“Gli organi dei sensi si presentano come un quadro appeso al muro. Il sistema ritmico ci sta davanti come il processo che si svolge allorché consideriamo la tela e il pittore mentre sta dipingendo il quadro. Il quadro non c’è ancora, ma c’è sempre di più. Qui abbiamo a che fare con il d i v e n i r e di una cosa. Ciò che è stato prodotto, a tutta prima, permane. Nell’osservazione del sistema ritmico umano, al divenire segue immediatamente il deperire. Nel sistema ritmico si manifesta un’immagine in via di divenire” (p. 31).
Siamo abituati a opporre l’essere al divenire (a opporre, ad esempio, Parmenide a Eraclito). Ma per quale ragione lo facciamo? Perché non ci rendiamo conto che una cosa è l’essere, vivo e incosciente, altra la rappresentazione dell’essere, morta e cosciente.
Che ne consegue? Ne consegue che, conoscendo solo l’essere rappresentato, e quindi morto, siamo portati inevitabilmente a pensare la vita come un processo o un divenire ch’è altro dall’essere, se non addirittura il suo opposto.
Dovremmo invece guadagnarci la capacità di distinguere l’essere (vivente) da cui sgorga il divenire (“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”) dall’essere (morto) in cui sfocia il divenire: questo, in quanto realtà finita o divenuta (“opera compiuta”, la chiamerà – come vedremo – Steiner), non è infatti essere, ma stato.
L’esempio proposto da Steiner può aiutarci dunque a realizzare che il quadro divenuto è diverso dal quadro in divenire, e che questo è a sua volta diverso (come si dirà tra breve) dal quadro in potenza: cioè dal quadro quale “germe”, concetto o idea.
Il quadro “divenuto” rappresenta infatti quell’immagine (eterica, precosciente e simile all’immagine onirica) che, riflettendosi nello specchio cerebrale (fisico), si muta nella cosciente (“chiara e distinta”) rappresentazione del quadro; il quadro “in divenire” rappresenta invece quel processo (subcosciente) del giudicare che presiede alla formazione dell’immagine; il quadro “in potenza” rappresenta infine – come abbiamo appena detto – il “germe”, il concetto o l’idea (incosciente).
Notate che, dal punto di vista corporeo, siamo scesi dalla sfera cefalica a quella ritmica, e dalla sfera ritmica a quella metabolica e degli arti, mentre, dal punto di vista animico-spirituale, siamo saliti dall’immaginazione all’ispirazione (collegata al giudicare), e dall’ispirazione all’intuizione (collegata ai concetti o alle idee).
Sarà opportuno ricordare, a questo proposito: 1) che i concetti sono la materia prima dell’attività giudicante (un giudizio è un rapporto tra concetti); 2) che i giudizi (prodotti dal giudicare) sono la materia prima del sillogismo (quale “archetipo”, per così dire, del ragionamento); 3) che la “conclusione” cui approda il sillogismo è equivalente in tutto e per tutto alla “rappresentazione”.
Ricorderete che ci siamo chiariti questi rapporti studiando, a suo tempo, Antropologia (7).
“(…) Diversamente ancora sta il fatto quando nell’organismo umano si considera il sistema del ricambio e del movimento. Qui è come se stessimo davanti alla tela ancora completamente vuota, ai vasi dei colori e all’artista non ancora occupato a dipingere. Se si vuol arrivare alla comprensione del sistema del ricambio e delle membra, occorre sviluppare una percezione che non ha a che fare, con la percezione di ciò che abbracciano i sensi, più di quanto abbia a che fare la vista dei vasi dei colori, della tela vuota e del pittore con quello che più tardi ci starà davanti agli occhi come quadro dipinto. E l’attività nella quale l’anima sperimenta spiritualmente l’uomo attraverso il ricambio e i movimenti, è pari a quella che si avrebbe sperimentando il quadro che verrà dipinto più tardi, solo guardando il pittore, la tela vuota e i vasi dei colori. Di fronte al sistema del ricambio e delle membra, l’anima, per arrivare ad una comprensione, deve elevarsi all’i n t u i z i o n e (…)” (pp. 31-32).
Avendo parlato dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione, sarà il caso di ricordare, prima di cominciare a leggere le massime che concludono questa lettera, che una cosa sono l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione, altra la coscienza immaginativa, la coscienza ispirata e la coscienza intuitiva.
Le prime sono infatti attività precoscienti, subcoscienti e incoscienti che sfociano nella coscienza ordinaria, mentre le seconde possono essere soltanto il risultato di uno sviluppo superiore della coscienza.
Non è sufficiente perciò realizzare che la coscienza ordinaria è una coscienza rappresentativa, ma bisogna anche comprendere che la rappresentazione cosciente è il prodotto finale di un processo in cui sono segretamente attive, nell’ordine, l’intuizione (che fornisce i concetti), l’ispirazione (che giudica) e l’immaginazione (che fornisce l’immagine precosciente).
Ciò che dice Steiner, ossia che l’esperienza intuitiva “è pari a quella che si avrebbe sperimentando il quadro che verrà dipinto più tardi, solo guardando il pittore, la tela vuota e i vasi dei colori”, va dunque riferito alla coscienza intuitiva, e non all’intuizione inconscia (propria, peraltro, dell’anima senziente).
La coscienza intuitiva è in grado dunque di cogliere, nella sfera della volontà, il quadro in potenza o in “germe”, mentre la coscienza ispirata e quella immaginativa sono rispettivamente in grado di cogliere, nella sfera del sentire, il quadro in atto o in divenire, e, nella sfera del pensare, il quadro attuato o divenuto (quale “immagine” – torno a ripetere -, e non ancora quale “rappresentazione”).
Ma che cos’è, in definitiva, il quadro in potenza o in “germe”? E’ presto detto: è il quadro quale intenzione (nell’attenzione abbiamo infatti il volere nel pensare, mentre nell’intenzione abbiamo il pensare nel volere).
38) “Se si è giunti, nella direzione indicata dalle massime precedenti, a considerare l’uomo nella sua natura d’immagine e nella spiritualità che così si manifesta, si è anche prossimi ad osservare contemporaneamente nella loro realtà le leggi animico-morali entro il mondo spirituale in cui si vede agire l’uomo quale essere spirituale. Ché l’ordine morale del mondo si presenta allora come il calco terreno di un ordine pertinente al mondo spirituale. L’ordine fisico e quello morale del mondo si congiungono così in unità”.
Ho detto volutamente che il quadro in potenza o in “germe” è il quadro quale intenzione, perché la sfera delle intenzioni è quella stessa della moralità (“Dio – si dice – giudica le intenzioni, e non i fatti”).
Fatto sta che dire “mondo spirituale” equivale a dire “mondo morale”. Non ce ne rendiamo abitualmente conto perché l’intelletto astratto, col privare il pensare del volere, lo priva per ciò stesso del suo spessore o contenuto morale.
Considerate, ad esempio, l’intelligenza, l’ingegno e la saggezza. Che cos’è che li rende diversi? Li rende diversi il fatto che l’intelligenza è un’intelligenza astratta, che l’ingegno è un’intelligenza concreta o pratica in senso materiale, e che la saggezza è un’intelligenza concreta o pratica in senso spirituale, e quindi, per l’appunto, un’intelligenza morale o un intelletto d’amore (non a caso, si usa parlare d’”intelligenza diabolica”, ma non di “saggezza diabolica”).
Dice Steiner che “l’ordine morale del mondo si presenta”, alla coscienza intuitiva, “come il calco terreno di un ordine pertinente al mondo spirituale”, e che “l’ordine fisico e quello morale del mondo si congiungono così in unità”.
Si congiungono in effetti “in unità”, così come si congiungono in unità l’”al di qua” e l’”al di là” o – secondo quanto abbiamo visto a suo tempo – il mondo (fisico) esterno e il mondo (spirituale) “esterno dell’interno” (dell’interno animico).
Inutile aggiungere che il materialismo, non avendo coscienza della realtà del mondo morale, si serve di quella che crede essere la realtà dell’ordine naturale (magari della darwiniana “lotta per l’esistenza”) per negare o sovvertire l’ordine morale.
39) “Dall’uomo scaturisce la v o l o n t à. Essa rimane del tutto estranea alle leggi naturali desunte dal mondo esteriore. L’essenza degli organi dei sensi si può ancora conoscere dalla loro somiglianza con gli oggetti esteriori della natura, ma nell’attività degli organi sensori la volontà non può ancora esplicarsi. L’essenza che si manifesta nel sistema ritmico dell’uomo è già più dissimile da ogni cosa esteriore, e la volontà vi può aver presa fino ad un certo grado. Ma tale sistema è compreso fra il sorgere e il perire. Qui la volontà è ancora legata”.
Abbiamo visto che gli organi di senso sono quelli che più si avvicinano alla morta realtà minerale, e quindi a una realtà in cui la volontà non può esplicarsi, né come movimento, né come vita.
Può esplicarsi, invece, nella sfera ritmica, ma solo in parte, perché qui, come dice Steiner, “è ancora legata”.
Ricordate che cosa abbiamo detto delle attività che si svolgono in questa sfera? Abbiamo appunto detto che la sistole è “legata” (limitata) dalla diastole, e viceversa, così come l’esalazione lo è dall’inalazione, e viceversa.
La volontà (quella maiuscola di Schopenhauer) (8) è dunque praticamente assente nell’apparato neuro-sensoriale, è presente, ma irretita, nella sfera ritmica, ed è pienamente attiva nell’apparato metabolico e degli arti.
40) “Nel sistema del ricambio e delle membra si manifesta bensì un’essenza attraverso la materia e i suoi processi legati alla materia, ma la materia e i suoi processi non hanno a che fare con lei più di quanto il pittore e i suoi mezzi abbiano a che fare col quadro terminato. Perciò la volontà può aver presa diretta in tale essenza. Se dietro l’organizzazione umana, vivente nelle leggi naturali, si afferra l’entità umana operante nello spirito, in questa si ha un campo in cui si può scorgere l’azione della volontà. Di fronte alla sfera dei sensi, la volontà umana resta una parola priva di qualsiasi contenuto. E chi voglia afferrarla in questa sfera, abbandona, nel conoscere, la vera essenza della volontà e mette qualcos’altro al suo posto”.
Sapete che cosa dichiarò, un giorno, il celebre psicoanalista Cesare Musatti? Dichiarò che sarebbe stato opportuno cancellare la parola “volontà” dai libri di psicologia.
Che qualcuno (e non di certo uno sprovveduto) arrivi ad affermare una cosa del genere non deve stupirci, giacché in un’epoca “cefalocentrica” come la nostra, in un’epoca, cioè, in cui viene assolutizzata, se non “mitizzata”, l’attività del cervello o del sistema neuro-sensoriale, non si può che pensarla così.
“Di fronte alla sfera dei sensi, – osserva infatti Steiner – la volontà umana resta una parola priva di qualsiasi contenuto”.
Fatto sta che per scoprire e sperimentare la realtà della volontà – e per non confonderla, magari, con quella del “desiderio” o con quella della libido di Jung, di Freud, di Reich (9) o di Groddeck (10) – si deve assolutamente sviluppare un superiore livello di coscienza (quello intuitivo).
La volontà è infatti una forza che scaturisce dall’Io, e che l’Io riceve come “dono” dal mondo divino-spirituale (“…/ Forza d’animo che scorre nelle mie membra / Scorre come nobile dono divino / Divino dono Tuo, o Spirito Divino / O Spirito Divino colma la mia anima”) (11).
Teniamo presente, al riguardo, che il cammino dell’Io va prima dal volere al sentire, e poi dal sentire al pensare, mentre il cammino della coscienza dell’Io (dell’autocoscienza) va (all’inverso) prima dal pensare al sentire, e poi dal sentire al volere.
Il primo è il cammino (incosciente) del destino o del karma, mentre il secondo è il cammino (cosciente) della libertà.
Note:
1) cfr. R.Steiner: Nascita e sviluppo storico della scienza – Antroposofica, Milano 1982;
2) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007, p. 59;
3) N.Berdjaev: ibid., p. 57;
4) N.Berdjaev: Autobiografia spirituale – Jaca Book, Milano 2006, p. 205;
5) R.Steiner: Storia occulta – Antroposofica, Milano 1972, p. 50;
6) cfr. R.Steiner: L’essenza dei colori – Antroposofica, Milano 1977;
7) cfr. R.Steiner: L’arte dell’educazione, vol. I, Antropologia – Antroposofica, Milano 1993;
8) cfr. A.Schopenhauer: La volontà nella natura – Laterza, Bari 1989;
9) cfr. W.Reich: La teoria dell’orgasmo e altri scritti – SugarCo, Milano 1969;
10) cfr. G.Groddeck: Il libro dell’Es – Adelphi, Milano 1966;
11) R.Steiner: Indicazioni per una scuola esoterica – Antroposofica, Milano 1999, p. 91.