A dettarci la seguente breve nota non sono stati lo spirito critico e lo spirito polemico, bensì la gratitudine e l’amore verso il mondo spirituale e, in particolare, verso quello “Spirito di verità” che anima tutto l’insegnamento di Steiner.
Non ci sorprende che l’antroposofia abbia ancor oggi degli avversari (“E’ insito nell’essenza stessa del movimento antroposofico – dice infatti Steiner – avere avversari”) (1); ci sorprende, piuttosto, che quanto costoro vanno blaterando venga preso sul serio da chi, rivestendo un ruolo o svolgendo una funzione all’interno delle istituzioni antroposofiche, si presuppone conosca tale insegnamento e ne condivida lo spirito.
Che un estraneo (come quel tale Peter Staudenmaier cui abbiamo dedicato la “noterella” del 9 marzo 2004) sostenga che l’insegnamento di Steiner contiene “elementi razzisti”, può pertanto dispiacere, ma non stupire; ha invece dell’incredibile (e riempie il cuore di amarezza) che qualche membro delle istituzioni antroposofiche (magari qualche insegnante della scuola Waldorf) possa sostenere la stessa cosa.
Chiunque infatti asserisca una cosa del genere dimostra solo di mentire o di non aver capito un bel nulla. E di non aver capito un bel nulla perché, senza probabilmente avvedersene, ama se stesso più dell’antroposofia. “Poiché l’antroposofia può venir compresa solo dall’amore, – afferma appunto Steiner – essa è creatrice d’amore, quando venga compresa nella sua vera natura” (2).
Ma è possibile che dei membri delle istituzioni antroposofiche non abbiano capito un bel nulla?
Purtroppo sì, poiché come i rami di un albero sono cosa diversa dalle radici che li nutrono, così le istituzioni o le attività antroposofiche sono cosa diversa dall’ antroposofia (dall’essere vivente “Antroposofia”, direbbe Prokofieff). E c’è più d’uno che, indaffarato com’è con la pedagogia antroposofica, con la medicina antroposofica, con l’agricoltura bio-dinamica o con le attività artistiche, finisce col trascurare o dimenticare l’antroposofia (già nel 1923, del resto, notando che “troppa specializzazione è cresciuta tra di noi”, Steiner osservava: ciascuna di tali iniziative è maturata “dal terreno madre dell’antroposofia e se ne deve esser memori, anzitutto rimanendo realmente antroposofi; non si può rinnegare il centro, né come insegnante di scuola Waldorf, né come collaboratore del “Kommende Tag”, né come ricercatore, né come medico”) (3).
Succede così che invece di esserci antroposofi (riconosciuti, come tali, dal mondo spirituale) che insegnano, curano, coltivano i campi oppure l’arte, ci sono dei sedicenti antroposofi che, con maggiore o minor zelo, “mettono in pratica” le didattiche, le terapie, i metodi di coltivazione o le tecniche artistiche antroposofiche: che antepongono dunque il fare al pensare, e quindi la natura personale allo spirito.
Ma che vuol dire essere “antroposofi”? Vuol dire, anzitutto, essere degli individui che percorrono il “sentiero della conoscenza” impegnandosi, con tutta l’anima , a conoscersi, educarsi e trasformarsi, tanto da arrivare a destare o risvegliare in se stessi lo “spirito libero”, e per ciò stesso, a seconda dei casi, il maestro, il terapeuta, l’agricoltore o l’artista “interiore”.
“L’Antroposofia – dice per l’appunto Steiner – non dovrebbe in fondo esser altro che una “sofia”, cioè un contenuto di coscienza, un’esperienza interiore dell’anima che ci rende esseri umani completi”; in quanto tale, essa è perciò “indipendente da qualsiasi società antroposofica, e può essere trovata al di fuori di ogni società” (4).
A dei genitori che lo avevano consultato, C.G.Jung ebbe a dire, una volta, che avrebbero educato i loro figli molto più per quello che erano che per quello che avrebbero predicato. Ed è infatti in ossequio a questo principio che ogni psicoanalista viene, mediante il training , formato , e non solo, mediante lo studio, informato . Ebbene, ciò che vale in campo psicoanalitico non dovrebbe a maggior ragione valere in campo scientifico-spirituale?
Certo, uno psicoanalista viene formato attraverso un’analisi “personale”, un’analisi “didattica” e una di “controllo” condotte da altri e più esperti psicoanalisti, mentre la formazione di un antroposofo dovrebbe essere – sulla base delle indicazioni di Steiner – una libera e individuale autoformazione.
Puntare sulla formazione o sull’autoformazione (umana) è in ogni caso ben diverso dal puntare, in modo dottrinario o scolastico, sull’apprendimento o sull’informazione.
Fatto sta che chi non eleva se stesso al livello dell’antroposofia (dell’Io o dello spirito), ma al contrario abbassa l’antroposofia al livello di se stesso (dell’ego o della natura), altro non fa che impadronirsi – nei termini de La filosofia della libertà – di una delle molte e possibili “tecniche morali”, tralasciando di attingere (poiché per farlo dovrebbe diventare diverso) tanto alla “intuizione morale” che alla “fantasia morale”.
“Caratteristica dello spirituale – ricorda infatti Steiner – è che l’uomo può riconoscerlo solo se si sforza di diventare almeno in piccola misura diverso da come è in partenza” (5); e precisa: “Mutamento nel modo di pensare e nel modo di sentire, ecco che cosa è necessario all’antroposofia, non solo mutar pensieri e sentimenti” (6).
Chi non curi a sufficienza l’antroposofia, o – come dice Steiner – la “sofia”, può arrivare così al punto di rinnegare, in tutto o in parte, Steiner, pur di salvaguardare l’istituzione, che ama (sulle orme di Pietro) più dello spirito che dovrebbe essere da questa veicolato: compiacendo e rassicurando, ad esempio, l’autorità costituita, col promettere di vegliare e vigilare affinché restino fuori dalle scuole antroposofiche gli “elementi razzisti” contenuti nell’opera di Steiner.
S’impone allora la domanda: è meglio, al fine di vantarne la quantità , continuare a promuovere delle istituzioni o attività nelle quali agonizza o è defunta la qualità antroposofica, o è meglio a questo punto fermarsi, riflettere e fare un esame di coscienza (e più ancora d’incoscienza), per tornare magari a coltivare con maggiore impegno e serietà l’antroposofia?
Questa non è una provocazione. Steiner stesso dice infatti (e siamo nel 1916): “Oggi la scienza dello spirito viene ancora spesso considerata roba da matti. Si scoprirà però un giorno che, se la si comprende veramente, essa contiene un elemento di scienza molto più reale del sogno scientifico dei secoli passati (…) Oggi l’umanità deve limitarsi a conoscere in modo nuovo, in modo conforme alla scienza dello spirito, prima di poter agire (corsivi nostri) in modo conforme alla stessa scienza dello spirito” (7); e, alludendo appunto alle difficoltà derivanti dal fatto che le singole attività si sono allontanate dall’antroposofia, così puntualizza: “Sarebbe stato necessario che non si fosse letta la mia Filosofia della libertà con lo stesso atteggiamento d’anima con cui si leggono altri testi filosofici (…) E’ perché non si è letta La filosofia della libertà in maniera diversa da come si leggono altri libri; questo importa, a questo ci si deve indirizzare con il massimo rigore, altrimenti lo sviluppo della Società Antroposofica rimarrà indietro rispetto allo sviluppo dell’antroposofia, altrimenti l’antroposofia, vista attraverso la Società Antroposofica, verrà del tutto fraintesa dal mondo, e ne deriveranno nient’altro che conflitti su conflitti” (8).
Note:
(1) R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p.11;
(2) ibid., p.13;
(3) ibid., p.26 e 75;
(4) ibid., p.69 e 109;
(5) R.Steiner: Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – Antroposofica, Milano 1985, p.8;
(6) R.Steiner: Formazione di comunità , p.29;
(7) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità – Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, pp.182-183;
(8) R.Steiner: Formazione di comunità , pp. 53-54.