Le opere scientifiche di Goethe (50)

L

Penso che stasera finiremo il sedicesimo capitolo, in quanto gli ultimi tre paragrafi (il settimo, l’ottavo e il nono) sono molto brevi.
Cominciamo dunque il settimo.

Scrive Steiner: “So che queste mie vedute sembreranno assurde ai fisici contemporanei. Ma non posso condividere il punto di vista di Wundt che, nella sua Logica, designa come rigorose norme logiche le abitudini di pensiero dei naturalisti moderni. La spensieratezza di cui egli si rende colpevole è chiara specialmente là dove tratta del tentativo di Ostwald di mettere, al posto della materia in moto, l’energia in movimento oscillatorio” (p. 232).

Che cosa obietta Wundt? Che “la derivazione dei fenomeni luminosi da un processo meccanico è un’esigenza imprescindibile”, in quanto un “movimento reale può solo essere definito come il cambiamento di luogo di un substrato reale situato nello spazio”, ed è dunque “impensabile senza un substrato che si muova”.

Osserva tuttavia Steiner: “Il concetto di energia di Ostwald sta assai più vicino alla realtà che non il cosiddetto “reale” sostrato di Wundt. I fenomeni del mondo della percezione, luce, calore, elettricità, magnetismo, ecc. si possono ricondurre al concetto generale dell’emissione di forza, cioè dell’energia. Quando luce, calore, ecc. producono un mutamento in un corpo, con ciò si è appunto esercitata un’energia. E quando si indicano luce, calore, ecc. come energia, si lascia da parte ciò che è specificamente proprio alle singole qualità sensibili per considerare una proprietà generale che loro spetta in comune. Questa proprietà non esaurisce invero tutto ciò che di reale esiste nelle cose, ma è una reale proprietà di queste cose stesse” (pp. 232-233).

Converrà qui riprendere quello schema nel quale, in corrispondenza dei concetti di “corpo fisico”, “corpo eterico”, “corpo astrale” e “Io”, abbiamo posto, rispettivamente, i concetti di “spazio”, “tempo”, “qualità” ed “essere”, sottolineando che la “soglia” che divide la sfera dell’esistere (del corpo fisico e del corpo eterico) da quella dell’essere (del corpo astrale e dell’Io) è la medesima che divide la sfera dello spazio e del tempo da quella della qualità e dell’essere (Le opere scientifiche di Goethe (42) – ndr).
Ci troviamo infatti al cospetto di un Wundt, rappresentante di quello che ne La filosofia della libertà viene detto “realismo ingenuo”, e che noi abbiamo caratterizzato come un realismo dello spazio (o delle cose), e di un Ostwald, rappresentante di quello che sempre ne La filosofia della libertà viene detto invece “realismo metafisico”, e che noi abbiamo caratterizzato come un realismo del tempo (o della forza).
Riprendiamo dunque il nostro schema, scrivendo, al posto di “spazio”, “materia” e, al posto di “tempo”, “energia”. Come si vede, la disputa tra Wundt e Ostwald riguarda unicamente quanto si trova al di qua della soglia, poiché nessuno dei due prende in considerazione la qualità (il concetto, l’idea, l’essenza o l’entelechia), che sta al di là della stessa.
Rimanendo al di qua della soglia, e ritenendo (come fanno entrambi) che l’energia non si spieghi da sé, non è tuttavia facile dar conto della sua fonte; Ostwald la distingue infatti dalla materia, subordinandola a degli ignoti “principi che la trascendono” (Le opere scientifiche di Goethe (47) ndr), mentre Wundt, che pure la distingue dalla materia (sensibile), la subordina a una non meno ignota materia extrasensibile: ovvero, a “un substrato reale situato nello spazio”.
Ben si vede, dunque, il perché Steiner dica che “il concetto di energia di Ostwald sta assai più vicino alla realtà che non il cosiddetto “reale” sostrato di Wundt”. Osservando il nostro schema vediamo infatti che il concetto di energia di Ostwald “sta assai più vicino alla realtà” della qualità (dei “principi che la trascendono”) che non quello di Wundt, che si colloca, in quanto associato al concetto di “substrato”, addirittura al di qua o al di sotto dello spazio.
Come si vede, il “materialismo scientifico” escogita (più o meno scientemente) una fonte energetica (a un tempo materiale e immateriale) intesa a sostituire e surrogare quella sovrasensibile della qualità.
Sostiene Wundt che il concetto di energia di Ostwald, essendo “un doppio concetto composto di una parte fenomenica (l’energia manifesta o ex sénda) e di una parte puramente concettuale (l’energia immanifesta o in sénda)”, sembra “dimostrare decisamente che lo stesso concetto di energia richiede un’analisi che riporti agli elementi dell’osservazione”. Oh bella! E il suo concetto di “substrato” non richiede forse la stessa cosa?

Osserva appunto Steiner: “E’ incomprensibile come Wundt possa asserire che il concetto di “energia radiante” sia impossibile perché comprende una parte osservabile e una parte concettuale. Il filosofo Wundt non arriva dunque a comprendere che ogni concetto riferentesi a oggetti della realtà sensibile deve necessariamente contenere un elemento di osservazione e un elemento concettuale?” (p. 233).

Fatto sta che Wundt non arriva nemmeno a comprendere che il dichiarare – come fa – che il “substrato reale può svelarsi solo mediante azioni di forze di cui lo consideriamo portatore”, equivale a spiegare il movimento per mezzo del substrato e il substrato per mezzo del movimento.
In ogni caso, che cosa implica – chiediamoci – il porre la fonte dell’energia o del movimento nella qualità e il porla invece nella materia? Che nel primo caso, si tira in ballo una realtà sovrasensibile che si può giungere a percepire, educando e sviluppando la propria anima (le proprie forze conoscitive), mentre nel secondo si tira in ballo una realtà subsensibile che invano ci si sforza di arrivare a percepire nei suoi costituenti fondamentali (le cosiddette “particelle elementari), servendosi di strumenti. L’anima viene così sollecitata a ingegnarsi materialmente, e non a evolversi – come sarebbe suo dovere – spiritualmente.
Dice Steiner che l’energia “non esaurisce invero tutto ciò che di reale esiste nelle cose, ma è una reale proprietà di queste cose stesse”: è proprio mediante questa “reale proprietà”, infatti, che l’essenza o la qualità extrasensibile prende a manifestarsi nel mondo sensibile.
Abbiamo finito il settimo paragrafo; cominciamo l’ottavo.

Scrive Steiner: “Lo sviluppo della scienza naturale negli ultimi secoli ha condotto alla distruzione di tutte le rappresentazioni per cui questa scienza potrebbe essere parte di una concezione del mondo atta a soddisfare i bisogni umani superiori. Ha fatto sì che le menti scientifiche “moderne” ritengano assurdo l’affermare che i concetti e le idee appartengano alla realtà come le forze operanti nello spazio e la materia che riempie lo spazio. Concetti e idee sono, per tali spiriti, un prodotto del cervello umano e nulla più.” (p. 233).

Le rappresentazioni materialistiche della scienza attuale, e le tecniche che ne derivano, sono infatti “parte di una concezione del mondo atta a soddisfare i bisogni umani” inferiori; ed è significativo che il denominatore comune di tali rappresentazioni sia costituito dal nominalismo: ossia dalla convinzione che i concetti o le idee non siano altro che nomi (ricordate, ad esempio che cosa ha detto Boncinelli? Che l’intelligenza è “la categorizzazione, ovvero l’attribuzione dei nomi alle cose”). (Le opere scientifiche di Goethe (44) – ndr).
Ascoltate quel che dice al riguardo Friedrich Engels (1820-1895), citando Karl Marx (1818-1883): “La culla di tutto il materialismo moderno, a partire dal secolo XVII, fu l’Inghilterra e nessun altro paese. Il materialismo è figlio legittimo della Gran Bretagna. Già il suo grande scolastico, Duns Scott, si era domandato se la materia non possa pensare. Per realizzare questo miracolo egli ricorse all’onnipotenza di Dio, e costrinse così la teologia stessa a predicare il materialismo. Egli era inoltre nominalista. Il nominalismo rappresenta l’elemento principale dei materialisti inglesi, come esso è, in generale, la prima espressione del materialismo. Il padre autentico del materialismo inglese è Bacone (Francis Bacon, 1561-1626 – nda). La scienza naturale è per lui la sola vera scienza, e la fisica, basata sull’esperienza dei sensi, è la parte essenziale della scienza naturale” (L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza – Edizioni in Lingue Estere, Mosca 1947, p. 15).
Ebbene, sentiamo allora quanto dice Hegel di Francesco Bacone, da lui definito il “duce” della filosofia dell’esperienza: “Bacone è ancor oggi esaltato come colui che avrebbe indicato alla conoscenza, la sua vera fonte, l’esperienza: egli è infatti propriamente l’antesignano e il rappresentante di quel che in Inghilterra si suol denominare filosofia, e su cui gl’inglesi non sono ancora riusciti a sollevarsi. Infatti essi sembrano costituire in Europa il popolo che, limitato all’intelletto della “realtà”, sia destinato, come nello Stato i bottegai e gli artigiani, a viver sempre immerso nella materia, e ad aver per oggetto la “realtà”, ma non la ragione”.
E sentiamo pure quanto dice della filosofia dell’esperienza (dell’empirismo): “Abbiamo già ricordato quanto importi il mirare al contenuto come contenuto della realtà del presente: il razionale, infatti, deve avere realtà oggettiva. La conciliazione dello spirito col mondo, la sublimazione della natura e d’ogni realtà, non dev’essere un al di là, un “allora”, ma deve compiersi adesso e qui. Questo momento dell’adesso e del qui è quello che in sostanza per tal via viene all’autocoscienza. Le esperienze, gli esperimenti, le osservazioni però non sanno quel che in verità fanno, cioè che l’unico motivo per cui s’interessano alle cose è appunto l’intima inconsapevole certezza che ha la ragione di trovar se stessa nella realtà; le osservazioni e gli esperimenti, quando sono rettamente istituiti, giungono precisamente al risultato che solo il concetto è l’oggettivo. Agli esperimenti sfugge appunto di fra le mani il singolo sensibile e diventa un universale (…) L’uomo non s’arresta al singolo, né può arrestarvisi. Egli cerca l’universale, ed esso consta di pensieri, se non di concetti. La più cospicua forma di pensiero è quella della forza: si parla così di una forza elettrica, di una forza magnetica, di una forza di gravità. Ma la forza è un universale e non un percepibile; quindi nell’abbandonarsi a codeste determinazioni gli empirici operano in modo del tutto acritico e senza consapevolezza” (Lezioni sulla storia della filosofia – La Nuova Italia, Firenze 1981, vol. 3,II, pp. 17-18 e 27-28).

Come opera appunto Wundt, in qualità di rappresentante – lo abbiamo detto – del realismo ingenuo. Egli, infatti, non solo non si accorge – come dice Hegel – che la forza (l’energia) “è un universale e non un percepibile”, ma neppure si rende conto di quanto sia assurdo dare all’idea della materia (quale “substrato”) una valenza materiale, e non ideale.

Continua Steiner: “Ancora gli Scolastici sapevano come le cose stessero al riguardo; ma la Scolastica viene sprezzata dalla scienza moderna; viene sprezzata, ma non la si conosce; e si ignora, sopra tutto, ciò che in essa è sano e ciò che non è sano. Sano è il suo sentimento che concetti e idee non sono solo chimere inventate dallo spirito umano per comprendere le cose reali, ma che hanno davvero a che fare con gli oggetti stessi, più ancora che non la materia e la forza. Questo sano sentimento degli Scolastici è un’eredità delle grandi prospettive filosofiche di Platone e Aristotele” (pp. 233-234).

Non a caso, Steiner parla qui di un sano “sentimento”. Tanto Platone e Aristotele quanto la Scolastica ci riportano infatti all’epoca dell’anima razionale e affettiva (del sentire nel pensare), e quindi a un’epoca che non poteva ancora avere, con i concetti e le idee, quel rapporto che potremmo avere noi, uomini dell’anima cosciente (del volere nel pensare), ove non ci facessimo tarpare le ali dal materialismo.
Le determinazioni principali di Bacone – osserva in proposito Hegel – “consistono nel presentarsi polemicamente contro il metodo scolastico allora in auge, di conquistare il sapere per via deduttiva, contro le forme sillogistiche” (Op. cit., p. 25).
Una cosa, però, è rigettare il metodo deduttivo o il sillogizzare, altra rigettare (con “insano” sentimento) la realtà dei concetti e delle idee. Ricordate, infatti, quanto afferma Steiner? “Il dato obiettivo non coincide affatto col dato sensibile, come crede la concezione meccanica del mondo. Il sensibile è solo una metà del dato. L’altra metà sono le idee, che sono pure oggetto d’esperienza, benché di un’esperienza superiore, avente per organo il pensiero. Anche le idee sono accessibili a un metodo induttivo” (Le opere scientifiche di Goethe (16) ndr).
Dice ancora Steiner che i concetti e le idee hanno “a che fare con gli oggetti stessi, più ancora che non la materia e la forza”. Nel nostro schema li vediamo infatti al di là della soglia, e quindi sovraordinati tanto al tempo che allo spazio o tanto all’energia che alla materia.

Riprende comunque Steiner: “Non sana, nella Scolastica, è la confusione tra questo sentimento e le rappresentazioni introdottesi nell’evoluzione medioevale del Cristianesimo. Quest’evoluzione trova la fonte di ogni spiritualità, dunque anche dei concetti e delle idee, nel Dio inconoscibile perché extra-universale. Ha bisogno di credere in qualche cosa che non sia di questo mondo. Ma un pensare sano si attiene a questo mondo; e non si occupa d’altro mondo che di questo. Al tempo stesso, però, spiritualizza questo mondo. Vede nei concetti e nelle idee, realtà di questo mondo, come le vede nelle cose e negli eventi percepibili ai sensi. La filosofia greca è un’emanazione di questo pensare sano” (p. 234).

Ci sarebbe molto da dire, in effetti, su un Cristianesimo che, incurante dell’incarnazione del Logos, intesa a liquidare definitivamente l’opposizione tra l’immanenza e la trascendenza, si ostina, con animo vetero-testamentario, a riporre la propria fede in un “Dio inconoscibile perché extra-universale”. Ma lasciamo stare, perché la cosa ci porterebbe troppo lontano; passiamo, piuttosto, al nono e ultimo paragrafo, ch’è davvero brevissimo.

Scrive Steiner: “Nel corso dei secoli le rappresentazioni cristiane divennero più efficaci degli oscuri sentimenti ereditati dall’antichità greca. Si perdette il sentimento della realtà dei concetti e delle idee. Ma insieme si perdette anche la fede nello spirito stesso. Cominciò l’adorazione di ciò ch’è puramente materiale; s’iniziò l’era newtoniana nella scienza della natura. Ormai non si parlava più dell’unità che sta alla base della molteplicità del mondo; ogni unità venne negata; venne degradata a rappresentazione “umana”. Nella natura si vide soltanto la pluralità, la molteplicità” (p. 234).

Adorare “ciò ch’è puramente materiale” equivale però ad adorare la morte o, per meglio dire, lo spirito che vive della morte e nella morte, e al quale Steiner – come sappiamo – dà il nome di Arimane.
Potremmo anche dire, perciò, che, “nel corso dei secoli”, le forze arimaniche “divennero più efficaci degli oscuri sentimenti ereditati dall’antichità greca”. Le forze arimaniche militano infatti, unilateralmente, per la molteplicità (o per l’analisi intellettuale), mentre quelle luciferiche militano, altrettanto unilateralmente, per l’unità (o per la sintesi sentimentale).
Scrive Goethe: “Dalla natura, da qualunque parte la si guardi, scaturisce l’infinito” (Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 260).
Non potrà dunque capire Goethe, e a maggior ragione l’antroposofia, sia chi, ipotecato inconsciamente dalle forze arimaniche, non veda scaturire dalla natura (dal finito) lo spirito (l’infinito), sia chi, ipotecato da quelle luciferiche, veda scaturire lo spirito (l’infinito), ma non dalla natura (dal finito).

Roma, 13 novembre 2001

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Di Lucio Russo
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