La Repubblica (7 aprile 2001) pubblica un’intervista di Giovanni Maria Pace al ministro della sanità Umberto Veronesi. Le domande vertono soprattutto sul problema dell’”elettrosmog”, ma l’intervistatore coglie l’occasione per chiedere anche qualcosa sugli Ogm (dato il recente rogo, a Lodi, dei semi della Monsanto), sulla “mucca pazza” e sulle cosiddette “medicine alternative”. La sua ultima domanda è questa: “Il Parlamento vota a favore delle medicine alternative, c’è chi chiede di estendere agli animali di allevamento le cure omeopatiche e, apparentemente, la medicina antroposofica. Che cosa ne dice?”. “Sono anch’io sorpreso – risponde pronto Veronesi – da questa estesa regressione, che vede la cultura scientifica costretta all’angolo mentre i successi della scienza portano vantaggi pratici innegabili. Se oggi viviamo più a lungo, se la mortalità per tumori è in diminuzione, se sono scomparse la poliomielite e le malattie infettive, se l’Aids è sotto controllo, il merito è certamente della medicina scientifica. Se oggi possiamo avere insulina più pura e a basso costo, o ormone della crescita in quantità sufficiente, il merito va ascritto al Dna ricombinante. Occorre dire che anche i farmaci biotecnologici sono stati all’inizio osteggiati, mentre ora persino i più estremisti li accettano. Ciò mi fa pensare che lo scollamento tra scienza e società di cui sono indice il rifiuto degli organismi geneticamente modificati e l’imperante tecnofobia, verrà prima o poi ricomposto. In passato si sono ricuciti strappi ben più gravi: penso a Galileo e a Darwin”.
Orbene, se non fosse per quest’ultimo riferimento a Galileo e Darwin, la cosa non sarebbe di alcun interesse poiché è probabile che Veronesi si pronunci così nonostante sappia ben poco della medicina omeopatica e ancor meno di quella antroposofica. Vale la pena osservare, infatti, che lo spirito dogmatico che anima la chiesa cattolica e che si contrapponeva ieri con durezza a quello scientifico (incarnato appunto da Galilei e Darwin) non è granché diverso da quello che anima oggi inconsciamente molti scienziati o, per meglio dire, molti membri della cosiddetta “comunità scientifica”. D’altra parte, come i romani vinsero i greci, ma furono vinti dalla loro cultura (tanto da far dire a Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit“), così gli scienziati hanno “vinto” la chiesa cattolica, ma sono stati vinti (o “posseduti”) dal suo spirito (tanto che potremmo dire, parafrasando: “Chiesa capta ferum victorem cepit“.
Non siamo affatto certi, perciò, che lo scollamento di cui parla Veronesi sia tra la “scienza” e la società, così come non siamo affatto certi che a essere “costretta all’angolo” sia la cultura scientifica, che a essere “scientifica” sia la sola medicina allopatica, e che “il rifiuto degli organismi geneticamente modificati” sia solo frutto di “tecnofobia”.
Consideriamo, per fare un solo esempio, il caso del farmaco omeopatico. Francesco Severi (se non ricordiamo male) ha detto una volta: “Ho visto mille teorie cadere di fronte a un fatto, ma non ho mai visto un fatto cadere di fronte a mille teorie”. Ebbene, l’efficacia del farmaco omeopatico costituisce innanzitutto un fatto. Un fatto – vale oltretutto sottolineare – del quale la stessa medicina omeopatica non riesce ancora a darsi una convincente spiegazione. Una cosa, tuttavia, è il non riuscire a spiegare un fatto, altra il volerlo negare. Cosa fa infatti quella medicina che Veronesi chiama “scientifica”? Prende il farmaco omeopatico, lo analizza e, non trovandovi alcunché di chimicamente rilevabile, giudica che non possa produrre alcun effetto (a coloro che usano rifarsi, a questo punto, al cosiddetto “effetto placebo” sarà bene ricordare che la medicina omeopatica, non solo viene da lungo tempo applicata, e con successo, in campo pediatrico e veterinario, ma dispone anche di propri “placebo”). Non si dice dunque: “Poiché questo farmaco esplica un’azione, nonostante l’analisi chimica non vi rilevi alcunché di sostanziale, vuol dire allora che tale azione viene esplicata a un livello ancora sconosciuto e non rilevabile dall’analisi chimica”; ma si dice: “Poiché l’analisi chimica non rileva in questo farmaco alcunché di sostanziale, vuol dire allora che lo stesso non può esplicare alcuna azione”. Si parte dunque dal presupposto (meglio sarebbe dire però dal “pregiudizio”) che esista e agisca solo quanto l’analisi chimica è sostanzialmente in grado di rilevare. Come si negava dunque, un tempo, quanto non potesse essere convalidato dalla Bibbia (a proposito di Galilei, ad esempio, i satelliti di Giove), così si nega, oggi, quanto non può essere convalidato dall’analisi chimica. Ma è scienza questa, o dogmatismo? Sarebbe bene riflettere dunque sul fatto che lo spirito “dogmatico” se lo si caccia – come si suol dire – dalla “porta” è sempre pronto a rientrare dalla “finestra” e ad assumere le più diverse sembianze: perfino quelle, quindi, dello spirito “scientifico”. Per distinguere la persona animata dal primo da quella animata dal secondo, non ci si può pertanto fidare dei tratti esteriori (quali, ad esempio, la carriera, i titoli, le pubblicazioni, i riconoscimenti o l’”osservanza dei protocolli”), ma si deve ricorrere – per dirla in termini teologici – a un vero e proprio “discernimento degli spiriti”. Osserva appunto Federico Di Trocchio (docente di Storia della Scienza all’università di Lecce): la comunità scientifica è spesso “ottusamente conformista: non solo non riesce a pensare in modo diverso, ma disapprova ed espelle chi tenta di farlo (…) L’aspetto più impressionante rimane però l’analogia tra l’atteggiamento acritico e poco democratico della comunità scientifica nei confronti dei dissidenti e quello adottato a suo tempo dai teologi contro gli eretici (…) Oggi l’intolleranza della scienza si è sostituita a quella della religione” (Il genio incompreso – Mondadori, Milano 1998, pp.4-5-6).
Spirito scientifico e spirito dogmatico
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