94) “Con la vita ordinaria della rappresentazione, che è trasmessa attraverso i sensi, l’uomo sta nel mondo fisico. Per accogliere quest’ultimo nella sua coscienza, egli ha bisogno che il karma taccia nella vita della rappresentazione. In quanto dedito ad essa, l’uomo in certo modo dimentica il suo karma”.
Lo abbiamo detto: il pensare rappresentativo, quando è oggettivo (scientifico-galileiano), non è espressione del karma; lo diventa quando, sopraffatto dal sentire e dal volere, si trasforma in soggettivo opinare.
Sappiamo che la testa è il luogo della morte (simboleggiata, non a caso, da un teschio); per questo il karma vi tace: vi tace, perché la testa non dà alcuna soddisfazione, in quanto luogo della morte, alle forze (karmiche) della volontà e del sentimento (alla brama o alla sete di vita). O conoscete forse qualcuno che, volendosi concedere una “botta di vita”, si sia tuffato nella lettura, che so, di Parerga e paralipomena di Schopenhauer (1) o del Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein (2)? Non credo proprio.
Fatto sta che tra i tanti equilibri che siamo chiamati a realizzare in noi, c’è anche, se non soprattutto, quello tra la vita della natura e quella dello spirito, e quindi tra il karma (lunare) e la libertà (solare), tenendo però conto che “non v’è karma individuale – come afferma Scaligero – che non sia contessuto con il karma di serie di altri esseri”.
Il fatto che si tratti di una realtà non “semplicemente individuale, limitabile alla singola soggettività”, rende naturalmente più difficile armonizzare “la corrente del passato e quella dell’avvenire” (3).
Morale della favola: dove non c’è vita (naturale), il karma tace; dove c’è vita (naturale), il karma non solo parla, ma urla.
Qual è dunque il compito? Quello di distinguere, come afferma ancora Scaligero, “la corrente della necessità che viene come karma dal passato, e la corrente di libertà, che va verso l’avvenire” (4), e di rianimare la corrente della libertà, ossia la vita dello spirito libero (dell’Io), tanto da poter agire sul karma e modificarlo.
Afferma sempre Scaligero: “Il volere di profondità è strumento inconscio del karma: il volere che si libera nel pensiero opera oltre il karma: è il potere delle idee creatrici” (5).
95) “Nelle manifestazioni della volontà agisce il karma. Ma l’effetto resta nell’incosciente. Sollevando all’immaginazione ciò che agisce incoscientemente nella volontà, si afferra il karma. Si sente in sé il proprio destino”.
Mi è capitato, sere fa, di ascoltare un’intervista allo scrittore tedesco Günter Grass (Nobel per la letteratura nel 1999), in occasione della pubblicazione dell’autobiografia, intitolata: Sbucciando la cipolla (6).
A un certo punto, l’intervistatore gli ha chiesto: “Quest’autobiografia è bella, ricca e piena di cose; ma perché non l’ha scritta prima?”; al che Grass, che ha ottant’anni, ha risposto: “Perché, prima di scriverla, l’ho dovuta vivere”.
Che senso avrebbe, in effetti, un’autobiografia scritta, che so, a vent’anni, prima ancora, cioè, che si sia delineato appieno il proprio destino?
Abbiamo già distinto (lo faceva anche Jung) la prima metà della vita dalla seconda. Nel corso della prima (che termina, all’incirca, tra i 35 e i 42 anni), ci si prepara alla vita; nel corso della seconda, ci si dovrebbe preparare alla morte.
Dico “si dovrebbe”, perché ci si guarda bene, in genere, dal farlo. Che cosa potrebbe infatti significare, per un materialista, prepararsi alla morte, se non fare testamento e dare magari disposizioni per le proprie esequie, accompagnando il tutto con i relativi e debiti scongiuri?
Prepararsi alla morte significa ben altro: significa prepararsi alla vita dello spirito, così come, durante la prima metà della vita, ci si è preparati a quella della natura.
E come ci si prepara alla vita dello spirito? E’ presto detto: sviluppando il pensare, e rendendo così cosciente la vita della natura, che altro non è che la vita incosciente dello spirito.
“Sollevando all’immaginazione – dice appunto Steiner – ciò che agisce incoscientemente nella volontà, si afferra il karma. Si sente in sé il proprio destino”.
Ricordate che cosa abbiamo detto una sera (massima 9), citando Unger? Che l’elemento artistico viene assunto, nella coscienza immaginativa, come “principio conoscitivo”.
Ebbene, è solo in virtù di questo “conoscere artistico” o di questa ”arte conoscitiva”, ch’è possibile scoprire i sottili nessi esistenti tra i fatti o gli eventi della nostra vita, e quindi la trama del nostro destino.
96) “Se ispirazione e intuizione intervengono nell’immaginazione, allora, oltre agli impulsi del presente, si rende percepibile nell’azione della volontà il risultato di vite terrene precedenti. La vita passata si dimostra attiva in quella di oggi”.
Dal momento che abbiamo già visto che occorre la coscienza immaginativa per cogliere i nessi (biografici) tra i fatti di una stessa vita terrena, che occorre la coscienza ispirata per cogliere i nessi (karmici) tra i fatti della vita terrena e quelli della vita prenatale, e che occorre la coscienza intuitiva per cogliere i nessi (karmici) tra una vita terrena e l’altra, vorrei proporvi di riflettere (preparando così lo studio delle massime 97, 98 e 99), su uno degli schemi presentati da Unger, nel suo Il linguaggio dell’anima cosciente (al quale ovviamente vi rimando).
Lo schema è questo:
Detto a il pensare, b il sentire e c il volere, abbiamo, lungo la diagonale che va dall’alto in basso e da sinistra a destra, il “pensare nel pensare” (a in a), il “sentire nel sentire” (b in b) e il “volere nel volere” (c in c), corrispondenti, rispettivamente, all’immaginazione e alla terza Gerarchia, all’ispirazione e alla seconda Gerarchia, all’intuizione e alla prima Gerarchia. “Così – osserva Unger – le gerarchie compenetrano trasversalmente l’uomo attraverso la sua anima” (7).
In alto, nella prima riga, abbiamo invece il “pensare nel pensare”, il “sentire nel pensare” e il “volere nel pensare”; in mezzo, nella seconda riga, abbiamo il “pensare nel sentire”, il “sentire nel sentire” e il “volere nel sentire”; in basso, nella terza riga, abbiamo il “pensare nel volere”, il “sentire nel volere” e il “volere nel volere”.
Come vedete, si tratta di distinzioni sottili, ma estremamente importanti. Abbiamo già visto, ad esempio, che una cosa è l’attenzione, cioè il “volere nel pensare”, messo in rapporto, da Steiner, con l’elemento scientifico, altra l’intenzione, cioè il “pensare nel volere”.
Vediamo dunque come si presentano, nell’anima, le diverse combinazioni di queste tre forze.
Il “sentire nel pensare” (b in a) – afferma Unger – è “la sostanza della logica, l’intimo nesso di concetti e idee”. Dal momento che questo “intimo nesso” è l’accordo di base della cosiddetta “armonia delle sfere”, l’avvertire un nesso illogico equivale ad avvertire una stonatura (“Cerco – diceva Mozart – due note che si amano”).
Sappiamo che il “sentire nel pensare” regge l’anima razionale-affettiva, cioè l’anima “filosofica” (tendenzialmente “estetica”), attenta, come altre volte ho detto, più ai concetti che ai percetti (ai contenuti della percezione sensibile). Valgano d’esempio queste parole di Fichte: “Osserva te stesso, distogli il tuo sguardo da tutto quel che ti circonda e guarda nel tuo intimo; questa è la prima richiesta che la filosofia fa al suo discepolo. Non si tratta di cosa alcuna che sia fuori di te, ma unicamente di te stesso” (8).
Il “volere nel pensare” (c in a) – prosegue Unger – è invece “la sostanza dell’insieme normativo”: vale a dire, la “sostanza” delle leggi (delle necessarie relazioni di causa-effetto) scoperte dalla scienza: cioè a dire, da un pensare attento, più che all’”intimo nesso di concetti e idee”, all’intimo nesso dei fenomeni che cadono sotto l’osservazione dei sensi.
Come vedete, tra il “sentire nel pensare” e il “volere nel pensare” c’è un vero e proprio salto di qualità.
Veniamo adesso al “pensare nel sentire” (a in b), messo in rapporto, da Steiner, con l’elemento artistico, e al “volere nel sentire” (c in b). “Noi chiamiamo ideali del cuore – dice Unger – le idee che vivono nel sentimento. Mediante il cuore le idee diventano ideali”, mentre “il volere nella vita del sentimento ci si presenta come sostanza della moralità del cuore (…) l’attività del buon cuore e l’idealità determinano karmicamente il carattere; naturalmente anche in modo negativo, quando ve ne sia carenza”.
Al primo livello, abbiamo dunque la viva luce degli ideali; al secondo, il mite calore della cosiddetta “bontà d’animo”.
Veniamo infine al “pensare nel volere” (a in c) e al “sentire nel volere” (b in c), messo in rapporto, da Steiner, con l’elemento religioso. Scrive sempre Unger: “Pensiamo alle finalità e alle intenzioni dell’azione, come Rudolf Steiner ne ha parlato nella sua Filosofia della libertà. Si tratta di una specie di causalità rovesciata nella quale la rappresentazione e la forza di decisione dell’effetto precedono nel tempo la causa che viene posta mediante il volere (…) Secondo la Filosofia della libertà possiamo così chiamare il pensare nel volere (…) sostanza della “fantasia morale”, e il sentire nel volere (…) sostanza dell’”amore per l’azione”” (9).
E che cos’è l’amore per l’azione? E’ l’agire senza secondi fini: è il fare questo non in vista di quello, ma il fare questo in vista di questo (per amore di questo).
Notiamo, per concludere, che il “pensare nel volere” e il “sentire nel volere” sono rivolti al futuro (al creare), che il “pensare nel sentire” e il “volere nel sentire” (determinanti il carattere) sono rivolti al presente, e che il “sentire nel pensare” e il “volere nel pensare” sono rivolti al passato (al conoscere).
Note:
1) cfr. A.Schopenhauer: Parerga e paralipomena – Adelphi, Milano 1998;
2) cfr. L.Wittgenstein: Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni – Einaudi, Torino 2009;
3) M.Scaligero: Reincarnazione e karma – Mediterranee, Roma 1993, pp. 58-59;
4) ibid., p. 24;
5) ibid., p. 107;
6) cfr. G.Grass: Sbucciando la cipolla – Einaudi, Torino 2007;
7) C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 185;
8) cit. in R.Steiner: Verità e scienza. Proemio di una filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1974, p. 173;
9) per questa e per le precedenti citazioni, vedi: C.Unger: op. cit., p. 186.