Pentecoste

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Pentecoste

Narra Luca: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, [gli Apostoli e la Madre di Gesù – nda] si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (At 2,1).
Ebbene, in una conferenza dedicata alla Pentecoste, Steiner spiega: “Dopo che il Cristo, il quale portava in sé lo spirito universale dell’umanità, ebbe compiuta la sua opera sulla Terra, disciolti i suoi ultimi involucri nel Tutto, formando un’unità perfetta con la vita spirituale della Terra, soltanto allora per la prima volta, divenne possibile che la facoltà di parlare e di operare nel senso di questo impulso del Cristo sorgesse dai cuori di coloro che lo avevano compreso. L’impulso del Cristo, come si è manifestato negli involucri esteriori, s’immerge nel mondo spirituale unitario con l’Ascensione al Cielo, tornando a riemergere, dieci giorni più tardi, dai cuori delle singole individualità dei primi seguaci. E in virtù del fatto che il medesimo spirito, il quale operò nella forza dell’impulso del Cristo, riapparve poi in forma molteplice, i primi discepoli del Cristianesimo poterono diventare i rappresentanti e gli annunciatori del messaggio di Cristo, e fu posto al principio dell’evoluzione cristiana quel simbolo possente che così si esprime: “Come ciascuno dei primi seguaci del Cristo ha accolto in sé l’impulso-Cristo sotto la forma d’una lingua di fuoco ispiratrice della propria anima, così voi tutti, o uomini, se vi sforzerete di comprendere l’impulso-Cristo, riceverete individualizzate nel vostro cuore le forze che vi faranno operare nel senso di tale impulso in modo sempre più perfetto”” (1).
Dunque, cinquanta giorni dopo la Pasqua e dieci giorni dopo l’Ascensione, lo spirito universale del Cristo, ovvero l’Io dell’intera umanità, si individualizza, per agire da allora in poi, quale Spirito Santo, attraverso ogni singolo essere umano. Il che vuol dire che lo Spirito Santo viene inviato per mediare tra l’Io individuale (“sotto il rapporto spirituale, ogni uomo è una specie a sé”) (2) e l’Io universale del Cristo (e, attraverso il Cristo, del Padre) (3).
Scrive Steiner: “L’umanità è partita dall’unità; ma l’evoluzione terrestre finora svoltasi ha condotto alla differenziazione. Nel Cristo è dato un ideale che si oppone a qualsiasi differenziazione, poiché nell’uomo che porta il nome del Cristo vivono le forze del sublime essere solare, nelle quali ogni io umano trova la propria origine” (4).
Raniero Cantalamessa non la vede però così. Dopo aver ricordato quanto scrive Agostino: “Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa. Lo Spirito Santo opera in tutta la Chiesa ciò che opera l’anima in tutte le membra di un unico corpo” (5), asserisce infatti: “La Pentecoste sta agli Atti degli Apostoli come il battesimo di Gesù sta ai Vangeli. Il battesimo fu la Pentecoste di Gesù, la Pentecoste fu il battesimo della Chiesa” (6).
A suo dire, lo Spirito Santo agirebbe dunque attraverso il corpo della Chiesa, e non attraverso quello di ciascun essere umano, e la Pentecoste sarebbe stato il battesimo della Chiesa, e non quello di ogni singolo Apostolo; ciò comunque non esclude – aggiunge – che possa agire anche attraverso gli individui: in questo caso, spetta però alla Chiesa giudicare se quello che agisce attraverso costoro sia o non sia lo Spirito Santo.
Scrive appunto: “Esiste un’azione istituzionale esercitata [dallo Spirito Santo – nda] attraverso le istituzioni della Chiesa (concili, vescovi, papa) ed esiste un’azione intima, quotidiana e ininterrotta, nel cuore di ogni credente. “Egli dimora presso di voi e sarà in voi”” (Gv 14, 17). Questa è quell’unzione “ricevuta dal santo” che dà la scienza, che rimane in noi, che insegna ogni cosa e fa stare saldi nella verità (cf 1 Gv 2, 20.27). Anche in questo senso, lo Spirito Santo appare “il grande Dottore della Chiesa”. Questo insegnamento che lo Spirito impartisce nell’intimo di ogni credente deve essere sottoposto al discernimento e al giudizio della comunità e in particolare dei pastori di essa, come dice lo stesso Giovanni (cf 1 Gv 4, 1-6), perché si distingua “lo Spirito della verità” dallo “spirito dell’errore”” (7).
Saremo degli sprovveduti, ma ci è difficile immaginare – con tutto il rispetto per l’autore – che lo Spirito Santo eserciti “un’azione istituzionale” e che Giovanni abbia inteso dire che l’insegnamento impartito da tale Spirito “nell’intimo di ogni credente” debba “essere sottoposto al discernimento e al giudizio della comunità e in particolare dei pastori di essa”.
Giudichi d’altronde il lettore ciò che dice Giovanni, nel passo della Lettera indicato da Cantalamessa (1 Gv 4, 1-6): “Carissimi, non vogliate credere a ogni spirito, ma esaminate gli spiriti per conoscere se sono da Dio, poiché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Da questo voi conoscete lo Spirito di Dio; ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non confessa Gesù, non è da Dio. Ma questo è lo spirito dell’anticristo, del quale avete sentito che deve venire, anzi è già nel mondo. Voi, figli, siete da Dio e li avete vinti, poiché chi è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Essi sono dal mondo; perciò parlano del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi. Da ciò conosciamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore”.
Come si vede, si tratta di un’accorata esortazione (in cui si distingue, sì, lo “spirito della verità” dallo “spirito dell’errore”, ma non si fa alcuna menzione di un controllo esercitato dalla “comunità” e dai “pastori di essa”) a che ciascuno, forte del Cristo ch’è in lui, apprenda liberamente a discernere o conoscere gli spiriti, per sapere se sono o non sono da Dio.
Ma come apprenderlo, senza disporre, in virtù dell’iniziativa individuale e del soccorso dello Spirito Santo (“Aiutati, che Dio ti aiuta!”), di una scienza dello spirito (o degli spiriti)? “Non c’è nulla infatti di nascosto – dice il Cristo – che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce” (Mc 4, 22).
Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler affermano però che “la fede del singolo è sempre fede all’interno di quella più ampia della Chiesa” (8), e il Catechismo asserisce che “la Chiesa, comunione vivente nella fede degli Apostoli che essa trasmette, è il luogo della nostra conoscenza dello Spirito Santo” (9): asserisce, cioè, che “il luogo della nostra conoscenza dello Spirito Santo” è fuori di noi, e non dentro di noi (eppure Paolo dice: “Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Cor 3,16).
Ci troviamo dunque al cospetto di una specie di “sequestro di persona” (della terza Persona della Trinità) (10) che si verifica, essenzialmente, perché non si ha coscienza dell’essenza spirituale di ogni essere umano, e per ciò stesso la si proietta (insieme allo Spirito Santo e alla sua attività mediatrice) su un soggetto collettivo e tangibile: vale a dire, sulle “istituzioni della Chiesa”” (il collegio dei vescovi, i concili ecumenici e il papa che, per questo, vengono ritenuti dottrinariamente “infallibili”) (11).
Il giorno di Pentecoste – scrive Cantalamessa – “nel cuore degli apostoli Dio ha preso il posto dell’io, ha distrutto il vanto delle loro opere e dei loro progetti e li spinge a vantarsi solo di lui, non di sé” (12).
Ma colui che usa vantarsi di sé, delle proprie opere o dei propri progetti è l’ego (cioè a dire, l’io empirico o, più precisamente, l’illusorio soggetto dell’autocoscienza spaziale o corporea), e non l’Io o il Sé spirituale (che non è semplice “persona” o “essere in relazione”, ma essenza reale o spirito) (13). Il giorno di Pentecoste, Dio non ha perciò “preso il posto dell’io”, bensì ha donato all’ego la possibilità di redimersi e santificarsi, sviluppandosi e trasformandosi nell’Io o Sé spirituale (“Per Spiritum Sanctum reviviscimus”).
“Noi – scrive ancora – siamo “esseri finiti, capaci d’infinito” e questo vuol dire che siamo creature limitate che aspiriamo a superare il nostro limite, per essere “in qualche modo tutto”. Non ci rassegniamo a essere solo quello che siamo” (14).
Ma non è che, per sfortuna, “non ci rassegniamo a essere solo quello che siamo”, è che, per fortuna, non ci rassegniamo a essere quello che non siamo (e che ci si vorrebbe far credere di essere).
Se fossimo degli “esseri finiti”, infatti, mai potremmo essere “capaci d’infinito”, né mai potremmo aspirare a superare il nostro limite, per la semplice ragione che non saremmo in grado di riconoscerlo come tale.
Osserva per l’appunto Steiner: “Vi sono uomini i quali credono che, coi limiti della percezione dei sensi, siano posti anche i limiti di ogni altra cognizione. Se ponessero attenzione a come essi diventino coscienti di quei limiti, scoprirebbero in questa coscienza anche le facoltà per varcare i limiti. Il pesce nuota al limite dell’acqua; deve ritrarsene, perché gli mancano gli organi fisici per vivere fuori dell’acqua. L’uomo arriva al limite della percezione dei sensi; può riconoscere che, lungo la via, fin lì, ha acquistato forze dell’anima per vivere animicamente nell’elemento che non è abbracciato dalla percezione dei sensi” (15).
Significativi, al riguardo, sono i passi in cui Cantalamessa contrappone, giustamente, lo spirito di Babele a quello di Pentecoste.
“La sorpresa più grande – scrive ad esempio – è stata per me quando, a forza di riflettere su chi potevano essere i costruttori di Babele, ho scoperto d’improvviso e con grande evidenza, che uno di essi, ahimè, ero io. L’archeologia biblica non serviva più, bastava un semplice esame di coscienza. Non occorreva scavare tra le rovine della Mesopotamia per scoprire i resti della torre di Babele, bastava scavare dentro di me. Se vogliamo fare davvero l’ultimo passo, quello decisivo, verso la “verità”, dobbiamo riconoscere umilmente che l’impresa di Babele è ancora in atto e che noi vi siamo tutti, chi più chi meno, coinvolti. Il passaggio da Babele a Pentecoste, avvenuto storicamente una volta per sempre, e narrato in Atti 2, deve compiersi, spiritualmente, ogni giorno della nostra vita” (16).
E’ vero: “ogni giorno della nostra vita”, siamo chiamati a passare, redimendo e santificando il pensare, dall’ego all’Io, e per ciò stesso dalla Babele delle opinioni alla Pentecoste della verità (17).
Goethe così esprime il contrasto tra la Babele e la Pentecoste: “Osservando la natura, così nei suoi fenomeni grandi come in quelli piccoli, mi sono posto costantemente questa domanda: “E’ l’oggetto che parla o sei tu?”” (18).
Si rifletta bene su queste parole. Che cosa dice il Cristo dello Spirito Santo? “Quando invece sarà venuto lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità, perché non vi parlerà da se stesso; ma vi dirà tutto quello che ascolta, e vi farà conoscere l’avvenire” (Gv 16, 13).
Ebbene, la domanda che si poneva Goethe non si riferisce appunto al contrasto tra lo “spirito della verità” (l’Io), che “ascolta” l’oggetto e non parla “da se stesso”, e lo “spirito dell’errore” (l’ego), che non “ascolta” l’oggetto e parla “da se stesso”, e quindi al contrasto tra lo spirito che dovrebbe animare il moderno pensiero scientifico e quello che anima invece il pensiero (magari sedicente “scientifico”, “moderno” o “post-moderno”) della vecchia anima razionale e affettiva, se non addirittura dell’anima senziente?
E che ne consegue? Che lo Spirito Santo è il vero spirito della scienza e della modernità (il terzo “tempo” profetizzato da Gioacchino da Fiore) (19), e che una scienza e una modernità che non si riconoscono, come quelle attuali, in tale Spirito non sono una vera (umana) scienza, né una vera (umana) modernità (20).
Essendo lo Spirito “principio di una nuova conoscenza di Dio” (21), anche Cantalamessa auspica (al pari di Bruno Forte) (22) “un cambiamento di mentalità riguardo all’annuncio, un nuovo coraggio, uno spirito pentecostale” (23).
Un auspicio del genere è tuttavia destinato a cadere nel vuoto, se non si avrà veramente il coraggio di prendere in seria considerazione il “messaggio pentecostale dell’antroposofia” (24), e quello, in primo luogo, de La filosofia della libertà (25).
Si consideri, ad esempio, quanto dice Cantalamessa del rapporto tra l’esperienza dello Spirito Santo e la teologia dello Spirito Santo: “E’ risaputo da tutti che la Chiesa, prima che una teologia dello Spirito Santo, ebbe un’esperienza dello Spirito Santo, legata alla liturgia battesimale, al culto e al martirio. Fu l’esperienza dello Spirito a guidare la Chiesa verso la teologia dello Spirito Santo e finalmente alla definizione della sua divinità (…) Raramente si giunge all’esperienza dalla teologia; all’esperienza dello Spirito Santo dallo studio dello Spirito Santo. C’è il rischio di voler invertire il rapporto, rispetto a quello che avvenne all’inizio: di partire dall’idea dello Spirito e non giungere mai alla realtà dello Spirito” (26).
Egli contrappone dunque l’idea alla realtà, non prendendo minimamente in considerazione la possibilità che si possa giungere (in virtù di un’idonea autoeducazione) alla lucida e viva esperienza della realtà dell’idea, e quindi dello spirito. “C’è il rischio – dice – di voler invertire il rapporto, rispetto a quello che avvenne all’inizio”. Fatto sta, però, che compito di uno spirito davvero moderno dovrebbe essere proprio quello d’invertire quanto “avvenne all’inizio” (“Raddrizzate la via del Signore”, dice il Battista): di non muovere, cioè, dalla viva esperienza spirituale per approdare alla morta coscienza intellettuale, ma di muovere dalla morta coscienza intellettuale per approdare alla viva esperienza spirituale o, per dirla altrimenti, di muovere dal non-essere dell’ordinario pensiero astratto per approdare all’essere del pensiero vivente.
Osserva al riguardo Emil Bock: “La trasformazione che, grazie all’evento del Cristo, si era operata nella vita spirituale dell’umanità, consisteva nel fatto che il principio dell’estasi (Entrückung) veniva ora sostituito da quello dell’incorporazione (Einwohnung), si attuava il principio paolino del “Cristo in me” (…) Con questo nuovo principio veniva deposto il seme per una nuova forma di coscienza, che non raggiunge il sapere partendo dall’esterno, ma dall’interno. Il pensiero intellettuale, legato al cervello, che, partendo dalla filosofia neoplatonica e alessandrina, avrebbe avuto una storia tanto drammaticamente ricca, fino alla costruzione della moderna scienza naturale, era ed è un cammino di conoscenza diretto dall’esterno verso l’interno. Oggi esso è un’appendice alla percezione sensoriale, rivolta esclusivamente al mondo esteriore e nata quale sminuito effetto di un’antica percezione semi chiaroveggente. Il principio dell’incorporazione, nella forma paolina, deve, d’altra parte, dare origine un giorno a un nuovo pensiero creativo che afferrerà il mondo partendo dal nucleo interiore dell’essere umano, permettendogli di penetrare attraverso la superficie esteriore delle cose, nella loro intima essenza spirituale” (27).
“Tra l’annunciare Cristo semplicemente “in dottrina” – scrive ancora Cantalamessa – e l’annunciarlo in “Spirito Santo” c’è la stessa differenza che tra l’annunciare la Parola “dall’esterno”, stando fuori della sua sfera di azione, del suo dominio e della sua “presa”, liberi e neutrali di fronte a essa, e l’annunciarlo stando “dentro” la Parola, sotto la sua presa misteriosa, mossi da essa, in vitale contatto con essa, attingendo da essa la forza e l’autorità” (28).
Ben detto! Ma è proprio questa la differenza tra “l’annunciare la Parola” mediante l’ordinario pensiero intellettuale (rappresentativo) e l’annunciarla mediante il pensiero immaginativo, ispirativo o intuitivo: mediante un pensiero, cioè, che ritrovi, muovendo dalla testa, la via del cuore (29).
Se si vuole che la parola abbia “Dio per soggetto, non solo per oggetto” (30), che lo “Spirito della vita” sia anche “la vita dello spirito” (31), e che lo Spirito Santo sia “il soggetto o l’agente che provoca la nuova nascita spirituale” (32), occorre dunque impegnarsi a superare l’ordinario, disidratato e asfittico pensiero intellettuale, sviluppando i gradi di coscienza superiori (33).
Non ci si rende conto, in effetti, che la forza propulsiva dell’intelletto (cui si deve la nascita dell’ego, della scienza naturale e della modernità) si è ormai esaurita, che ci troviamo pertanto in un vicolo cieco (esposti al rischio di gravi regressioni), e che l’unica possibilità che abbiamo di venire a capo dei drammatici problemi che ci stanno oggi di fronte è quella di ampliare (qualitativamente) l’orizzonte della nostra coscienza.
“Lo Spirito Santo – scrive Cantalamessa – è l’anima della Tradizione” (34). Ma se fosse solo questo, come potrebbe allora – secondo quanto afferma il Cristo – farci “conoscere l’avvenire”? E lo stesso Cristo non ha detto forse ai discepoli: “Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci” (Gv 16, 12-13)?
Concordiamo comunque con l’autore allorché sostiene che “la condizione prima per ricevere lo Spirito Santo non sono i meriti e le virtù, ma è il desiderio, il bisogno vitale, la sete” (35).
Ma quel che vale per lo Spirito Santo vale anche, guarda caso, per l’antroposofia. Scrive infatti Steiner: “Può riconoscere l’antroposofia solo chi trova in essa quel che deve cercare per una sua esigenza interiore. Possono perciò essere antroposofi soltanto quegli uomini che sentono certi problemi sull’essere dell’uomo e del mondo come una necessità vitale, come si sente fame o sete” (36).
E concordiamo ancora con lui allorché si chiede: “Abbiamo noi sete dello Spirito Santo, o abbiamo invece una inconfessata paura di lui? Noi intuiamo che lo Spirito Santo, se viene, non può lasciare tutto come trova nella nostra esistenza (…) Egli non ha mai lasciato tranquilli e riposati quelli sui quali è venuto. Quello che lo Spirito Santo tocca, lo Spirito Santo cambia!” (37).
Qual è infatti la decisiva differenza tra l’ordinario pensiero intellettuale (cerebrale o vincolato ai sensi) e quello vivente (spirituale o libero dai sensi)? Che il primo lo possiamo avere (come opinione propria), mentre il secondo lo possiamo unicamente essere; per esserlo, dobbiamo però cambiare, portandoci al di là dell’ordinaria autocoscienza egoica (o egoistica).
Dichiara appunto Steiner: “Chi considera la scienza dello spirito come una somma di nozioni, potrà naturalmente conoscere moltissime cose, ma se penserà allo stesso modo di prima non avrà accolto la scienza dello spirito. Avrà accolto la scienza dello spirito soltanto se in certo senso avrà modificato il modo, la formazione, la struttura del pensiero; se, rispetto a prima, sarà diventato per così dire un altro” (38).

Note:

01) R.Steiner: Pentecoste: la festa dell’individualità libera – Fior di Pesco, San Martino B. A. (VR) 2005, pp. 10-11;
02) R.Steiner: Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, p. 50;
03) Scrive Sergej Prokofieff: “Il cammino dal Natale all’Epifania può diventare per noi contemporaneamente l’ascesa alla grande “regione dell’Universo, dalla quale il Cristo è disceso sulla Terra”, e una strada che ci conduce durante le dodici Notti Sante attraverso tutte le dodici regioni dell’Universo stellare, dalla regione dei Pesci, che conserva in sé le origini dell’essere umano, fino alla regione dell’Ariete, attraverso le porte del quale il Cristo un tempo entrò nel nostro Cosmo dalla sfera suprema del Macrocosmo, quella del Padre, la quale è situata oltre il cerchio dello Zodiaco” (S.O.Prokofieff: Le dodici notti sante e le gerarchie spirituali – Arcobaleno, Oriago di Mira (Ve) 1990, pp. 13-14);
04) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica 1969, p. 239;
05) R.Cantalamessa: Il mistero di Pentecoste – Ancora, Milano 1998, pp. 16-17;
06) ibid., p. 38;
07) ibid., pp. 70-71;
08) K.Rahner-H.Vorgrimler: Dizionario di Teologia – TEA, Milano 1994, p. 330;
09) Catechismo della Chiesa Cattolica – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, p. 208. Varrà forse ricordare – stando a quanto riporta Guido Verucci – che “in un discorso tenuto all’udienza accordata alla Confédération française des syndacats chrétiens il 18 settembre 1938, Pio XI avrebbe detto tra l’altro: “”(…) L’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è creatura del Buon Dio […] E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il diritto e il dovere di reclamare la totalità del suo potere sugli individui”” (G.Verucci: Idealisti all’indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio – Laterza, Roma-Bari 2006, p. 99);
10) la colomba dello Spirito Santo cattolico – dichiara Adolf Holl – assomiglia “a un uccello in gabbia” (cfr. “Omo, mittite a ppensare” , 20 settembre 2005);
11) da tale stato d’incoscienza deriva pure la confusione che regna riguardo al concetto di “spirito”. Scrive ad esempio Cantalamessa (op. cit., p. 93): “Nell’uso quotidiano “carne” indica la componente corporale dell’uomo, con particolare riferimento alla sfera sessuale, mentre “spirito” indica la ragione, o l’anima, cioè la componente spirituale dell’uomo”. Per l’uomo moderno, questa confusione è particolarmente nociva, poiché – osserva Steiner – “non è mai esistito un altro periodo della storia umana nel quale, ove si presti attenzione alle intime necessità dell’evoluzione, la chiarezza del pensare sia altrettanto necessaria quanto il mangiare e il bere lo sono per il sostentamento della vita fisica” (R.Steiner: Dietro le quinte degli eventi esteriori – Antroposofica, Milano 2006, p. 39);
12) R.Cantalamessa: op. cit., p. 31;
13) ibid., p. 93. Dice Steiner: “Vi sono sempre stati uomini che si elevano ad uno sviluppo superiore al normale; essi arrivano a trovare per così dire un “secondo io” capace di dire “tu” al primo io (all’egonda), come quest’ultimo dice “tu” al proprio corpo fisico e al mondo esteriore; in un certo senso capace di guardare dall’alto al primo io” (Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca – Antroposofica, Milano 1970, p. 17);
14) ibid., p. 21. “Nessun sogno della mia mente – ha detto D’Annunzio – cancellerà mai un sogno del mio cuore”;
15) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 16;
16) R.Cantalamessa: op. cit., pp. 31-32;
17) parlando del soggiorno di Paolo ad Atene, Emil Bock così scrive: “L’immagine divina di Atena, scolpita con arte magistrale da Fidia, dominava ancora nel tempio; nata dalla fronte di Giove, Atena rappresentava il vivente pensiero divino. Chi però tra i contemporanei sentiva ancora l’obbligo sacro di coltivare ed elaborare quel pensiero che gli dei avevano affidato agli esseri umani e che, simboleggiato da Atena, doveva fluire dai regni divini nei destini dell’umanità? (…) Se la sua attività [di Paolo] era destinata a portare frutto, non sarebbe questo consistito nella redenzione, grazie al Cristo, di quell’antica, divina potenza di pensiero, ormai decaduta e dimenticata dall’uomo del presente? Gli ateniesi avevano tradito la dea che aveva dato loro il nome e, senza rendersene conto, l’avevano calpestata. L’umanità avrebbe continuato a profanare Atena e ad ucciderla; Paolo, tuttavia, immaginava una futura progressiva resurrezione di Atena, ottenuta in virtù della penetrazione del Cristo nelle anime umane” (E.Bock: Paolo – Arcobaleno, Oriago di Mira (Venezia) 2001, pp. 158-159);
18) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 140;
19) cfr. Ancora sulla Trinità, 1 settembre 2006. Sarà il caso di sottolineare che stiamo parlando dello spirito della scienza. Non si può riconoscere l’origine della scienza – osserva a questo proposito Steiner – “se si considera l’oggetto al quale la scienza si rivolge, ma la si trova bensì nella attività dell’anima umana che si manifesta nello sforzo conoscitivo. Occorre appunto concentrare l’attenzione sul comportamento dell’anima, in quanto acquista scienza” (R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali, p. 31). Occorre insomma concentrare l’attenzione – aggiungiamo noi – sulla qualità di tale suo comportamento;
20) si tenga presente che la nascita stessa della scienza costituisce ancor oggi un mistero. Scrive infatti Kurt Mendelssohn: “Ci si è chiesti spesso perché le grandi civiltà dell’Oriente non hanno sviluppato la scienza e la tecnologia. La risposta a questa domanda è stata data una volta da Einstein, il quale faceva notare che si tratta di una domanda sbagliata. Il miracolo, egli disse, non era tanto che l’Oriente non fosse riuscito a creare la filosofia sperimentale quanto che l’Occidente lo avesse fatto. Comunque, perché ciò sia accaduto, resta un enigma che non è mai stato risolto: ad essere sinceri, semplicemente non lo sappiamo” (cit. in L.Russo: L’uomo: da creatura a creatore, 1 marzo 2004);
21) R.Cantalamessa: op. cit., p. 82;
22) cfr. Ancora sulla Trinità, 1 settembre 2006;
23) R.Cantalamessa: op. cit., p. 51;
24) cfr. Cristianesimo e cristianità, 18 maggio 2005. Cantalamessa dice di sentirsi incoraggiato dal fatto che un capitolo di “un recente documento del Magistero”, rivolto ai laici, sia stato intitolato: “L’ora è venuta di intraprendere una nuova evangelizzazione” (ibid., p. 51). Ma che cosa significa “una nuova evangelizzazione”? Significa organizzarsi o attrezzarsi in modo nuovo per dire le solite cose, o rinnovarsi per dire in modo nuovo anche altre cose? Afferma in proposito Steiner (e siamo nel 1909!): “Sotto un certo aspetto, il nostro tempo ha bisogno di una nuova rivelazione anche di questo sommo avvenimento dell’evoluzione terrena dell’umanità, dell’evento del Cristo, e l’antroposofia vuole essere tale nuova rivelazione” (Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca, p. 13);
25) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966. “La peculiare natura del pensare – scrive qui Steiner (p. 35) – consiste nel fatto che il pensante dimentica il pensare mentre lo compie. Non è il pensare che occupa il pensante, ma l’oggetto osservato su cui pensa. La prima osservazione che noi facciamo attorno al pensare è quindi questa: che esso è l’elemento inosservato della vita ordinaria del nostro spirito”. Ebbene, ciò non può cominciare a far luce sul perché lo Spirito Santo – come ricorda Giovanni Paolo II – “è un Dio nascosto e invisibile”? (S.Martinez: Il Vangelo dello Spirito Santo in Giovanni Paolo II – Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo, Roma 2005, p. 19);
26) R.Cantalamessa: op. cit., pp. 45-46;
27) E.Bock: op. cit., pp. 175-176. Un altro esempio d’inversione è rappresentato dal fatto che la creazione dell’uomo va dall’esterno all’interno, ossia dal corpo fisico (dall’antico Saturno) al corpo eterico (all’antico Sole), dal corpo eterico al corpo astrale (all’antica Luna) e dal corpo astrale all’Io (alla Terra), mentre la sua ri-creazione (in seguito alla “caduta” e in virtù dell’incarnazione del Verbo) va dall’interno all’esterno, ossia dall’Io al corpo astrale (al “Sé spirituale” o Manas), dal corpo astrale al corpo eterico (allo “Spirito vitale” o Budhi) e dal corpo eterico al corpo fisico (all’”Uomo spirituale” o Atma);
28) R.Cantalamessa: op. cit., pp. 39-40;
29) scrive Steiner: “L’ascesa verso lo stato di coscienza soprasensibile può muovere soltanto dalla coscienza normale di veglia; l’anima vive appunto in questa coscienza prima della sua ascesa. Dalla disciplina le vengono forniti i mezzi per trascendere questa coscienza” (R. Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali, p. 250);
30) ibid., p. 40;
31) ibid., p. 63;
32) ibid., p. 66;
33) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977;
34) R.Cantalamessa: op. cit., p. 72;
35) ibid., p. 75;
36) R.Steiner: Massime antroposofiche, p. 15;
37) R.Cantalamessa: op. cit., p. 75;
38) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, pp. 203-204.

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Di Francesco Giorgi
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