalla realtà delle essenze che si svolge, esteriorizzandosi, quella del tempo; ed è la realtà del tempo a raggelarsi e morire in quella dello spazio.
Ciò che si verifica al passaggio della soglia altro non è, in definitiva, che un’enantiodromia: ovvero, un rovesciamento nell’opposto. Ciò che ad esempio, al di là della soglia, è in sé o essenza, al di qua della stessa, è ex sé o esistenza.
Per Hegel, infatti, il tempo è il “sensibile insensibile”, il “mero divenire intuito, il puro essere in sé in quanto è semplicemente un venir fuori di sé” (16), mentre lo spazio è “la giustapposizione del tutto ideale, perché è l’esser fuori di se stesso” (17).
La stessa essenza, che al di là della soglia è “oggetto” del divenire superiore (del divenire dall’essere), al di qua della soglia si trasforma nel “soggetto” del divenire inferiore (del divenire nel tempo e nello spazio).
In questa luce, la res extensa di Cartesio non è dunque che un in sé o un soggetto appreso a un livello di realtà (esistenziale) in cui appare (ai sensi) come un ex sé o un oggetto.
Essenziale, in definitiva, è conoscere i diversi piani di manifestazione dell’essere, le loro rispettive qualità, le loro reciproche relazioni e la loro funzione, in ordine, soprattutto, allo sviluppo della coscienza e dell’autocoscienza umane. Scrive appunto Bertrando Spaventa: “Il vero problema della metafisica è intendere, non l’ente per sé senza gli stati suoi, né gli stati suoi senza l’ente, ma come l’ente, mediante gli stati suoi, si fa quello che è” (18).
L’essere, al più basso dei suoi livelli di manifestazione, si dà – secondo quanto abbiamo visto – quale essere morto (od opera compiuta). Hegel, al riguardo, così osserva: “L’un indirizzo (del divenire – nda) è il perire. L’essere passa nel nulla; ma il nulla è anch’esso l’opposto di se stesso, il passar nell’essere, il nascere” (19).
Ma è davvero dal nulla che si viene con la nascita ed è davvero al nulla che si va con la morte? E può poi il puro Essere nascere e perire? No, di certo. Fatto sta che si possono caratterizzare questi due basilari momenti del divenire solo in rapporto a quella soglia che divide – come detto – la sfera dell’essere (e delle essenze) da quella dell’esistere. Col nascere, infatti, l’essenza invisibile (extrasensibile) diviene esistenza visibile (sensibile), mentre, col perire, l’esistenza visibile (sensibile) diviene essenza invisibile (extrasensibile). In breve, ciò che al di qua della soglia è un perire, al di là della stessa è un nascere, e viceversa.
Al di qua della soglia si svolge dunque l’ordinaria esistenza nel tempo e nello spazio: ovvero l’esistenza – per dirla con Guenon (20) – nel “regno della quantità”. Quest’ultima, però, non è che una qualità “senza qualità”. “La quantità – afferma appunto Hegel – è il puro essere, in cui la determinazione è posta non più come una con l’essere stesso, ma come superata o indifferente” (21).
A rendere altamente significativo questo livello è il fatto che proprio qui si accende il lume dell’autocoscienza umana. Lo spazio è infatti estensione, l’estensione è superficie e la superficie è specchio: specchio in cui l’essere può appunto riflettersi, prendendo così una prima coscienza di sé (quale spirito).
Dunque, sia lo specchio (morto) sia l’essere (vivo) che vi si riflette sono, mentre l’immagine riflessa o speculare dell’essere non è: in quanto mera immagine, essa non è infatti che parvenza, apparenza, astrazione o appunto non-essere (22).
Compito dell’autocoscienza dovrebbe essere quindi quello di superare questo livello, risalire gradualmente e pazientemente i medesimi gradi discesi dall’essere per giungere a darsi quale opera compiuta, negando così la negazione e affermando se stessa (il pensare) mentre afferma il mondo (il volere) e affermando il mondo (il volere) mentre afferma se stessa (il pensare).
Ma questo – s’intende – è un altro discorso.

Note:

01) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, pp.85-87;
02) G.W.F.Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari 1974, vol.I, pp.70-71;
03) ibid., p.81;
04) J.W.Goethe: Faust – traduzione di V.Errante – Sansoni, Firenze 1966, pp.276-282;
05) R.Steiner: La realtà spirituale dell’antico Saturno in “Antroposofia” – Rivista di scienza dello Spirito, anno XXXVII, n°1-3, gennaio-marzo 1982, p.8;
06) G.W.F.Hegel: op.cit., p.71;
07) ibid., p.59;
08) ibid., p.103;
09) ibid., pp.98-99;
10) ancora di recente, Vincenzo Vitiello, ritornando sulla questione, ha scritto: “Del Divenire non c’è nascita. La nascita del Divenire, ovvero il passaggio dall’Essere al Nulla e da questo a quello, è già divenire” (Non dividere il sì dal no – Laterza, Roma-Bari 1996, p.50). Egli sostiene questa tesi per il fatto che Hegel, nel passo della Scienza della logica dedicato al divenire (e da noi riportato), puntualizza che “l’essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell’essere”. Sempre Hegel, tuttavia, poco dopo scrive: “Il divenire importa che il nulla non resti nulla, ma passi nel suo altro, nell’essere” (p.72). E’ in ogni caso difficile sostenere che “Del Divenire non c’è nascita” quando se ne parla – come fa Hegel – nei termini di un “resultato” o di un “terzo”. Valgano d’esempio i seguenti passi: “Così l’intiero, vero resultato, che qui si è ottenuto, è il divenire” (p.81); “E’ nel divenire, che l’essere e il nulla sono come diversi: il divenire è solo in quanto essi son diversi. Un tal terzo è un altro che l’essere e il nulla” (p.82); “L’unità, i cui momenti, l’essere e il nulla, sono come inseparabili, è in pari tempo distinta da quei momenti stessi, e costituisce così contro di essi un terzo, che nella sua più particolar forma è il divenire” (p.83).
11) F.A.Trendelemburg: Il metodo dialettico – Il Mulino, Napoli 1990, p.6;
12) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p.110;
13) R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p.12;
14) Afferma in proposito Steiner: “Quando si inizia ad avere coscienza dello stato in cui io e corpo astrale si sono distaccati (dal corpo eterico e da quello fisico – nda), si arriva a distinguere qualcosa di simile a misura, numero e peso, ma in senso opposto (…) Come qui sulla terra penetriamo nel vivere ed operare delle realtà terrene determinandole con la bilancia, il metro, il calcolo, così appropriandoci della pesantezza puramente qualitativa, che è il contrario del peso, che indica la volontà di espandersi senza peso nello spazio cosmico, della misurazione del colore mediante il colore e così via, giungiamo alla comprensione delle entità spirituali” (Le individualità spirituali del sistema solare – Antroposofica, Milano 1995, p.40);
15) F.A.Trandelemburg: op.cit., p.7;
16) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche, pp.223-224;
17) ibid., p.229;
18) B.Spaventa: Frammento inedito in G.Gentile: La riforma della dialettica hegeliana – Principato, Messina 1913, p.59;
19) G.W.F.Hegel: Scienza della logica, pp.98-99;
20) cfr. R.Guenon: Il regno della quantità e i segni dei tempi – Edizioni Studi Tradizionali, Torino 1969;
21) G.W.F. Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche, p.115;
22) Bertrando Spaventa (1817-1883) è forse il primo ad avere in qualche modo realizzato che è l’intelletto o l’ordinario pensiero riflesso (mediato dal sistema neuro-sensoriale) a mettere al mondo il non-essere. In una pagina che varrebbe invero la pena di leggere per intero, scrive ad esempio: “Il vizio nella posizione del pensiero comune è l’immediata differenza di Essere e Nulla: Sì è Sì e non è No; No è No e non è Sì. Ma il pensiero comune non si avvede che esso stesso, in quanto pensiero, è appunto quello che dice e No; e in brevi parole, che Sì e No, Essere e Non essere, sebbene differenti, opposti, contraddittori, hanno una e medesima radice (uno essere e una radice, direbbe Bruno), e questa è il pensiero, lo stesso pensiero: non s’avvede che la differenza ha come base la identità; e che tolta questa, quella non è più possibile” (Le prime categorie della logica di Hegel in Opere – Sansoni, Firenze 1972, vol.I, p.398).

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Di Lucio Russo
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