Cristianesimo e cristianità

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Nella nota Amore e verità (1), ci eravamo a un certo punto domandati: è mai possibile che a Galimberti sfugga “la differenza tra il Cristianesimo e la conoscenza o coscienza del Cristianesimo (che altro non è poi, essenzialmente, che la differenza tra il Cristo e la conoscenza o coscienza del Cristo), e quindi il fatto che il Cattolicesimo rappresenta una particolare conoscenza o coscienza del Cristianesimo, ma non il Cristianesimo?”.
Ebbene, Alessandro Maggiolini (Vescovo di Como), apre il suo Fine della nostra cristianità, distinguendo appunto il “Cristianesimo” dalla “cristianità”, poiché quest’ultima – spiega – “è l’essenza del cristianesimo – che non esiste mai allo stato puro – quale si concretizza in un determinato contesto di cultura e di civiltà: dunque incarnandosi in un quadro umano che pone in evidenza alcuni aspetti del mistero rivelato nel Signore Gesù, ma ne oscura altri, e ne contiene di mutevoli o addirittura da superare in tempi diversi e in diversi spazi della storia” (2).
A questa, aggiunge poi la distinzione tra la “Chiesa universale” e le “Chiese particolari”. “Che ne è, oggi, – si chiede ad esempio – delle comunità paoline di Tessalonica, di Corinto, di Efeso, di Colossi ecc.? Che ne è delle fiorenti diocesi del Nord-Africa nel quarto e quinto secolo, come Cartagine, Ippona, Tagaste ecc.? Poco più che ruderi. Eppure la Chiesa vive ancora. Chi ci assicura che la cristanità italiana attuale ha un destino eterno, e non scomparirà, invece, per persecuzione subìta, per estenuazione, per insignificanza, per noia o qualcosa del genere? Mentre la Chiesa del domani potrà fiorire – che so – soprattutto in America latina o in Africa? Il Signore Gesù ci ha predisposti anche all’eventualità di una Chiesa formata da poche persone testarde, soavi e testimonianti il mistero della salvezza: senza identificare la chiesa con la Sinagoga, ci si potrà trovare nella condizione del resto di Israele, del popolo più esiguo rispetto a tutti gli altri popoli, del piccolo gregge” (3).
Una cosa sono dunque il Cristianesimo e la Chiesa universale, quali realtà spirituali, altra la cristianità e le Chiese particolari, quali realtà storiche e culturali.
Ma che cos’altro c’è alla radice di queste distinzioni se non la differenza – come asserito nella nota ricordata – tra la realtà (cosmica) del Cristo (più che del “Signore Gesù”) e la realtà (umana) della conoscenza o coscienza del Cristo? Non è proprio il tipo, il livello o il grado di conoscenza o coscienza del Cristo a caratterizzare le diverse Chiese e le diverse cristianità (4)?
Ma se le cose stanno così, che la “cristianità italiana attuale” possa scomparire, non solo per “persecuzione subìta”, ma anche per “estenuazione”, per “insignificanza” o per “noia” non sta allora a indicare che la conoscenza o coscienza del Cristo di cui è portatrice ha ormai esaurito la sua forza propulsiva?
E se la “cristianità”, quale conoscenza o coscienza (umana) del Cristo, “pone in evidenza – come dice Maggiolini – alcuni aspetti del mistero rivelato nel Signore Gesù, ma ne oscura altri, e ne contiene di mutevoli o addirittura da superare in tempi diversi e in diversi spazi della storia”, quanti hanno vivamente a cuore l’esistenza del Cristianesimo non dovrebbero sentirsi per ciò stesso in dovere di “mutare” o “superare” tale livello di conoscenza o coscienza, cercando di mettere appunto “in evidenza” gli aspetti ancora “oscurati” del “mistero rivelato” nel Cristo-Gesù?
Abbiamo spesso sottolineato, nelle nostre note, che l’attuale cristianità fa leva sulla “fede”, e non sulla “conoscenza”, poiché è sorretta dall’anima razionale o affettiva.
Dal momento, però, che l’anima razionale o affettiva ha lasciato il posto (a partire dal 1413 d.C.) alla moderna anima cosciente (autocosciente), stiamo correndo sempre più il rischio che la cristianità cui ha dato forma la prima, anziché mutarsi in quella richiesta dalla seconda, trascini nel suo declino il Cristianesimo: stiamo correndo sempre più il rischio, cioè, che con la fine di una cristianità finisca il Cristianesimo.
“Da un periodo di crisi come quello in cui viviamo – dice Maggiolini – può nascere una nuova cristianità” (5).
E’ vero: ma può forse nascere una “nuova cristianità” senza che nasca una nuova coscienza del Cristo? E come può nascere una nuova coscienza del Cristo se non si supera l’orizzonte dottrinario e dogmatico della cristianità tradizionale?
“Nell’intimo delle anime – osserva a questo proposito Steiner – c’è l’anelito, la tendenza viva a comprendere nuovamente il mistero del Golgota. Quello che deve venir cercato è un’esperienza nuova del Cristo (…) Poiché nella sua prima forma venne sperimentato grazie agli avanzi di antichi retaggi d’anima e poiché questi, dal secolo XV in poi, sono stati esauriti, esso si trasmette ormai per tradizione. Soltanto nell’ultimo terzo del secolo XIX l’ottenebramento fu totale (…) Ma deve di nuovo venir cercata una luce che conduca fuori dell’ottenebramento delle anime. Occorre davvero che si sperimenti di nuovo il mondo spirituale” (6).
Si deve avere “fiducia – dice ancora Maggiolini – nelle meraviglie che lo Spirito sa suscitare” (7) perché “la fantasia sbrigliata e il vigore dolcissimo dello Spirito possono riservare paesaggi inattesi lungo la strada della storia” (8). D’accordo, ma se non si vuole che queste rimangano belle parole (e che si mettano “limiti alla Provvidenza”), bisogna avere allora il coraggio di rimettere molte cose in discussione.
Ad esempio, come “avviare veramente d’accapo una Iniziazione cristiana” (9) continuando a sostenere che “il ruolo dell’intelligenza trova il suo posto anche dentro la fede” (10), trascurando così il fatto che il ruolo della fede trova il suo posto anche dentro l’intelligenza o, per meglio dire, dentro un conoscere che si sia di nuovo dischiuso alla vita dello spirito? “Quello che conta – ricorda appunto Steiner – non è il parlare sullo spirito, bensì il parlare con lo spirito” (11).
Col ripetere, invece, che il Cristianesimo, in quanto “Mistero e sacramento”, “sfugge in gran parte alla conoscenza umana” (12) non si finisce forse con l’indurre le persone a trovarlo “incomprensibile”, “insignificante”, “indesiderato”, se non addirittura “noioso” (13)? E col ripetere che la libertà “è un impegno gravoso e pericoloso” cui “l’imperativo giuridico può venire in soccorso” (14) non si finisce forse con l’indurle a temerla, e magari a surrogarla con la licenza, con l’arbitrio o col capriccio?
Camillo Ruini è convinto, al riguardo, che occorre muovere “verso il mare aperto della cultura contemporanea” perché “la sfida più profonda per il cristianesimo di oggi, è quella di conservare la fede incarnandola nella modernità” (15).
Ma come operare un tentativo del genere se l’essenza della modernità o dell’anima cosciente risiede proprio nell’affermazione del soggetto e del pensiero umani, e nella correlativa negazione di ogni dottrina che discenda da un’autorità (16), e non dalla libera coscienza individuale?
L’uomo del Rinascimento – osserva in proposito Giovanni Gentile – è “attratto da una realtà che è tutta una conquista dell’uomo, dottrina sua e frutto di una propria acquisita esperienza; ond’egli si eleva al di sopra dell’uomo comune, e si riscatta da’ suoi limiti e dalle sue miserie, e afferma quindi la propria indipendenza, che è potere infinito, creatività e cioè libertà” (17).
Si rifletta: per quale ragione Maggiolini afferma che “la Chiesa del domani potrà fiorire – che so – soprattutto in America latina o in Africa”? E’ presto detto: perché è senz’altro più probabile riuscire a “conservare la fede” trasferendola, così com’è, laddove non si è ancora insediata appieno la modernità che non riuscire a trasformarla e rinnovarla per permetterle di “incarnarsi” laddove si è invece già consolidata l’anima cosciente (seppure nella sua sola prima fase di sviluppo scientifico-naturale).
Si consideri, peraltro, che l’attuale cristianità in tanto è stata in grado di dare storicamente un contributo più o meno sostanziale alla disfatta del nazismo e del comunismo in quanto queste “fedi” non sono state (e non sono), sul piano politico, che un aberrante e “ideocratico” portato della medesima anima razionale o affettiva.
Quante speranze ci sono, tuttavia, che riesca oggi a sconfiggere (e redimere) quella “nuova ideologia del male” (Giovanni Paolo II) che, quale portato materialistico o agnostico della prima fase di sviluppo dell’anima cosciente, va sempre più prendendo corpo nella “cosiddetta mentalità scientifica, o piuttosto scientistica, contemporanea” (18)?
Dato dunque che “Satana” (come lo chiama Maggiolini) ha dimostrato, passando dal piano fideistico o ideologico a quello tecnico-scientifico, di sapersi astutamente aggiornare, non sarebbe saggio allora aggiornare anche il “bene”, così che possa contrastare (e redimere) il “male” sul piano noetico (spiritualizzando o santificando il pensare), prima ancora che su quello etico (spiritualizzando o santificando il volere)? Non sarebbe saggio, in altri termini, opporre alla forza di morte della scienza materialistica la forza di vita di una scienza dello spirito, piuttosto che l’incerta autorità di qualche “comitato etico”?
Queste brevi osservazioni non sono naturalmente rivolte ai membri della Chiesa cattolica né a tutti quei laici che ancora si appagano, con pieno diritto, del suo magistero; sono rivolte, piuttosto, a quanti, aspirando a conoscere e non soltanto a credere, poiché convinti – come dice lo stesso Maggiolini – che “la verità si impone da sé, con la propria forza e con la propria soavità” (19), si sono allontanati, non solo dal Cattolicesimo, ma anche dal Cristianesimo e sentono profondamente e dolorosamente “l’aridità e il gelo” (20) che pervadono la cultura contemporanea.
Oggi – osserva in proposito Steiner (siamo nel 1923) – “ ci sta dinnanzi un’epoca in cui gli uomini, dopo aver tanto imparato intorno ai segreti della natura, si estranierebbero del tutto dalle parole dei Vangeli, se non si aprisse loro una nuova via verso il Cristo (…) Il mistero del Golgota fu compreso, nell’epoca in cui esso si effettuò, in tutt’altro modo che in epoche posteriori. Nell’epoca nostra esso deve essere inteso e compreso in modo del tutto nuovo; e compito dell’antroposofia è di comprendere il mistero del Golgota rettamente, in modo conforme al tempo nostro (…) Se nell’epoca attuale gli uomini non si volgeranno alla conoscenza spirituale, il Cristo andrà perduto. Finora il cristianesimo non faceva appello alla conoscenza. Il Cristo è morto per tutti gli uomini, non ha rinnegato gli uomini. Se oggi gli uomini lo respingono nella sfera della conoscenza, essi rinnegano il Cristo” (21).
Superfluo aggiungere che respingere il Cristo “nella sfera della conoscenza” (così come dichiarare “conclusa” la rivelazione divina) (22) equivale a respingere lo Spirito Santo: ovvero, quello Spirito “gnostico” (in senso letterale, non storico) inviato appunto dal Cristo per risanare – volendola dire ancora con Steiner – “la malattia dell’anima umana” (23).

Note:

01) Amore e verità, 6 marzo 2005;
02) A.Maggiolini: Fine della nostra cristianità – PIEMME, Casale Monferrato (Al) 2001, p.5;
03) ibid., p.17;
04) secondo Maggiolini, però, la Chiesa universale s’incarna più compiutamente in quella cattolica. Dei cristiani non cattolici, dice infatti: “Essi non trovano nella loro aggregazione religiosa la totalità della rivelazione cristiana che si ha nella Chiesa cattolica: e dal punto di vista dottrinale e dal punto di vista sacramentale e pastorale. Rimane un deficit di salvezza” (ibid., p.144-145);
05) ibid., p.7;
06) R.Steiner: Forze spirituali attive fra vecchia e nuova generazione – Antroposofica, Milano 1964, pp.32-33;
07) A.Maggiolini: op.cit., p.8;
08) ibid., p.9;
09) ibid., p.25;
10) ibid., p.57;
11) R.Steiner: op.cit., p.46. Scrive, allo stesso proposito, Hegel: “Per la fede lo spirito ha verità, ma in questa verità manca il momento della certezza di sé. Che oggetto del Cristianesimo sia la verità, lo spirito, lo abbiamo già veduto; essa è data alla fede come verità immediata. Essa la possiede, ma senza averne consapevolezza, senza sapere, senza saperla come sua autocoscienza” (G.W.F.Hegel: Lezioni sulla storia della filosofia – La Nuova Italia, Firenze 1981, vol.3,II, p.41);
12) A.Maggiolini: op. cit., p.15-16;
13) ibid., p.25;
14) ibid., p.101;
15) Corriere della Sera, 29 aprile 2005;
16) dice Maggiolini: “Nel caso dell’insegnamento dottrinale la Chiesa (…) propone in modo normativo o/e addirittura infallibile la stessa rivelazione di Dio che si è conclusa e si riassume in Cristo, vale a dire la dottrina che traduce intellettualmente e orienta vitalmente alla realtà del Signore Gesù” (op.cit., p.93);
17) G.Gentile: Il pensiero italiano del Rinascimento – Sansoni, Firenze 1955, p.8;
18) Giovanni Paolo II: Memoria e identità – Rizzoli, Milano 2005, p.62. Cfr. pure L’esse e il cogito, 20 marzo 2005;
19) A.Maggiolini: op.cit., p.35;
20) R.Steiner: op.cit., p.51;
21) R.Steiner: Il messaggio pentecostale dell’antroposofia in Antroposofia – Rivista mensile di scienza dello spirito, anno XIII, n°2, febbraio 1958, pp.40, 34 e 46;
22) cfr. nota 16;
23) ibid., p.47.

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Di Francesco Giorgi
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