Riprendiamo il passo che abbiamo letto per ultimo la volta scorsa, osservando con attenzione la figura a p. 148.
Come vedete, si tratta di tre circonferenze, la maggiore delle quali comprende le altre due, non concentriche. La prima, più ampia, sta a rappresentare quella “periferia” o quel “cosmo” (il punto centrale del sistema delle membra), dal quale si dipartono i “raggi” che ci “vengono incontro da tutte le direzioni”, e che “si riuniscono” in noi. La seconda, più piccola, sta invece a rappresentare quella sfera lunare o quel sistema del petto (che ha il punto centrale “molto lontano”, e non “nel mezzo della sfera”), per la maggior parte (animica) invisibile, e per la minor parte (corporea) visibile (la falce lunare in cui vanno a inserirsi gli arti, in qualità di “condensati” fisici dei raggi provenienti dalla prima sfera). La terza, più piccola ancora, sta infine a rappresentare quel sistema della testa (che “ha il suo punto centrale nel suo interno”), collegato alla parte visibile del petto in cui sono inseriti gli arti.
Dice Steiner: “Si potrebbe concepire l’uomo come una gigantesca sfera (la prima – nda) che abbraccia tutto l’universo; poi c’è una sfera più piccola (la seconda – nda); infine una sfera piccolissima (la terza – nda). Solo quest’ultima è interamente visibile. La sfera intermedia è visibile solo in parte. Quanto alla sfera più grande, essa è visibile solo all’estremità dei suoi raggi; il rimanente resta invisibile. Così l’uomo, nella sua forma, è plasmato dal cosmo. E nel sistema intermedio, quello del petto, troviamo la riunione del sistema della testa e di quello delle membra” (p. 147).
Tutto questo va però immaginato in movimento. La volta scorsa, riferendoci a una meditazione data da Steiner, abbiamo infatti detto: la mattina, l’Io umano, che si fa punto, è nell’Io divino, che si fa circonferenza, mentre, la sera, l’Io divino, che si fa punto, è nell’Io umano, che si fa circonferenza.
Al mattino, dunque, l’Io umano si contrae al centro e l’Io divino si espande alla periferia, mentre alla sera l’Io umano si espande alla periferia e l’Io divino si contrae al centro.
Dice Steiner: “Da quanto vi ho detto potrete dedurre che gli arti sono piuttosto in relazione con l’universo, la testa piuttosto con l’uomo stesso. Verso che cosa, dunque, tendono le membra in modo particolare? Tendono verso quel mondo nel quale l’uomo si muove e cambia continuamente la sua posizione. Sono in relazione col movimento del mondo. Afferrate bene questo: le membra sono in relazione col movimento dell’universo. Quando ci spostiamo sulla terra, quando vi esercitiamo la nostra attività, noi adoperiamo essenzialmente il sistema delle membra” (p. 149).
Risposta a una domanda
La differenza tra l’uomo e l’animale riguarda soprattutto la sfera più piccola: quella del sistema della testa. Mi pare di aver già detto, una sera, che l’animale ha una testa vivente, e quindi una testa che, a differenza di quella umana, non è – per riprendere le parole di Steiner – un “qualcosa di relativamente conchiuso”.
L’”onda lunga” del volere cosmico (della sfera più grande) investe infatti, seppure con diversa intensità, tutto il corpo degli animali. Per questo, essi godono di quel pensiero vivente che noi chiamiamo “istinto”. Il comportamento animale è rituale e collettivo. Tutti i ragni, ad esempio, tessono alla stessa maniera le loro tele, così come tutti i castori costruiscono alla stessa maniera le loro dighe o gli uccelli i loro nidi; per non parlare, poi, di quelle migrazioni che sempre ci stupiscono per la loro regolarità nel tempo e nello spazio.
In tutti questi comportamenti è all’opera un’intelligenza o, per meglio dire, una saggezza che appartiene alla specie, e non al singolo animale.
Afferma Steiner che “quando ci spostiamo sulla terra, quando vi esercitiamo la nostra attività, noi adoperiamo essenzialmente il sistema delle membra”, e che questo è “in relazione col movimento dell’universo”. Altro che “nervi motori”!
Fatto sta che alle spalle di quello che Henri Bergson (1859-1941) chiama “slancio creativo o vitale”, che gli psicoanalisti chiamano “libido”, che i vitalisti (di ogni risma) chiamano “energia”, e che i materialisti e i meccanicisti riducono appunto a “nervo”, c’è la volontà.
Schopenhauer e Nietzsche lo hanno capito, ma hanno poi concepito la volontà come una forza naturale (distinta da quella del pensiero) e non cosmica (unita a quella del pensiero). In Nietzsche, la “volontà di vita” di Schopenhauer, diviene addirittura “volontà di potenza”. Ma chi altri, se non l’impotente, vale a dire l’uomo della testa, dell’intelletto o del pensiero riflesso, potrebbe farsi sedurre dall’idea di una potenza che non è la potenza dell’idea o – per dirla con Scaligero – del movimento del pensiero?
E’ dunque sano (se non morale) aspirare a ritrovare la potenza o la forza (cosa che non fanno gli odierni rappresentanti del cosiddetto pensiero “debole” o “fallibile”), ma guai a cercarla al di fuori del pensiero e della coscienza.
Anche in questo caso, infatti, il “come” è più importante del “cosa”; e lo è – come spesso ho detto – perché rivela il “chi”: perché rivela, cioè, se a spingerci a tale ricerca è l’amore dell’Io spirituale o l’egoismo della brama naturale.
Fatto si è che l’unica vera e sana “volontà di potenza” è la “volontà d’amore”. E’ però impossibile arrivare alla volontà d’amore se non si parte dal pensiero o, come meglio direbbe uno stilnovista, dall’”intelletto d’amore”.
“Quel che si trova nella testa, – dice Steiner – parte dalla testa. Quello che passa attraverso le membra si riunisce nell’uomo”. Vedete, “si riunisce”. Che cosa significa? Significa che la volontà del cosmo, raccogliendosi e riunendosi in ciascun essere umano, si individualizza e si differenzia (karmicamente).
Nella sfera degli arti o della volontà, abbiamo pertanto una forza che, avendo assunto carattere personale, è divenuta necessità (karma); in quella della testa o del pensiero, abbiamo invece una forma che, avendo serbato carattere universale (i concetti sono appunto gli “universali”), è divenuta libertà (libertà “da”).
Ho fatto altre volte, in proposito, l’esempio dell’amore. Non è vero, forse, che, pur avendo in testa l’idea dell’amore “universale” (dell’amore per tutte le creature), ci troviamo poi capaci di praticare solo l’amore “personale” (quello per noi stessi) o l’amore “particolare” (quello per i cosiddetti “compagnucci della parrocchietta” naturale, sociale o ideologica)?
Afferma Steiner che ogni idea che non diviene un ideale uccide le forze dell’anima. Un’idea che non diviene un ideale è infatti un’idea che non si anima e non ci anima, poiché rimane priva, in se stessa, di luce e calore: cioè a dire, di sentire e volere.
Per evitare che questo accada, occorre avere tanta pazienza, tanta umiltà e tanto buonsenso: bisogna cioè poter contare su un intelletto immune dalle distorsioni e dalle perversioni dell’intellettualismo.
Ripensando comunque alle nostre figure, potremmo anche dire che le filosofie dell’essere (quella ad esempio di Parmenide) nascono dal sistema immobile della testa, mentre le filosofie del divenire (quella ad esempio di Eraclito) nascono dal mobile sistema degli arti.
Dice Steiner: “Se vi immaginate di trasferirvi in spirito dentro la vostra testa, potete farvi l’idea di essere seduti dentro una vettura ferroviaria: la vettura si muove, ma voi ci state dentro, seduti tranquillamente. Allo stesso modo la vostra anima siede tranquilla nella testa, la quale si fa portare intorno dalle membra; così l’anima trasforma interiormente il movimento nella quiete (…) Così la testa trasforma in quiete entro di noi i movimenti che le membra eseguono nel mondo. Il petto si trova nella zona intermedia: esso concilia i movimenti del mondo esteriore con ciò che la testa riduce alla quiete” (p. 149).
Come si vede, si tratta di dinamismi molto delicati. La testa può infatti trasformare il movimento in quiete in misura maggiore o minore di quanto sarebbe (umanamente) previsto, rendendoci così, nel primo caso, tipologicamente “astenici” e, nel secondo, “stenici”.
Nella zona intermedia, un eccesso di movimento può manifestarsi come fervore o entusiasmo (o, al limite, mania), mentre un eccesso di quiete può manifestarsi come abulia o apatia (o, al limite, depressione).
Potremmo anche aggiungere, volendo, che un movimento che non venisse frenato dal petto e dalla testa, potrebbe perfino dar luogo a delle convulsioni epilettiche o epilettoidi.
Dice Steiner: “Pensate ora quanto segue: come uomini noi abbiamo continuamente la tendenza a imitare, con i movimenti delle nostre membra, i movimenti dell’universo. Che cosa facciamo allora? Danziamo. In verità noi danziamo. La danza ordinaria non è che una danza frammentaria. Ogni danza proviene dall’intenzione di riprodurre coi movimenti in generale, e in particolare coi movimenti delle membra umane, i movimenti che i pianeti e gli altri corpi celesti compiono, e che la terra stessa compie. Ma allora che cosa accade nella testa e nel petto quando, nei movimenti che eseguiamo come uomini, imitiamo danzando i movimenti cosmici? Accade come se, nella testa e nel petto, quei movimenti si arrestassero; essi non possono proseguire, attraverso il petto, fin nella testa, perché questa riposa sulle spalle e non lascia i movimenti proseguire fin nell’anima. L’anima deve partecipare ai movimenti in tutta calma, e perciò la testa riposa sulle spalle. Che cosa fa l’anima? Essa comincia a riflettere come uno specchio ciò che le membra compiono danzando. Essa comincia a borbottare quando le membra fanno dei movimenti irregolari; comincia invece a sussurrare dolcemente quando quei movimenti sono regolari, e si mette addirittura a cantare quando le membra riproducono gli armonici movimenti cosmici dell’universo. Così il movimento di danza si trasforma esteriormente nel canto, e interiormente nella musica” (pp. 149-150).
Per il fatto che il movimento (di danza) si trasforma interiormente nella musica, si potrebbe pensare che la musica derivi dal movimento. Non sarebbe sbagliato, ma sarebbe unilaterale. Occorre tener presente, infatti, che la musica deriva, sul piano umano, dal movimento, ma che il movimento deriva, sul piano cosmico, dalla musica (delle “sfere”).
“In principio” era infatti il Logos, il Verbo o la Parola, e quindi anche il “suono”. Che cosa fa dunque l’anima allorché converte il movimento in musica? Restituisce al movimento la sua natura originaria.
Risposta a una domanda
Una cosa è la musica che si ascolta con le orecchie, altra quella che si ascolta con lo spirito, e che può quindi essere udita, come dimostra il caso di Ludwig van Beethoven (1770-1812), anche da un sordo. Lo stesso Beethoven, del resto, si diceva convinto che “vero musicista” è soltanto colui che traduce il linguaggio inudibile (dalle orecchie) di Dio, nel suono udibile dagli uomini.
Nel linguaggio quotidiano, traspare ancora l’antica consapevolezza (espressa ad esempio dal mito di Orfeo) del risvolto morale dell’esperienza musicale. Basterebbe pensare al binomio “accordo-disaccordo”: non rimanda forse a quello “amore-odio”? E non capita, talvolta, che colui che ha grandemente apprezzato un discorso o un pensiero dica: “Questa è musica per le mie orecchie”?
Proprio la volta scorsa ho parlato della bellezza della verità. Ebbene, quanto stiamo dicendo stasera ne costituisce un esempio. C’è la verità della bellezza e c’è la bellezza della verità, e come testimonia l’esperienza di Goethe, è possibile sperimentare la prima come una scienza che ha in sé l’arte, e la seconda come un’arte che ha in sé la scienza.
Dice Steiner: “Le persone che coltivano la psicologia e la fisiologia non sanno che ciò che l’uomo percepisce all’esterno come movimento, penetra nell’interno dell’anima e vi si acquieta, e in tal modo comincia a trasformarsi in suoni; così accade anche per tutti gli altri generi di sensazioni, poiché gli organi della testa non seguono i movimenti esteriori (ad esempio, le vibrazioni dell’aria – nda), li riflettono verso il petto e li trasformano in suoni e in altre sensazioni. Qui sta l’origine delle sensazioni, e sta anche il rapporto delle diverse arti fra di loro. Le arti musicali si sviluppano dalle arti plastiche e architettoniche: queste ultime sono per il mondo esterno ciò che le arti musicali sono per l’intimo dell’uomo. Le arti musicali sono il riflesso del mondo dall’interno verso l’esterno” (pp. 150-151).
Che cosa fanno dunque “gli organi della testa”? Lo abbiamo detto a suo tempo: disoccultano, nell’anima (senziente), il contenuto qualitativo dei movimenti percepiti all’esterno.
Per quanto riguarda poi il rapporto tra le “arti musicali” e quelle “plastiche e architettoniche” possiamo di nuovo ricorrere all’aiuto del genio del linguaggio.
A chi non è capitato, ad esempio, di sentir parlare delle Passioni di Johann Sebastian Bach (1685-1750) come di “cattedrali di suoni”? Di sentir parlare, cioè, di grandiose composizioni musicali in termini architettonici, o di grandiose realizzazioni architettoniche in termini musicali?
Dice Steiner: “Vi ho avvertiti che quanto avevo ora da comunicarvi era una cosa difficile da capire. E ciò è particolarmente difficile perché al nostro tempo non si fa nulla in favore della comprensione di queste cose. Per mezzo di tutto ciò che oggi riceviamo come formazione culturale del tempo, si cura particolarmente che gli uomini restino del tutto nell’ignoranza di come stanno le cose in realtà, secondo quanto vi ho esposto poco fa”; e aggiunge (riferendosi alla figura a p. 148 – nda): “La sfera grande della figura comprende spirito anima e corpo, la sfera mediana, corpo e anima. La sfera più piccola indica soltanto corpo. Nel Concilio dell’anno 869 i vescovi della chiesa cattolica hanno deciso di proibire all’umanità di conoscere qualcosa sulla sfera grande. Hanno dichiarato allora, come dogma, che soltanto la sfera intermedia e quella piccola esistono, che l’uomo consta soltanto di anima e di corpo, e che l’anima contiene qualcosa di spirituale solo come sua propria qualità. Dall’anno 869 non esiste più lo spirito per la civiltà occidentale derivante dal cattolicesimo. Ma sopprimendo il rapporto con lo spirito, si è soppresso il rapporto dell’uomo col cosmo (…) Chi ha dunque colpa del fatto che noi abbiamo un materialismo scientifico? La colpa principale è della chiesa cattolica che nell’869 ha eliminato lo spirito col Concilio di Costantinopoli” (pp. 151-152).
Abbiamo visto che la “sfera grande” è legata al sistema degli arti o della volontà. “Proibire all’umanità di conoscere qualcosa sulla sfera grande” equivale dunque a proibirle di conoscere qualcosa sulla volontà. E come? Lo abbiamo detto quando ci siamo occupati de La filosofia della libertà: proibendo il bramato (“Questo non si fa!”) per proibire il bramare, e proibendo il bramare per proibire il volere (che ne costituisce l’essenza).
Nasce così quella che Nietzsche chiama la “morale degli schiavi” (di coloro che si sottomettono a un’autorità per sapere che cosa è bene o che cosa è male volere), e nasce pure per reazione (o, direbbe Jung, per “compensazione”), la “volontà di potenza”.
Che cosa si dovrebbe fare, invece? Lo sappiamo: trasformare il bramato per trasformare il bramare, e trasformare il bramare per trasformare il volere: distillare, cioè, dal bramare il volere, o mutare, volendo dirla da alchimisti, il “piombo” dell’uno nell’”oro” dell’altro.
E come si trasforma il bramato? Conoscendolo: scoprendo, ossia, che quella che si credeva una “cosa” (un oggetto) è in realtà un’entità spirituale (un soggetto) che può essere amata, ma non bramata.
Afferma Steiner che “per mezzo di tutto ciò che oggi riceviamo come formazione culturale del tempo, si cura particolarmente che gli uomini restino del tutto nell’ignoranza di come stanno le cose in realtà”.
Per questo uso parlare di un’ignorantia docta. Un tempo, infatti, erano “ignoranti” quelli che non sapevano e “colti” quelli che sapevano; oggi, invece, sono “ignoranti” o “nescienti”, sia quelli che non sanno, sia quelli che sanno: cioè a dire quelli che, a causa appunto della “formazione culturale” ricevuta, sanno tutto, ma non capiscono niente.
Dice Steiner: “Considerate la testa umana. Essa si è venuta formando attraverso gli avvenimenti cosmici del divenire universale, ed è oggi la parte più antica dell’essere umano. La testa è derivata dagli animali superiori, e prima ancora, risalendo più oltre a ritroso, dagli animali inferiori. In rapporto alla nostra testa, noi discendiamo dal mondo animale. Non c’è che dire! La nostra testa è soltanto un animale più sviluppato (…) La Chiesa, nascondendo all’uomo la coscienza del suo rapporto con l’universo, e quindi della vera natura dei suoi arti, trasmise alle epoche successive soltanto una conoscenza parziale della natura del petto, del tronco e, principalmente, la conoscenza della testa. Poi è sopravvenuto il materialismo, e ha dichiarato che il cranio umano proviene dagli animali. Ed ora il materialismo sostiene che l’uomo tutto intero discende dagli animali; ma ciò non è vero, perché gli organi del petto e quelli delle membra sono stati formati solo più tardi. Proprio col nascondere all’uomo la natura dei suoi arti, e il suo rapporto con l’universo, si è provocata la possibilità che l’epoca materialistica, venuta più tardi, sia divenuta preda di quell’idea che ha un valore soltanto per la testa, ma che viene applicata all’uomo intero. La chiesa cattolica è in verità la creatrice del materialismo in questo campo della teoria dell’evoluzione” (pp. 152-153).
Sarà bene riflettere su questi nessi storici e culturali, in quanto le radici della penosa condizione in cui versa oggi l’umanità (e della quale la Chiesa si duole, alla stessa stregua di un piromane che si dolga dell’incendio dopo averlo appiccato) possono essere, nel tempo, anche lontane.
E non ci si lasci peraltro fuorviare dalle sterili e inutili polemiche, tuttora accese (soprattutto negli Stati Uniti), tra i darwinisti e i creazionisti, o (dagli anni ’90) tra i neo-darwinisti e i sostenitori del cosiddetto “Disegno intelligente” (Intelligent Design).
In merito poi al Concilio ricordato da Steiner, chi volesse saperne qualcosa di più potrebbe consultare un breve scritto di Willy Schwarz, intitolato: La natura ternaria dell’uomo e l’ottavo Concilio ecumenico dell’anno 869, pubblicato in W.Schwarz: Studi su Dante e spunti di storia del Cristianesimo (Antroposofica, Milano 1982).
Anche stasera abbiamo fatto tardi. Finiremo perciò la conferenza la prossima volta.
Roma, 18 maggio 2000