In una conferenza tenuta a Stoccarda il 15 giugno del 1921, Rudolf Steiner afferma: “Nella nostra scuola la vera vita spirituale può penetrare solo perché il nostro collegio insegnanti è composto da antroposofi. Non attraverso l’insegnamento dell’antroposofia (la nostra non deve essere una scuola confessionale), ma attraverso il modo di comportarsi degli insegnanti, attraverso ciò che essi portano nell’anima, lo spirituale-animico penetrerà nella nostra scuola con ponderabili elementi animici” (1).
Dopo aver letto queste parole, vorremmo tentare, per quanto ci è possibile, di rispondere alla seguente domanda: perché Steiner, per far sì che la vera vita spirituale possa penetrare all’interno della scuola, considera fondamentale che il collegio degli insegnanti sia “composto da antroposofi”? Per dare una risposta a questo interrogativo, è necessario comprendere in cosa consista il profondo legame tra la pedagogia Waldorf e l’antroposofia. Cercheremo quindi, attraverso le parole dello stesso Steiner, di fare chiarezza su questa questione, poichè siamo convinti che sia un errore scindere la pedagogia dall’antroposofia; tale scissione, infatti, trasformando la prima in un insieme di tecniche didattiche e riducendo la seconda ad un astratto sistema di conoscenze, demolisce la sostanza spirituale della pedagogia e impedisce alla scuola di vivere ispirandosi ad una vera vita spirituale.
Nel 1924, a proposito della nascita degli impulsi pedagogici all’interno del movimento antroposofico, Rudolf Steiner dice: “Quando le agitazioni della guerra mondiale si furono esaurite, gli uomini pensarono ad ogni sorta di cose: ora deve avvenire qualcosa di grandioso, dopo la molta miseria sopportata, ora gli uomini devono avere il coraggio di fare qualcosa di grandioso, di trasformarsi completamente. Furono concepiti ideali grandiosi. Tutti gli scrittori che di solito scrivono qualcosa d’altro si occuparono dell’avvenire dello Stato, dell’avvenire dell’ordine sociale, e così via. Tutto era teso al pensiero: che deve fare ora l’uomo? Anche in campo antroposofico sorsero molte di queste cose, e di nuovo scomparvero. Soltanto nel settore della pedagogia, fino ad allora esisteva realmente poco. Il mio breve scritto L’educazione del bambino secondo la scienza dello spirito (2), nato piuttosto all’inizio del movimento antroposofico, esisteva, con diverse indicazioni, e conteneva in sostanza già un sistema completo di pedagogia (…) Erano belle aspirazioni nel settore pedagogico, ma non molto di più” (3).
Fino al 1919, anno in cui fu inaugurata a Stoccarda la prima scuola Waldorf, il breve scritto di Rudolf Steiner, risalente al 1907, conteneva l’insieme di tutte le “belle aspirazioni nel settore pedagogico” non ancora, però, concretizzate.
Chiediamoci ora: cosa si intende con il termine “belle aspirazioni”? Parlare di “belle aspirazioni” significa parlare non di astratti propositi, ma di una concreta tensione interiore dell’uomo diretta verso “ideali grandiosi”. Tale tensione permette all’uomo di ricevere ispirazioni proprio da tali ideali e di generare poi, nel mondo, ciò di cui il mondo stesso ha maggiore bisogno.
Sempre nel 1924, di quelle ispirazioni che, negli anni successivi, si sono trasformate in ciò che chiamiamo pedagogia Waldorf, Steiner parla come di una spontanea e naturale necessità: “L’arte pedagogica è cresciuta entro il movimento antroposofico, vorrei dire, non come qualcosa che si sia inserito in esso a seguito di un astratto proponimento, ma che è risultato dal movimento stesso con una determinata necessità. In modo così naturale e spontaneo, come l’arte pedagogica, ben poche cose, in sostanza, sono sorte fino ad ora dal movimento antroposofico. In modo così naturale sono sorti dal movimento antroposofico soltanto l’euritmia (…) e il movimento medico (…) oltre appunto l’arte pedagogica stessa della quale io posso dire che essa è nata per destino dal movimento antroposofico” (4).
Steiner ritiene la pedagogia antroposofica una naturale necessità in quanto essa è l’espressione di qualcosa che corrisponde ad un’impellente aspirazione umana. Questa aspirazione deve alimentare, proprio in coloro che si sentono parte del movimento antroposofico, la coscienza di ciò che, in ogni momento, meglio può corrisponderle concretamente.
A proposito dell’incontro tra l’aspirazione verso un ideale umano e le ispirazioni presenti nella pedagogia Waldorf, Steiner dice: “Così l’antroposofia giunse alla scuola; si potrebbe anche dire: la scuola giunse all’antroposofia” (5). Chi dunque cercò in quegli anni nuove ispirazioni, anelando ad un rinnovamento in senso realmente umano dell’educazione, “giunse all’antroposofia”.
Chiediamoci ora: perché gli antroposofi hanno il compito di essere coscienti di tali ispirazioni in campo pedagogico? La risposta a questa domanda è che ciò che anima la ricerca dell’elemento umano è la sorgente da cui ogni antroposofo dovrebbe attingere per il suo sostentamento interiore. Questa sorgente inesauribile è proprio l’antroposofia, intesa nel senso indicato da Steiner in una conferenza del 1923: “L’interpretazione corretta del termine antroposofia non è «saggezza dell’uomo», bensì «coscienza della sua umanità»” (6). Solo una reale coscienza del vero elemento umano può ispirare l’uomo nei suoi proponimenti. La pedagogia Waldorf è proprio una ispirazione che proviene dalla profonda coscienza dell’elemento umano, cioè dall’antroposofia.
Essendo quindi l’antroposofia ispiratrice dell’insieme di idee contenute nella pedagogia, non si può scindere la prima dalla seconda se non si vuole recidere, al contempo, il cordone ombelicale che lega una madre ad una figlia. Proprio Steiner paragona il rapporto tra antroposofia e pedagogia a quello tra una madre e una figlia. È quanto mai giusto occuparsi con gioia della pedagogia Waldorf (la figlia), ma non si commetta il grave errore di scordarsi dell’antroposofia (la madre): “Ci si rallegri pure per la figlia, – dice infatti – ma non si dimentichi la madre, non ci si dimentichi che anche la madre deve essere coltivata e protetta” perché, prosegue: “la figlia non prospera, se la madre non viene coltivata e protetta” (7).
Recidere quel cordone significa ridurre l’arte dell’educazione ad una tecnica dell’educazione, cioè ad un insieme di formule didattiche che non hanno più la forza di prosperare e svilupparsi, avendo perso la loro sorgente ispirativa. Se ciò avviene, accadrà sempre più spesso che gli insegnanti inesperti attendano che quelli più esperti li istruiscano sul cosa e sul come fare, anziché adoperarsi, interiormente e con lo studio, per cercare l’unica valida sorgente di quel cosa e di quel come. Dice infatti Steiner: “La prima cosa, in un corso di educatori che intendano lavorare in senso antroposofico, non è già dire: Tu devi fare questa o quella cosa, tu devi valerti di questa o quella pratica; ma la prima cosa consiste nello svegliare il modo di pensare pedagogico, attingendo dalla conoscenza dell’uomo. Quando si sia portato questo atteggiamento, attinto dalla conoscenza dell’uomo, allora si potrà dire: Il maestro è maturo per educare, per insegnare” (8).
A questo punto, risulta chiaro anche perché, in una scuola, “la vera vita spirituale può penetrare solo perché il nostro collegio insegnanti è composto da antroposofi”: la vera vita spirituale può penetrare, infatti, solo nelle anime di coloro che, sinceramente e dal profondo del cuore, tendono con tutte le loro forze all’elemento propriamente umano che vive nell’uomo; è proprio questa tensione la sostanza che deve vivere nell’anima di ogni antroposofo.
Non si può però decidere di essere ispirati dall’antroposofia; non si può, cioè, pretendere che la vita spirituale penetri in noi in virtù di un’istituzione associativa, di una anzianità di servizio, o di una qualsiasi altra ragione esteriore che nulla ha a che vedere con l’aspirazione verso l’ideale umano. Non è infatti la tessera di un’associazione che determina le intenzioni di un tesserato e non è tanto dalla pratica che dipende l’atteggiamento interiore di un insegnante, quanto dalla sua capacità di conquistarsi la coscienza di quella pratica. È la tensione verso l’ideale che bisogna mantenere viva, poiché solo questa può creare il clima indispensabile per poter lavorare, in senso veramente antroposofico, all’interno di un collegio di insegnanti di una scuola Waldorf. È dall’intensità con cui questa aspirazione vive nell’anima degli insegnanti che dipendono la forza e lo spirito di sacrificio di cui ciascun membro del collegio dispone. Ne abbiamo un fulgido esempio nelle parole di Johann Gottlieb Fichte quando, in una lezione tenuta a Jena nel 1794, parla della missione del dotto: “Confesso apertamente che è mio ardente desiderio di contribuire in qualche modo, proprio da questo posto in cui la Provvidenza mi ha collocato, a diffondere un modo di pensare più virile, un più gagliardo senso di nobiltà e dignità, un più ardente entusiasmo nel compiere a rischio di qualunque cosa la propria missione (…) affinché io possa un giorno (…) avere la certezza che in quei paesi lontani vivono uomini per i quali la verità è l’eletta amica; che ad essa sono fedeli per la vita e per la morte; che le danno ricetto quando tutto il mondo la respinge; che ne prendono apertamente le difese quando essa è calunniata e vituperata; che per essa sopportano con gioia l’odio subdolamente celato dei potenti, il ghigno stolido dello spirito di bassa lega, la scrollata di spalle piena di commiserazione da parte degli spiriti angusti!” (9).
Può quindi accadere, da un lato, che si snaturi l’arte dell’educazione, riducendola ad un sistema di aride regole didattiche e, dall’altro, che ci si senta ispirati dall’antroposofia per il solo fatto di essere in possesso di un sapere antroposofico costituito da astratte nozioni spirituali. Di fronte a questo rischio, Steiner mette più volte in guardia: “L’essenziale dell’antroposofia non è la teoria secondo la quale l’uomo consiste di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale ed io, secondo la quale esiste un karma, si hanno ripetute vite terrene, e così via. Si può essere eruditissimi e conoscere a menadito tutto questo, ma antroposofi nel vero significato della parola non si è perché si conoscono queste cose nel modo solito, come il contenuto di un libro di cucina. L’importante è invece che la vita dell’anima umana venga afferrata e approfondita dalla concezione universale antroposofica, che si impari ad operare partendo da una vita animica in tal modo compresa e approfondita” (10).
Ben vengano quindi, nelle scuole Waldorf, insegnanti che non conoscono l’antroposofia, ma aspirano inconsapevolmente ad essa in quanto animati interiormente dalla ricerca di quell’umano che vuole sorgere ovunque: costoro, infatti, partendo dalla pedagogia Waldorf, giungeranno inevitabilmente all’antroposofia e ne comprenderanno davvero le comunicazioni. Ciò accade, ad esempio, a chi, non del tutto convinto della teoria della luce di Newton, presagisce che il fenomeno della luce cela un significato più vasto e profondo (più umano). Spinto da tale presagio, costui porta avanti la sua ricerca fin quando non si imbatte nella concezione della luce di Goethe e negli ulteriori sviluppi di essa elaborati da Rudolf Steiner che gli permettono finalmente di sperimentare, nell’anima, un respiro più ampio.
Mal vengano invece coloro che, venuti in possesso di un sapere antroposofico, ne rinnegano la sorgente, riducendo i pensieri viventi a spoglie prive di vita; o coloro i quali, scambiando la vita del loro personale sentire con la vera vita spirituale, si affidano, nell’insegnamento, a soggettive fantasie prive di scientificità.
Molti forse obietteranno che, se si dovesse attendere che coloro che si occupano dell’educazione fossero tutti ispirati in questo modo e con una forza simile a quella che animava Fichte (se si dovesse attendere, cioè, che un collegio fosse formato da antroposofi), ben poche scuole Waldorf potrebbero nascere e svilupparsi. Ma non si pensi che la scelta sia tra il fare e il non fare una scuola; in questi termini astratti, infatti, può apparire più utile il farla, ma non è affatto così. Ciò che bisogna scegliere è la direzione verso cui ci si vuole muovere, ben consapevoli del fatto che esiste un limite oltre il quale il fare esteriore significa non fare (o, addirittura, fare danni!) e il non fare esteriore può significare fare silenziosamente molto per rendere il terreno fertile a quanto vuole venire alla luce. “Io preferisco – dice in proposito Steiner – l’agire che muova dal reale, non agitandosi, non facendo propaganda. Per me tutte queste cose sono orrende. Ma quando si hanno le mani legate, quando appunto non è possibile in alcun luogo fondare delle scuole libere, occorre creare l’atmosfera che le renda possibili. Naturalmente possono venir giustificati compromessi in questo o quel caso, ma oggi purtroppo viviamo in un tempo in cui ogni compromesso ci porta ancor più alla catastrofe” (11).
NOTE
1) R. Steiner: Insegnamento e conoscenza dell’uomo – Antroposofica, Milano 1986, p.51;
2) lo scritto Die Erziehung des Kindes vom Gesichtspunkte der Geistwissenschaft apparve nel 1907 sulla rivista Luzifer-Gnosis ed è pubblicato in italiano, con il titolo L’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito, all’interno del volume Educazione del bambino e preparazione degli educatori – Antroposofica, Milano 1996;
3) R. Steiner: Importanza della conoscenza dell’uomo per la pedagogia e della pedagogia per la cultura – Antroposofica, Milano 1962, pp.191-192;
4) ibid. , pp.186-187;
5) ibid. , p.193;
6) R. Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano, 1992, p.69;
7) ibid. , pp.19-20;
8) R. Steiner: Importanza della conoscenza dell’uomo per la pedagogia e della pedagogia per la cultura, p.45;
9) J.G. Fichte: La missione del dotto – Mursia, Milano 1987, p.138;
10) R. Steiner: Importanza della conoscenza dell’uomo per la pedagogia e della pedagogia per la cultura, p.45;
11) R. Steiner: Il sano sviluppo dell’essere umano II – Antroposofica, Milano, 1998, p.93.