“Il benessere generale richiederebbe soprattutto la più larga diffusione possibile del seme del discernimento”
Nietzsche (1)
Avere ed essere
Scrive Steiner: “Bisognerebbe riconoscere la necessità di creare un nuovo incentivo al lavoro, nel momento stesso in cui si pensa a eliminare quello antico del guadagno egoistico (…) Solo in una vita spirituale libera può nascere un tale amore per l’ordinamento sociale umano, quale l’ha un artista per la creazione delle sue opere. Ma se non si vuol prendere in considerazione la possibilità di coltivare in una libera vita spirituale un tale amore, allora si rinunci addirittura allo sforzo di riorganizzare l’assetto sociale. Chi dubita che si possano educare gli uomini a questo amore, deve anche dubitare della possibilità di eliminare il guadagno personale dalla vita economica. Chi non può credere che una vita spirituale libera generi nell’uomo un tale amore, ignora appunto ch’è la dipendenza della vita spirituale dallo Stato e dall’economia quella che produce la brama del guadagno personale, mentre questa brama non sarebbe un risultato elementare della natura umana” (2).
Si presentano qui due problemi: quello della “brama del guadagno personale”, quale fatto individuale, e quello del rapporto di tale brama con il lavoro, quale fatto sociale.
Non sempre, infatti, si è cercato di soddisfare la “brama del guadagno personale” per mezzo del lavoro (come avviene del resto ancor oggi allorché si partecipa alle “lotterie”, oppure si specula, si truffa o ci si dà alla malavita).
Werner Sombart (1863-1941), ad esempio, ricordando che gli artigiani di Jena – stando alla testimonianza di Goethe – avevano “l’assennatezza di non lavorare più di quanto occorra per condurre una vita allegra” (3), si dice convinto che le economie pre-capitalistiche e pre-borghesi non erano affette dalla “brama del guadagno”, poiché erano in prevalenza “economie di spesa”: vale a dire, economie subordinate al “principio della soddisfazione dei bisogni” (4). Ciò non significa, naturalmente, che non si facesse sentire anche allora, negli individui, la voglia di ricchezza o la “brama del guadagno personale” (quale portato, non della “natura umana”, ma dell’egoismo o della natura umana “caduta”); vuol dire, piuttosto, che tale brama (anche se non ci è facile oggi capirlo) “non esercitava alcuna influenza sulla vita economica”.
Esemplifica appunto Sombart: “Si corre alle miniere, si scava in cerca di tesori, si ricorre per procurarsi del denaro all’alchimia e alle arti magiche di tutti i generi, perché non lo si può acquistare nella cornice della vita economica quotidiana” (5).
Tale stato, tuttavia, si muta a un certo punto (a seguito della “rivoluzione industriale”) in uno stato d’inquietudine, e “lo spirito che compie tale mutamento e manda in frantumi il vecchio mondo è – a detta di Sombart – quello capitalistico, come lo chiamiamo dal sistema economico nel quale risiede. E’ lo spirito dei tempi nostri, che anima ogni uomo-dollaro americano e ogni aviatore, domina tutto il nostro essere, e guida i destini del mondo” (6).
Si tratta – a suo parere – dello spirito di Faust: di quello stesso Faust delle cui “seduzioni economiche” si è occupato anche Geminello Alvi (7).
Ogni “seduzione”, però, comporta un certo grado di “possessione”, così come questa comporta, a sua volta, un certo grado di “medianità”; ed è indubbio che si favorisce l’insorgere di un simile stato quando s’insegna – come si fa oggi – che il soggetto umano (l’Io) non è che un tramite, o per l’appunto un “medium”, della vita del corpo (per i materialisti), della vita di una qualche entità trascendente (per gli spiritualisti o per i religiosi), o della vita incosciente degli istinti o degli archetipi (per gli psicoanalisti).
Si confonde, quindi, ciò che l’essere umano è (uno spirito o un Io) con ciò che l’essere umano ha (un’anima e un corpo) (8). Ebbene, la “brama del guadagno personale” non è forse “brama di avere” (la “roba” di Mastro Don Gesualdo)? E non è proprio questa (in quanto “forza – per dirla con Nietzsche – oscura, impellente, insaziabilmente avida di se stessa”) a fomentare l’illusione che tanto più si è quanto più si ha o, per converso, che tanto meno si è quanto meno si ha?
Fatto si è, però, che l’essere (l’Io) lo si può essere, ma non avere.
Asserire dunque – come fa Steiner – che, sul piano sociale, “è la dipendenza della vita spirituale dallo Stato e dall’economia quella che produce la brama del guadagno personale”, equivale ad asserire che, sul piano individuale, è la dipendenza dello spirito (dell’Io) dall’anima (dalla psiche) e dal corpo a produrre tale brama (9).
Dietro l’insana “brama del guadagno”, del profitto o del lucro, c’è dunque, ignota e inappagata, la sana (santa) “volontà di essere” (di divenire l’Io che si è). “Chi beve di quest’acqua – dice appunto il Cristo – tornerà ad avere sete; chi invece berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno” (Gv 4,13).
E che cosa c’è dietro la “volontà di essere”? C’è la “volontà di amare”: “L’amore – afferma infatti Scaligero – è l’essere dello spirito” (10).
Sarà bene non dimenticarlo, perché il problema del rapporto tra la “brama del guadagno” e il lavoro, ha ben poche speranze di essere risolto, se non ci s’impegna al contempo a risolvere, tanto quello esteriore della triarticolazione dell’organismo sociale (nella quale è prevista una separazione del “lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza”) (11), quanto quello interiore e individuale della brama tout-court (12).
Scrive infatti Steiner: “La fondamentale legge sociale che può venir indicata dall’occultismo è questa: La salute di una comunità di uomini che lavorano insieme è tanto maggiore quanto meno il singolo ritiene per sé i ricavi delle sue prestazioni, vale a dire quanto più di tali ricavi egli dà ai suoi collaboratori, e quanto più i suoi bisogni non vengono soddisfatti dalle sue prestazioni, ma da quelle degli altri”(12).
Ma al contempo osserva: “Non ci si dovrebbe abbandonare all’illusione che sia possibile introdurre una condizione di vita soddisfacente, senza che vi operino uomini di sentimenti sociali; perché un’illusione simile è un ostacolo alle idee sociali veramente pratiche” (13): e altrove aggiunge: “In futuro, si capirà quale sia lo stato dei fatti a tale proposito e quali forze siano oggi in azione ad esempio per impedire in larga misura che si crei una medicina spiritualizzata o un’economia spiritualizzata. Per ora non si può far altro che parlare di queste cose fino a che gli uomini, disposti ad accoglierle in modo non egoistico, le abbiano ben comprese. Molti ritengono di poterci riuscire già oggi, ma nel momento attuale tanti fattori sono d’ostacolo e saranno superati nel modo giusto solo se vi sarà una comprensione sempre più profonda e se si rinuncerà, almeno per un certo periodo, a un’applicazione diretta e pratica su vasta scala (…) In questo nostro tempo sono fondamentali le comunicazioni sulla verità, si potrebbe addirittura dire, le conferenze sulla verità; poi ognuno si regola sulla base della propria libertà. Non si dovrebbe andare oltre la conferenza, la comunicazione della verità; il resto dovrebbe seguire per libera decisione, come si seguono le decisioni prese partendo dagli impulsi del piano fisico” (14).
Note:
01) F.Nietzsche: Sull’utilità e il danno della storia per la vita – Adelphi, Milano 2009, p. 48;
02) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1980, pp. 141 e 142-143;
03) W.Sombart: Il borghese – Guanda, Parma 1994, pp. 4-5;
04) tale principio viene recepito in toto dalla vita economica dell’organismo sociale triarticolato. “Oggi – afferma Steiner – si pensa soltanto alla produzione. Bisogna cambiare modo di pensare. Bisogna cessare di fare oggetto del problema la produzione, e considerare il consumo” (Esigenze sociali dei tempi nuovi -Antroposofica, Milano 1971, p. 222); e in altra sede spiega: “la lotta ai consumi inutili, ai consumi di lusso o dannosi, non spetta alle associazioni economiche, ma solo all’influsso della vita spirituale. I bisogni inutili o dannosi devono venire tolti di mezzo perché da parte della vita spirituale viene l’insegnamento che si devono nobilitare i desideri e le sensazioni. Una libera vita spirituale sarà senz’altro in grado di farlo. In parole povere, non è ad esempio il caso che i film vengano proibiti dalla polizia: è la gente che deve venir educata a non trovarci gusto. Questa è l’unica forma sana di lotta contro gli influssi dannosi nella vita sociale” (Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale – Antroposofica, Milano 1998, pp. 132-133). Inutile dire che il capitalismo (liberista) si sforza invece, attraverso un’invadente e ossessionante pubblicità, di far sì che la gente avverta artificialmente il bisogno di ciò che viene prodotto, e non che venga prodotto ciò di cui la gente sente naturalmente il bisogno;
05) W.Sombart: op. cit., p. 6 ;
06) ibid., p. 7;
07) G.Alvi: Le seduzioni economiche di Faust – Adelphi, Milano 1989;
08) già Socrate – ricorda Ferruccio Sarri – distingueva “la realtà-uomo da ciò che appartiene a questa realtà-uomo, cioè, per usare il linguaggio dell’Apologia”, “ciò che l’io è” da “ciò che l’io ha” (F.Sarri: Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima – Vita e pensiero, Milano 1997, p. 189);
09) per i rapporti tra lo spirito o il pensare e la sfera spirituale, l’anima o il sentire e la sfera giuridica, il corpo o il volere e la sfera economica, si veda (in questo stesso “Osservatorio”): Pensare il Novecento (27 marzo, 22 aprile e 22 maggio 2010). Per quanto riguarda invece alcune forme assunte dall’odierna dipendenza della vita spirituale o culturale da quella politica, si veda (benché incentrato sull’esperienza francese): Marc Fumaroli: Lo Stato culturale – Adelphi, Milano 1993. Eccone ad esempio un passo (riportato nel risvolto di copertina): “Il devoto culturale, nelle sue Case, i suoi Centri, i suoi Spazi, i suoi Parchi, i suoi Saloni, le sue Fiere, i suoi Futuroscopi, non è fondamentalmente diverso dall’Automobilista o dal Telespettatore, salvo che la sensazione vaga di star compiendo un dovere religioso aggiunge alla sua passività una buona coscienza filistea. Concerti, teatro, mostre, spettacoli, feste, visite guidate, sono in sé lodevoli. Ma presentati come la quintessenza della “Cultura”, sponsorizzati da un marchio ufficiale che ne fa altrettanti atti di civismo, diventano, come la messa domenicale, delle distrazioni “tanto ammodo” che non rispondono a nessuna necessità interiore e che non fanno altro che scoraggiare dall’essere se stessi”. Accenniamo soltanto che una delle prime cose da fare per cominciare a rimediare a questa situazione sarebbe quella di abolire il valore “legale” dei titoli di studio. Si veda, al riguardo: L.Einaudi-S.Valitutti: La libertà della scuola – liberilibri, Macerata 2009:
10) M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p., 11;
11) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi, p. 45. Va osservato che quanto più il lavoro diventa flessibile, temporaneo, precario, e sparisce il cosiddetto “posto fisso”, se non addirittura “il posto”, come sostiene Jeremy Rifkin (La fine del lavoro – Baldini§Castoldi, Milano 1997), tanto più s’imporrebbe l’umana necessità di sganciarlo in qualche modo dal reddito;
12) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale, p. 230. Tra le tante brame, andrebbe forse annoverata anche quella di coloro che, identificando “lo spirito – come dice Scaligero – con un fare spirituale” e sostituendo l’”attivismo” alla ’”attività del pensiero” (Dell’Amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 309 e 316), vorrebbero mettere subito in pratica l’idea della triarticolazione. Dal momento – come si sa – che “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”, non sarebbe male se costoro riflettessero, vuoi su questa affermazione di Steiner: “Dobbiamo pensare il vero senso della triarticolazione, il suo vero contenuto, correndo anche il pericolo che, per l’opposizione degli uomini, non si possano realizzare subito e in pratica le nostre idee”, vuoi, e ancor di più, su questo suo avvertimento: “La triarticolazione è campata in aria senza l’antroposofia” (Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale, pp. 149 e 205);
13) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Bocca, Milano 1950, p. 161;
14) R.Steiner: Il mistero del doppio – Antroposofica, Milano 1996, pp. 112 e 100.