Avendo letto l’ultimo libro di Giovanni Paolo II, Memoria e identità, vorremmo provare (nel nostro piccolo) a riprenderne e discuterne almeno due punti: quello relativo al male e quello relativo alla libertà.
“Nel corso degli anni – afferma il Pontefice – si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo (…) Occorre risalire al periodo anteriore all’illuminismo, in particolare alla rivoluzione operata nel pensiero filosofico da Cartesio. Il cogito, ergo sum – penso, dunque sono – portò con sé un capovolgimento nel modo di fare filosofia. Nel periodo precartesiano la filosofia, e dunque il cogito, o piuttosto il cognosco, era subordinato all’esse, che era considerato qualcosa di primordiale. A Cartesio invece l’esse apparve secondario, mentre il cogito fu da lui giudicato primordiale. In tal modo non soltanto si operava un cambiamento di direzione nel filosofare – ma si abbandonava decisamente ciò che la filosofia era stata fino allora, ciò che era stata in particolare la filosofia di san Tommaso d’Aquino: la filosofia dell’esse. Prima, tutto veniva interpretato nell’ottica dell’esse e di tutto si cercava una spiegazione secondo quell’ottica. Dio come Essere pienamente autosufficiente (Ens subsistens) era ritenuto l’indispensabile sostegno per ogni ens non subsistens, ens participatum, cioè per tutti gli esseri creati, e dunque anche per l’uomo. Primordiale diventava ormai l’ens cogitans. Dopo Cartesio, la filosofia diventa una scienza del puro pensiero: tutto ciò che è esse – sia il mondo creato che il Creatore – rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. La filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa” (1).
Secondo il Papa, le “ideologie del male” (il comunismo e il nazismo, ma anche quella “nuova ideologia” scientista e utilitarista che contempla “lo sterminio legale degli esseri umani concepiti e non ancora nati”) (2) sarebbero dunque “profondamente radicate” nella modernità: ovvero, nell’ego, nell’autocoscienza o in quella che la scienza dello spirito chiama anima cosciente.
In effetti, prima (vale a dire, durante la fase evolutiva dell’anima razionale o affettiva) “tutto veniva interpretato nell’ottica dell’esse”; ma per quale ragione veniva interpretato così? Perché l’uomo ancora era in Dio o nell’Essere. In virtù dell’incarnazione del Cristo tale situazione si è però rovesciata: con il “Mistero del Golgota”, infatti, non è più l’uomo a essere in Dio, ma è Dio a essere nell’uomo (3).
Questo Dio che è nell’uomo è il Dio che vive segretamente nell’Io, e quindi nel pensare, nel sentire e nel volere.
Ma l’uomo moderno ha forse coscienza del pensare in cui vive l’Essere? No, perché della realtà del pensare ha soltanto una coscienza riflessa (dall’organo cerebrale). A causa di tale mediazione (fisica), l’uomo comincia quindi a conoscere l’Essere come un non-essere (“La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno ricevuta” – Gv 1,5).
E’ vero, quindi, che le radici delle “ideologie del male” stanno nella modernità, ma in tanto vi stanno in quanto l’uomo, prima di poter accedere (grazie al pensiero vivente) alla libertà “positiva”, ovvero alla libertà nell’essere (del Figlio), deve necessariamente esperire (a causa del pensiero riflesso) la libertà “negativa”, ovvero la libertà dall’essere (del Padre) (4).
Non si tratta perciò di tornare – come vorrebbe il Pontefice – dal cogito all’esse, né di rimanere fissati – come vorrebbero i rappresentanti della cosiddetta “cultura laica” – al non-esse del cogito (allo spirito profano), bensì di avanzare dal non-esse all’esse del cogito (allo Spirito Santo), aprendo in tal modo la strada all’esse del sentire e all’esse del volere o, in una parola, all’esse dell’Io inabitato dal Cristo.
Il che significa che non si tratta di regredire al tomismo, cioè a dire alla filosofia medioevale dell’essere (fiore all’occhiello dell’anima razionale o affettiva), né di rimanere fissati a Cartesio, a Kant o, più in generale, al non-essere (all’astrattezza) della filosofia moderna (illusoriamente scambiato per l’essere – magari della materia – oppure surrogato con l’esistere), bensì di progredire conoscitivamente dalla libera scienza della natura (caratterizzante la prima fase di sviluppo dell’anima cosciente) a una libera scienza dello spirito (caratterizzante la seconda).
Dopo Cartesio, – dice Giovanni Paolo II – “la filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa”. Ma non ha forse scritto, Eduard von Hartmann, una Filosofia dell’inconscio (1869), e non hanno forse tentato, Freud e Jung, di trasferire il problema dell’inconscio dal vecchio piano della filosofia a quello della scienza? E che dire se fosse proprio quest’ultimo tipo di ricerca, una volta oltrepassati i limiti (naturalistici e psicologistici) entro i quali la psicoanalisi e la psicologia analitica l’hanno ristretta, a poter ricondurre l’uomo all’Essere o a Dio: a quel Dio che l’uomo moderno ha soltanto “rimosso”, e che – a dispetto di Nietzsche – non è dunque mai “morto”?
Ma di questo ci siamo occupati altrove (5), e non staremo pertanto a ripeterci.
Dice ancora il Pontefice: “Se dopo la caduta dei sistemi totalitari le società si sono sentite libere, quasi simultaneamente è sorto un problema di fondo: quello dell’uso della libertà. E’ un problema che ha dimensioni non soltanto individuali, ma anche collettive. Esso attende perciò una soluzione in qualche modo sistematica. Se io sono libero vuol dire che posso fare un uso buono o cattivo della mia libertà “ (6).
Egli distingue, con san Tommaso, il “bene giusto (bonum honestum)” dal “bene utile (bonum utile)” e questo dal “bene piacevole (bonum delectabile)” (7), ricorda poi, con Aristotele, che “la libertà è una proprietà della volontà che si realizza per mezzo della verità” (8), affermando infine che “La libertà è per l’amore” (9).
Dunque, come la libertà è il presupposto dell’amore, così la verità è il presupposto della libertà (“Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” – Gv 8,32).
Senza verità non può esserci quindi libertà. “La libertà – ribadisce appunto il Papa – è se stessa nella misura in cui realizza la verità sul bene. Solo allora essa medesima è un bene. Se la libertà cessa di essere collegata con la verità e comincia a renderla dipendente da sé, pone le premesse di conseguenze morali dannose, le cui dimensioni sono a volte incalcolabili” (10).
Orbene, se il cammino che conduce all’amore partisse dalla libertà, sarebbe comprensibile il poter fare di questa – come dice Giovanni Paolo II – “un uso buono o cattivo”; tale cammino non parte però dalla libertà, ma dalla verità. E come immaginare, allora, che chi è stato reso libero dalla verità possa poi fare un “ uso cattivo” della libertà?
In realtà, come il bene (l’amore) discende dalla libertà e la libertà dalla verità, così il male (l’odio) discende dalla necessità e la necessità dalla menzogna.
Il “problema di fondo” non è perciò quello (etico) “dell’uso della libertà” (dell’uso del volere), quanto piuttosto quello (noetico) della conoscenza della verità; e poiché la verità è il Cristo (“Io sono la via, la verità e la vita” – Gv 14,6), il “problema di fondo” è allora quello della coscienza o conoscenza del Cristo: del solo Essere, cioè, in grado di permettere all’uomo moderno di superare l’egoismo, non mortificando o soffocando la coscienza dell’Io, bensì sviluppandola e portandola a maturazione.
Chi conosce o riconosce realmente il Cristo è infatti libero e, in quanto libero, ama (fa il bene), mentre chi conosce o riconosce astrattamente il Cristo, o lo disconosce, non è libero e, in quanto non-libero, non ama (fa il male).
Conoscere il Cristo significa però conoscere l’uomo (l’Ecce homo), così come conoscere l’uomo significa conoscere il Cristo.
“Si dice – ricorda il Pontefice – che il Concilio (Vaticano II – nda) avrebbe portato con sé quella che Karl Rahner ha chiamato la “svolta antropologica”. L’intuizione è valida, ma non deve in ogni caso far dimenticare che tale svolta ha carattere profondamente cristologico” (11).
E come potrebbe essere altrimenti, se il Cristo – com’egli stesso sottolinea – è l’”ultimo Adamo”, e se “questo ultimo Adamo è il Redentore dell’uomo, il Redentore del primo Adamo, cioè dell’uomo storico, gravato dall’eredità della caduta originale”? (12)
Chi vuole conoscere l’uomo deve dunque conoscere il Cristo, e viceversa.
Essendoci però una grande differenza tra le conoscenze individualmente acquisite (fatte proprie per intima esperienza e convinzione) e quelle semplicemente apprese da un’autorità esterna, occorre domandarsi: può ogni uomo (ogni “primo Adamo”) sviluppare liberamente una conoscenza o coscienza del Cristo (dell’”ultimo Adamo”) o deve invece rimettersi a quella insegnata dalla Chiesa, sulla base di una “rivelazione”?
Il Papa, su questo, non ha ovviamente dubbi: Cristo, – dichiara infatti – “se veramente accettato, porta con sé la Chiesa, che è il suo Corpo mistico. Non c’è Cristo senza incarnazione, non c’è Cristo senza Chiesa” (13).
II problema della libertà finisce così col riallacciarsi a quello delle radici delle “ideologie del male”.
Come l’uomo, infatti, prima era nella Chiesa e poi, con la modernità, se ne è diviso, così sarebbe ormai tempo che la Chiesa fosse nell’uomo e non l’uomo nella Chiesa (dice appunto il Cristo alla Samaritana: “Ma viene il tempo, anzi è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Perché il Padre così vuole i suoi adoratori. Dio è spirito, e quei che l’adorano, devono adorarlo in spirito e verità” – Gv 4,21-25).
Ma cosa si deve intendere per “Chiesa nell’uomo”? Null’altro che l’Io sociale, il noi nell’Io o, in termini antroposofici, il Sé spirituale: ovvero, il fondamento di quella ecclesia o comunità degli spiriti liberi nella quale possano finalmente incarnarsi gli ideali (ricordati da Giovanni Paolo II) della “uguaglianza”, della “libertà” e della “fraternità” (14).
Ancora due parole.
“Il male – dice il Pontefice – è sempre assenza di un qualche bene che dovrebbe essere presente in un dato essere, è una privazione. Ma non è mai totale assenza di bene. Il modo in cui il male cresce e si sviluppa sul terreno sano del bene costituisce un mistero” (15).
Il concetto tomistico di “privazione” (privatio boni) non spiega dunque “il modo in cui il male cresce e si sviluppa sul terreno sano del bene”.
Se non si vuole che la cosa permanga un “mistero”, bisogna allora sostituire il concetto di “privazione” con quello di “dislocazione”. Si ha una “dislocazione”, ad esempio, quando il bene sensibile (il bonum utile) viene (inconsciamente) ricercato (sublimandolo) sul piano sovrasensibile (del bonum honestum) o quando, come accade quasi sempre, il bene sovrasensibile (il bonum honestum) viene (inconsciamente) ricercato (degradandolo) sul piano sensibile (del bonum utile).
E’ chiaro, inoltre, che chi gode del bene “giusto” (dello spirito) gode pure del bene “piacevole” (dell’anima) e del bene “utile” (del corpo), mentre chi ha il terzo e/o il secondo non è detto che goda del primo, e che il bene “piacevole” (stando al centro) può derivare tanto dall’alto (dallo spirito) quanto dal basso (dal corpo).
Il male, dunque, è una contro-immagine del bene.
“Nel XX secolo – afferma sempre il Papa – molto è stato fatto affinché il mondo cessasse di credere e respingesse Cristo (…) Si tratta di una devastazione delle coscienze (…) I programmi politici, orientati prima di tutto verso lo sviluppo economico, non basteranno da soli a sanare simili piaghe. Possono anzi perfino approfondirle. Qui si schiude per la Chiesa un enorme campo di lavoro. La messe evangelica, quale si presenta nel mondo contemporaneo, è davvero grande” (16).
I rappresentanti della cosiddetta cultura laica e agnostica che, avendo cessato di credere, hanno respinto il Cristo, ma che, non avendo cominciato a conoscere, non lo hanno ritrovato, sono dunque avvisati. Se persevereranno, con il loro pensiero “debole” o “fallibile”, nel non voler passare dall’attuale non-esse della loro astratta “razionalità” all’esse di una nuova, viva e libera spiritualità (17), o continueranno a illudersi che il progresso tecnico-scientifico porti con sé quello animico-spirituale, prima o poi verranno riacciuffati dal pensiero “forte” di qualche vetusta forma di spiritualità (occidentale od orientale) sui cui altari dovranno innanzitutto immolare la loro individualità e la loro libertà (18).
Note:
01) Giovanni Paolo II: Memoria e identità – Rizzoli, Milano 2005, pp.18-19;
02) ibid., p.22;
03) l’“Io sono” – scrive Schelling – è “soltanto l’espressione del ritorno a sé, e quindi questo ritorno a sé che si esprime nell’”Io sono” presuppone uno stato in cui l’Io era fuori e lontano da sé. Giacché può ritornare a sé soltanto ciò che era prima fuori di sé” (F.W.J.Schelling: Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna – Laterza, Roma-Bari 1996, p.75);
04) circa il rapporto tra la libertà e il male, Steiner dice: “E’ altrettanto insensato che un triangolo non abbia tre angoli, quanto che gli dèi abbiano creato la libertà senza creare anche la possibilità del male, della sofferenza (…) Gli dèi non evitarono il male, perché solo esso può offrire all’umanità la possibilità della libertà (…) Per amore della libertà gli dèi dovettero permettere che nel mondo entrasse il male, e di contro dovettero tenere per sé il potere di ricondurre il male al bene” (R.Steiner: L’evoluzione secondo verità – Antroposofica, Milano 2004, p.48);
05) cfr. Freud, Jung, Steiner, 15 novembre 2003 e In memoria della psicologia dell’inconscio, 1 febbraio 2005;
06) Giovanni Paolo II: op.cit., p.47;
07) ibid., p.49;
08) ibid., p.53;
09) ibid., p.54;
10) ibid, p.57;
11) ibid., p.139;
12) ibid., p.139;
13) ibid., p.133;
14) ibid., p.143;
15) ibid., p.14;
16) ibid. p.147;
17) si potrebbe forse dire, degli odierni “maestri pensatori”, quel che Goethe diceva dei poeti del suo tempo: “La presente generazione si spaventa davanti a ogni schietta energia: e si compiace soltanto della debolezza…” (G.P.Eckermann: Colloqui col Goethe – Laterza, Bari, 1912, vol.I, p.266);
18) su La Stampa del 26 febbraio 2005, è comparso un articolo, emblematicamente titolato: La fede non è la medicina dell’Io, nel quale Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, biasima l’egocentrismo, il narcisismo e l’“individualismo religioso” del mondo contemporaneo, tessendo appunto l’ennesimo, sentimentale e nostalgico elogio del comunitarismo o del collettivismo.