Il secondo settennio e il principio di autorità

I

Sulla Stampa (25 aprile 2005), sono apparsi due articoli relativi al problema della disciplina scolastica che preoccupa, in maniera crescente, le scuole italiane ed europee. Nel primo, a firma di Maria Chiara Bonazzi, viene riportata l’indagine svolta da una professoressa inglese all’interno di 15 scuole sparse fra Londra e il Nord dell’Inghilterra, riguardo al comportamento selvaggio assunto, in classe, dagli studenti di età compresa tra i 12 e i 15 anni. Nell’articolo si parla di minacce e di aggressioni subite dagli insegnanti durante e dopo lo svolgimento delle lezioni e, cosa ancora più preoccupante, di come “alcuni alunni si sono fatti l’idea che possono far causa agli insegnanti, i quali ormai camminano sulle uova e non riescono più a imporre la disciplina”.
Nel secondo articolo, di Raffaello Masci, viene riportata un’intervista a Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi nonché della Cida (Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità), in merito allo stesso problema che anche in Italia, come testimoniano i fatti del liceo Parini, sta creando enormi disagi. In questa intervista, Rembado afferma: “Disciplina e repressione sono state usate come sinonimi, nella scuola, per molto tempo, e, dato che nessun educatore che si rispetti vuole fare il repressore, molti miei colleghi hanno anche abdicato al loro ruolo di custodi della disciplina, intesa come ordine intrinseco della scuola” e aggiunge: “Già sarebbe molto se il ruolo e l’autorità dell’insegnante non venissero delegittimati dai comportamenti di alcuni genitori. Se un docente richiama, anche blandamente un allievo, scatta immediatamente la protesta dei genitori. Frasi come “non stare a sentire quella cretina della tua maestra” sono mortali per il prestigio della scuola”.
Questa delegittimazione genera dunque negli insegnanti una profonda insicurezza e una radicale difficoltà nel mettere in atto un qualsiasi provvedimento disciplinare. Di fronte ai comportamenti trasgressivi degli alunni, scelgono piuttosto una irresponsabile abdicazione, mostrandosi di fatto incapaci di creare un’atmosfera idonea allo svolgimento delle lezioni.
Questi fatti devono essere interpretati come sintomi di un qualcosa che cerca di venire alla luce. Cercheremo di affrontare la questione da un punto di vista scientifico-spirituale, facendo riferimento alle dinamiche che si svolgono nei ragazzi, nell’età compresa tra i 7 e i 14 anni, secondo quanto vive in loro di fisico, di animico e di spirituale.
Nelle conferenze dedicate alla pedagogia, Steiner ha sottolineato la necessità, per tutti gli educatori, di comprendere l’uomo nel suo insieme di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io e la sua evoluzione secondo un ritmo che si articola in settenni, durante i quali, secondo un preciso processo, ciascuna delle parti costituenti l’uomo modifica il modo di estrinsecarsi delle proprie forze.
Il secondo settennio è caratterizzato dallo sviluppo del corpo eterico. In questo periodo, il rapporto che esso ha con l’organismo subisce una modificazione della quale il cambio dei denti è la manifestazione esteriore più evidente. “Quello che nelle precedenti conferenze – dice in proposito Steiner il 31 dicembre del 1921 – avevo chiamato corpo eterico, corpo sottile delle forze formatrici, si libera di certi suoi compiti nel periodo che va dal cambio dei denti alla maturità sessuale. Prima d’allora esso funzionava in modo organico-fisico e da quel momento comincia a funzionare in modo animico. Ne consegue che anche l’elemento corporeo viene afferrato da dentro, in maniera del tutto diversa rispetto a prima. Le cose prima si svolgevano in effetti in modo da stimare giusta un’interpretazione materialistica che vede nell’essere umano una somma di processi materiali e nell’elemento animico-spirituale qualcosa che deriva dall’elemento fisico-corporeo con il quale è connesso, come la fiamma della candela (…) Con il cambio dei denti la situazione si modifica. Determinate forze diventano più spirituali–animiche e ora intervengono soltanto nei movimenti che si manifestano nel ritmo del cuore e del respiro” (1).
Possiamo immaginare la trasformazione del rapporto tra il corpo eterico e l’interiorità dell’individuo come una modificazione di orientamento: prima del cambio dei denti, il corpo eterico possiede una sorta di involucro esteriore che permette alle forze plasmatrici di orientarsi esclusivamente alla formazione degli organi del corpo fisico ed impedisce al mondo esterno di influire su di esso per via diretta. In questa fase, l’influenza sull’azione delle forze plasmatrici può essere solo indiretta; può realizzarsi, cioè, unicamente attraverso l’ambiente che circonda il bambino e che penetra in lui attraverso l’imitazione: “Tra le forze che agiscono in modo formativo sugli organi fisici – dice appunto Steiner – va quindi contata la gioia che il bambino ha per e con il suo ambiente. Espressioni serene degli educatori, e soprattutto amore sincero e non forzato. Un tale amore, che scorra caldo attraverso l’ambiente fisico, fa nascere, cova, nel vero senso della parola, le forme degli organi fisici” (2).
L’imitazione, come principio educativo del primo settennio, ha dunque la funzione di favorire un corretto svolgimento dei processi messi in atto dalle forze plasmatrici eteriche. Assistere ad azioni che non dovrebbero essere imitate introduce nel bambino un elemento che ostacola il suo sano sviluppo. Quando poi, dopo la seconda dentizione, l’involucro protettivo decade, diviene possibile influenzare il corpo eterico anche per via diretta: “Con il cambiamento dei denti il corpo eterico depone l’involucro eterico esteriore, e comincia così l’epoca in cui si può agire dal di fuori sul corpo eterico in modo da educarlo” (3). Aprendosi al mondo esterno, il corpo eterico “comincia a funzionare in modo animico” mentre, nel primo settennio, agiva “in modo organico-fisico”. Questo fatto si manifesta con il divenire autonomo del sistema respiratorio e circolatorio e con l’affiorare alla coscienza di un sentimento di differenziazione e di estraneità che l’interiorità del bambino prova rispetto a quella degli altri individui: “Con il cambio dei denti, con il divenire autonomo del sistema respiratorio e circolatorio, il bambino si separa dagli altri, e l’altro diventa per lui un essere con un’interiorità” (4).
Così come la struttura fisico-eterica del bambino si modifica passando dal primo al secondo settennio, allo stesso modo si deve modificare anche l’atteggiamento pedagogico che accompagna questo passaggio. Chiediamoci, quindi, quale deve essere il principio guida dell’educazione nel secondo settennio.
Immaginiamo uno scultore, davanti a della creta, animato dal desiderio di plasmare un volto. In principio cercherà un modello cui ispirarsi che incarni al meglio l’ideale cui vuole dare forma. Possiamo paragonare lo scultore all’io del bambino, la creta al suo corpo eterico, e il modello a una persona verso la quale l’interiorità del bambino si rivolge con grande venerazione. Questa venerazione deve sorgere dal fatto che quel particolare individuo mostra di agire nel mondo secondo impulsi etici. Si introduce in questo modo un elemento di carattere morale che dirige e informa il corpo eterico, ispirando le azioni del bambino.
Perché l’elemento guida deve essere morale? Perché, spiega Steiner, “Il corpo eterico sviluppa la sua forza, se una fantasia regolata può indirizzarsi secondo quello che essa può svelare attraverso immagini viventi o adeguate allo spirito, e che può prendere a guida del corpo eterico stesso. Sul corpo eterico in sviluppo agiscono in modo giusto non concetti astratti, bensì ciò che si contempla: non però in modo fisico, ma spirituale. Il contemplare spiritualmente è il giusto mezzo educativo in questi anni” (5). Non basta, dunque, che il bambino provi venerazione per un individuo, è necessario che l’immagine scaturita dalle azioni di costui sia degna di essere contemplata dall’elemento spirituale che vive in lui. Scrive infatti Steiner: “Come al bambino fino ai sette anni bisogna dare l’esempio fisico che egli possa imitare, così nell’ambiente del bambino, fra la seconda dentizione e la pubertà, deve essere introdotto tutto ciò che per intimo significato e valore egli possa prendere per modello” (6). È dunque degno di essere contemplato spiritualmente ciò che sorge, nel suo “intimo significato e valore”, dall’elemento morale.
Il corpo eterico si educa attraverso lo sviluppo di tutto ciò che è tendenza, abitudine, coscienza, carattere, memoria; sono questi, dunque, gli aspetti che l’educatore deve tenere in massima considerazione, non solo nel comportamento del bambino, ma, soprattutto, nel proprio. Sono le proprie tendenze e abitudini, la propria coscienza, i propri ricordi e il proprio carattere che devono trasformarsi in un’immagine da contemplare. Solo se questi elementi saranno degni di divenire un modello per il bambino potrà nascere, nel suo animo, un sentimento di venerazione per l’educatore che si tramuterà nel rispetto per l’autorità che esso rappresenta.
Ma cosa si deve intendere quando si parla di autorità? Steiner ha sempre parlato di un’autorità naturale in contrapposizione a una autorità imposta. La prima si fonda sul reale valore che l’individuo possiede interiormente e che chiamiamo autorevolezza. La seconda, possiamo spiegarla come una proiezione esteriore dell’elemento regolatore e definirla autoritarismo; qualcosa, cioè, che nasce dalla capacità di imporre al mondo esterno e agli altri delle regole. Limitandosi a considerare quest’ultimo aspetto, si tralascia il fatto importante che, in un certo senso, si possiede davvero l’autorità di imporre tante regole agli altri, quante, di fatto, se ne riescono a imporre a se stessi. L’indignazione, ad esempio, per un particolare comportamento di un allievo deve necessariamente accompagnarsi all’indignazione per i comportamenti errati in generale, compresi i propri. Se questo avviene, il bambino contemplerà l’elemento morale universale, presagendo che l’indignazione provata dall’insegnante non muove dall’elemento personale (l’indignazione che nasce dall’orgoglio ferito), ma scaturisce dall’elemento universale dell’amore che egli ha per la realtà.
Possiamo parlare di un’autorità naturale, quindi, quando il provvedimento disciplinare nasce da un principio universale e non particolare; quando l’elemento regolatore non nasce dalla soggettività ferita, ma sorge dall’universalità offesa e non si applica solo agli altri, ma, soprattutto, a se stessi.
Solo l’autorevolezza di cui l’educatore è realmente in possesso farà sì che i provvedimenti di carattere disciplinare vengano accettati interiormente dal bambino, nonostante le innumerevoli e vigorose proteste esteriori.
Confondere la disciplina con la repressione, come afferma Rembado nel suo articolo, significa semplicemente confondere i provvedimenti presi in nome dell’autorevolezza, con quelli presi in nome del proprio elemento personale. L’origine di una misura disciplinare – ad esempio l’espulsione di un allievo dalla scuola – può essere, infatti, di natura profondamente differenziata; può andare dall’insofferenza soggettiva di un insegnante nei suoi confronti, all’impossibilità oggettiva di mantenere sano l’ambiente per tutti gli altri, date le sue effettive incompatibilità e difficoltà di integrazione con la realtà scolastica. Solo nel secondo caso il provvedimento risulterà difendibile dal punto di vista morale.
A questo proposito, lo stesso Steiner discusse dell’espulsione di tre allievi durante un collegio svoltosi il 6 ottobre del 1922: “Nicht wahr, es ist notwendig, daß man die drei aus der Schule entfernt. Aber es ist ganz zweifellos, daß das an der anthroposophischen Bewegung ausgeht, und daß man das stark benützen wird, um eben der anthroposophischen Bewegung das anzuhängen, daß die Jungens, trotzdem sie längere Zeit in der Schule sind, nun eben so sind, daß man sie herauswerfen muß. Es läßt sich ja, so wie die Sachen liegen, nicht einmal mehr viel machen zur Rechtfertigung.” (7) [È necessario allontanare i tre dalla scuola. Non c’è però alcun dubbio che ciò ricadrà sul movimento antroposofico e che verrà usato, con determinazione, al fine di attribuire ingiustamente, proprio al movimento antroposofico, il fatto che i ragazzi, nonostante siano da molto tempo nella scuola, agiscano ancora in modo tale che li si deve espellere. Per come stanno le cose, non si può fare granché di più per giustificarsi.] Nonostante sia necessario prendere seriamente in considerazione il provvedimento dell’espulsione, Steiner sollecita vigorosamente i partecipanti, durante l’intero colloquio, a indicare una valida motivazione di tale provvedimento, una giustificazione che sia, cioè, fondata su un elemento morale: “Aber wir müssen also über diese drei Schüler verhandeln, und wir werden sie eben nur ausschließen können unter dem Gesichtspunkt, daß sie sich in einer Weise während der Stunden benommen haben, und unmittelbar nach den Stunden, daß der Unterricht durch sie gestört worden ist. Und weil eben für die letzen Klassen es absolut notwendig ist, daß wir die Schüler bis zum Abiturientenexamen bringen, können wir nicht den Unterricht weiter stören lassen. Der Gesichtspunkt muß der sein, daß sie uns den Unterricht dadurch unmöglich machen, daß sie passiven Widerstand geleistet haben, und sich über die Lehrer lustig gemacht haben. Nun, das ist dasjenige, was gestern in der Besprechung mit der Klasse stark zutage getreten ist, daß sie das in ausgiebigstem Maße getan haben.” (8) [Ma noi dobbiamo discutere di questi tre allievi e li potremo espellere solo prendendo come punto di vista il seguente: che in qualche modo, durante le lezioni e immediatamente dopo, hanno agito in modo tale che l’insegnamento, attraverso di loro, veniva disturbato. E poiché, proprio per l’ultima classe, è assolutamente necessario che noi portiamo gli allievi fino all’esame di maturità, non possiamo permettere che si continui a disturbare l’insegnamento. Il punto di vista deve essere questo: che loro rendono impossibile lo svolgimento della lezione; che hanno opposto resistenza passiva e si sono fatti beffe degli insegnanti. Questo è quello che è emerso chiaramente ieri nel colloquio con la classe: che i tre hanno fatto tutto ciò in maniera eccessiva.] Cosa accade, a questo punto, se un insegnante chiede a un bambino che non lo consideri meritevole di stima di adeguarsi alle sue direttive? Non potrà fare altro che costringere il bambino facendo leva sulla paura. Questo stratagemma, che peraltro funziona solo apparentemente, fu però duramente criticato, già nel sedicesimo secolo, dal grande umanista Erasmo: “Ci sono però alcuni dal carattere così burbero che non possono venire amati neanche dalle mogli; con un’espressione bieca, un comportamento tetro, sembrano in collera anche quando sono ben disposti, non possono dire nulla con dolcezza, quasi neppure sorridere a chi li accoglie con un’espressione ridente; li diresti nati in odio alle Grazie. Io considero costoro buoni tutt’al più a domar cavalli; altro che dargli in mano bambini di un età debole e quasi ancora lattanti! Ma certi pensano che si debba ricorrere proprio a uomini di questo tipo per educare la primissima infanzia, confondendo la tetraggine con l’onestà incrollabile (…) La prima preoccupazione è farsi amare, a poco a poco subentra non il terrore, bensì un rispetto degno di un essere libero, che ha più autorità della paura” (9).
Ricorrere alla paura significa appellarsi ad una forza del tutto esteriore. Tramite essa, sarà impossibile creare le condizioni affinché le forze morali e intellettuali del bambino sorgano dalla sua interiorità per dirigersi verso il mondo. Nessun bambino che si avvicina all’adolescenza accetterà mai la disciplina basata sul ricatto della paura; egli percepirà l’imposizione come un atto repressivo in quanto, interiormente, non ne contemplerà l’elemento universale (10). Agendo così, anziché educare il bambino, non faremo altro che indurre in lui determinati comportamenti. Inoltre, imporre qualcosa ad un bambino che si avvicina all’adolescenza diviene sempre più difficile e controproducente. Tale imposizione trasforma, infatti, il principio di emulazione in un principio di rifiuto e il sentimento di venerazione in rancore. Il rifiuto e il rancore acquistano poi un dirompente vigore nel terzo settennio, quando si liberano le forze del corpo astrale.
Il sentimento di venerazione verso un’autorevolezza che si sostituisca, da un lato, a un’autorità puramente esteriore e, dall’altro, a un’irresponsabile abdicazione, ha un’importanza fondamentale per l’evoluzione del bambino: esso costituisce, nella sua anima, il germe di ciò che nel futuro sperimenterà come sentimento di uguaglianza tra tutti gli esseri viventi. Dice Steiner nel 1919: “Il sentire l’autorità fra i 7 e i 14 anni dovrà essere coltivato in avvenire in elevata e più intensa misura di quanto non lo si sia fatto in passato. Tutta l’educazione in questi anni dovrà essere indirizzata sempre più coscientemente a risvegliare nel bambino un semplice e bel sentimento per l’autorità. Quel che deve essere infatti immesso nel bambino in questi anni deve formare la base per l’eguaglianza dei diritti fra gli uomini che gli adulti devono sperimentare nell’organismo sociale” (11).
Dobbiamo essere coscienti che, quanto più forti sono le misure disciplinari che adottiamo nei confronti dei bambini, tanto più intenso deve essere il nostro rapporto con la sfera spirituale nella quale queste sempre dovrebbero avere il loro fondamento. Solo questo legame giustifica azioni quanto mai vigorose. Scrive a questo proposito Massimo Scaligero: “Solo a condizione di possedere essenzialmente la bontà, si può essere duri, audaci, severi, impetuosi, realmente fondati sulla terrestrità: non si teme l’elemento lunare terrificante, anzi lo si penetra per farne materia di creazione: perché la trascendenza domina l’elemento subsensibile della Terra” (12).
Il sintomo che emerge dai fatti di cronaca relativi alla dirompente avversione che le nuove generazioni di giovani provano nei confronti della scuola, indica che il mondo degli adulti manifesta, attraverso il suo comportamento, una radicale incapacità di collegarsi con la sfera spirituale. Solo una forza interiore che scaturisca dal legame con l’elemento morale può educare: “La pedagogia è essenzialmente un capitolo particolare dell’agire morale dell’uomo. Soltanto chi trova la pedagogia nella moralità, nell’etica, la trova nel giusto modo” (13).
Ciò che l’educatore (e, in quanto adulti, tutti lo siamo) deve sempre tener presente è che, proprio come lo scultore deve osservare il suo modello da ogni angolazione per dare forma alla sua opera d’arte, allo stesso modo il bambino deve mettere sempre alla prova l’autorevolezza del suo educatore. Ogni giorno, quindi, il mondo degli adulti deve dimostrare di essere un valevole modello per il bambino e, per esserlo, deve sviluppare in massimo grado l’elemento morale in se stesso; questo è il senso di quell’autoeducazione cui fa sempre riferimento Steiner rivolgendosi al mondo degli educatori. In nome di questo elemento morale, non si sarà mai oltremisura autoritari, non si abdicherà mai di fronte a ciò che provoca indignazione.

(1) Rudolf Steiner: Il sano sviluppo dell’essere umano II – Antroposofica, Milano 1998, p.20;
(2) Rudolf Steiner: Educazione del bambino e preparazione degli educatori – Antroposofica, Milano 1996, p.29;
(3) ibid. , p.30;
(4) Rudolf Steiner: Il sano sviluppo dell’essere umano II, pp.7-8;
(5) Rudolf Steiner: Educazione del bambino e preparazione degli educatori, p.29;
(6) ibid., p.30;
(7) Rudolf Steiner: Konferenzen mit den Lehrern der Freien Waldorfschule, Band II – Rudolf Steiner Verlag, 1975, p.130;
(8) ibid., p.130;
(9) Erasmo da Rottherdam: Per una libera educazione – Bur, Milano 2004, p.131;
(10) si pensi, ad esempio, al caso in cui un genitore, fumatore, magari con la sigaretta in mano, proibisca al figlio tredicenne di fumare. Quello, stupito, gli chiederà: “Perché tu fumi allora?”. Il genitore gli risponderà ostentando profonda saggezza: “È proprio perché fumo e so il danno che può provocare che non voglio che tu faccia il mio stesso errore!”. Chi pensa che una risposta del genere sia sensata, non si rende conto del reale dialogo che si svolge inconsciamente tra i due: “Fumare è male” sostiene il genitore, appellandosi ad un elemento morale. “Perché allora tu lo fai?” replica il ragazzo. “Di fatto – risponde il genitore – non ritengo sia il caso di impegnarmi per rispettare questo principio; voglio che però tu lo faccia”. Il genitore chiede dunque al figlio di avere una forza che lui stesso non ha interesse o non riesce ad avere;
(11) Rudolf Steiner: L’educazione, problema sociale – Antroposofica, Milano 1981, p.15;
(12) Massimo Scaligero: ISIDE-SOPHIA la dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p.20;
(13) Rudolf Steiner: Forze spirituali attive fra vecchia e nuova generazione – Antroposofica, Milano 1965, p.34.

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Di Daniele Liberi
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