Massime antroposofiche
103/104/105 – 2°

M

Una terza epoca dell’evoluzione della coscienza porta alla coscienza i pensieri, ma come pensieri viventi, nel corpo eterico.
Quando la civiltà greca era grande, essa viveva in questo stato di coscienza. Quando il Greco pensava, egli non formava pensieri mediante i quali, come con una costruzione sua propria, egli guardasse il mondo. Il Greco sentiva vita suscitarsi in lui, vita che pulsava anche al di fuori, nelle cose e nei processi del mondo.
Sorse allora per la prima volta l’anelito alla libertà del proprio operare. Non è ancora vera libertà, ma anelito alla libertà
” (p. 72).

Come siamo scesi prima dall’essenza (dall’Io) alla qualità (all’anima o al corpo astrale), così scendiamo adesso (varcando la soglia) dalla qualità alla vita (al corpo eterico).
Precisa Steiner che, a questo livello (quello della “civiltà greca”), non si ha “ancora vera libertà, ma anelito alla libertà”.
Non ci è facile immaginarlo, giacché siamo abituati a pensare, da materialisti, che Socrate o Platone, per il solo fatto di avere una testa, due braccia e due gambe, fossero come noi. Ma non è così; diversa era la loro percezione del mondo (sensibile) e diversa, soprattutto, era la loro anima: la loro esperienza del pensiero era infatti accompagnata da sensazioni e sentimenti che la rendevano viva e pregnante.
Ad esempio, il “concetto” di Socrate e il “mondo delle idee” di Platone non erano, come per noi, “soltanto” dei concetti o delle idee (magari pure peregrine), ma delle realtà vive e corpose che toccavano e coinvolgevano l’anima (al punto che Socrate, come si racconta, sperimentando la realtà del concetto, andava in estasi).
Stentiamo però a crederlo, perché le nostre anime si sono inaridite, e sono divenute per ciò stesso incapaci di accompagnare con la loro vita non solo la vita dello spirito, ma anche, paradossalmente (per dei materialisti), quella del corpo: per quale ragione, altrimenti, si farebbe tanto uso, oggigiorno, di stimolanti, eccitanti o droghe?
Dice Steiner: “Sorse allora per la prima volta l’anelito alla libertà del proprio operare. Non è ancora vera libertà, ma anelito alla libertà”.
Attraversata la soglia, l’esperienza dello spirito viene mediata, non più dal corpo astrale, ma dal corpo eterico (tanto intimo, come sappiamo, al corpo fisico quanto il corpo astrale lo è all’Io).
Siamo, come abbiamo detto, nella quarta epoca di cultura (quella greco-latina): ormai prossimi quindi alla nostra, che, in nome appunto della libertà (“da”), si spinge ancora più in basso, raggiungendo così il piano fisico.

(…) Solo quando i pensieri assunsero la loro impronta nel corpo fisico, e la coscienza si limitò unicamente a tale impronta, sorse la possibilità della libertà. Questa è la condizione esistente dal secolo quindicesimo dopo Cristo.
Nell’evoluzione del mondo, quello che importa non è il valore che possono avere le idee dell’odierna concezione della natura di fronte alla natura; tali idee non hanno infatti assunto le loro forme per fornire una determinata immagine della natura, ma per condurre l’uomo ad un determinato gradino della sua evoluzione
” (p. 73).

Eccoci dunque arrivati al taglio del “cordone” che legava l’uomo al mondo spirituale, e per ciò stesso alla nascita della moderna anima cosciente (1413) e, insieme, della scienza e della “possibilità della libertà”. “Questa – dice appunto Steiner – è la condizione esistente dal secolo quindicesimo dopo Cristo”.
Sarà bene ricordare, tuttavia, che si tratta di una mutazione o di un salto evolutivo che molti, a tutt’oggi, non riescono ancora a digerire (“Il sacrificio di Cristo – scrive Berdjaev – non consiste nel riscatto del peccato e in un rabbonimento di Dio Padre, ma nel miracoloso cambiamento della natura umana nella prospettiva della perfezione”) (11).
Ne volete qualche esempio? Bene, leggete allora Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola (12), oppure La crisi del mondo moderno di René Guénon (13), oppure ancora Memoria e identità di Giovanni Paolo II (14).
In quest’ultimo si sostiene esplicitamente che le “ideologie del male” (il comunismo, il fascismo, il nazismo, nonché lo scientismo e l’utilitarismo) sono radicate nella modernità, e in particolare nel fatto che, a partire da Cartesio, si è venuta sostituendo, alla filosofia dell’esse (all’ontologia), la filosofia del cognosco (la gnoseologia): cioè, al “cogito, ergo Deus est”, il “cogito, ergo sum”.
Ne ho parlato in un articolo di un paio d’anni fa, e non starò pertanto a ripetermi (15).
Da una parte, abbiamo dunque gli avversari della modernità e, dall’altra, i suoi fautori o difensori. Dal momento, però, che la modernità viene identificata da entrambi col materialismo, i primi si vedono costretti a rigettare la modernità in nome dello spirito, mentre i secondi si vedono costretti a rigettare lo spirito in nome della modernità.
Tanto i cosiddetti “conservatori”, quanto i cosiddetti “progressisti”, non riescono dunque a comprendere (come osserva Scaligero) il fine perseguito dallo spirito mediante l’esperienza della modernità e del materialismo.
E qual è questo fine? Quello, come dice Steiner, di “condurre l’uomo ad un determinato gradino della sua evoluzione”: al grado appunto dell’autocoscienza e della libertà (“da”).
Sono perciò “conservatori” quelli che rigettano la modernità in nome dello spirito, ma lo sono anche quelli che, rigettando lo spirito in nome della modernità, mostrano di non voler portare avanti la loro evoluzione, redimendo (come fa invece Goethe) Faust: passando, cioè, dalla prima fase di sviluppo (scientifico-naturale) dell’anima cosciente, alla seconda (scientifico-spirituale).
Stiamo dunque attenti a non farci coinvolgere e ingannare dai dibattiti o dalle polemiche “culturali” che ci vengono presentate o proposte un giorno sì e l’altro pure, giacché non si tratta che di scontri “dialettici” (Scaligero) tra i “conservatori” del passato (“Semper idem” era il motto episcopale del cardinale Alfredo Ottaviani) e i “conservatori” del presente.
Dovremmo sapere, infatti, che il solo vero “progresso”, o il solo vero movimento verso l’avvenire, consiste nello sviluppo della nostra coscienza, volto a integrare l’ordinaria visione intellettuale della realtà con quella immaginativa, ispirata e intuitiva.
Ma torniamo a noi. “Solo quando i pensieri assunsero la loro impronta nel corpo fisico – dice Steiner -, e la coscienza si limitò unicamente a tale impronta, sorse la possibilità della libertà”.
A quale prezzo abbiamo dunque ottenuto la “possibilità della libertà”? A prezzo della morte del pensiero. Eclissatisi (nell’ordine) lo spirito, l’anima e la vita, del pensiero non ci è rimasta infatti che la spoglia.
Si dice: “Quando il gatto non c’è, i topi ballano”: ed ecco che, sparito il “gatto” dello spirito, gli uomini hanno cominciato appunto a “ballare”: a esprimere, cioè, la loro volontà.
Un tempo, il pensiero era colmo della volontà dello spirito, adesso, invece, è una forma vuota che si presta, come tale, a essere riempita dalla forza del volere umano individuale.
“Nell’evoluzione del mondo – dice Steiner -, quello che importa non è il valore che possono avere le idee dell’odierna concezione della natura di fronte alla natura; tali idee non hanno infatti assunto le loro forme per fornire una determinata immagine della natura, ma per condurre l’uomo ad un determinato gradino della sua evoluzione”.
Ciò significa che la visione materialistica (naturalistica o positivistica) del mondo non risponde alle esigenze del mondo (alla sua verità), bensì a quelle di una particolare fase (quella dell’”età oscura”) della nostra evoluzione.

Quando i pensieri afferrarono il corpo fisico, dal loro immediato contenuto furono cancellati spirito, anima e vita; è rimasta soltanto l’ombra astratta che è attaccata al corpo fisico. Tali pensieri possono fare oggetto della loro conoscenza solo oggetti fisico-materiali, perché essi medesimi sono reali soltanto se legati al corpo fisico-materiale dell’uomo” (p. 73).

Ricordate che cosa abbiamo detto una sera (massima 14)? Che come potremmo credere, specchiandoci, che la nostra immagine, in quanto “attaccata” allo specchio, appartenga allo specchio, così potremmo credere, pensando, che la rappresentazione, in quanto “attaccata al corpo fisico”, appartenga al cervello.
Il che è quanto credono, come sapete, gli odierni neurofisiologi.
Non è singolare, tuttavia, che chi si dicesse oggi convinto che la Luna brilla di luce propria, e non di luce riflessa, verrebbe considerato uno “sprovveduto”, mentre chi si dice oggi convinto che il cervello pensa, e non che riflette il pensiero (fornendocene appunto “l’ombra astratta che è attaccata al corpo fisico”), viene considerato un “provveduto”?
“Tali pensieri – dice Steiner – possono fare oggetto della loro conoscenza solo oggetti fisico-materiali, perché essi medesimi sono reali soltanto se legati al corpo fisico-materiale dell’uomo”.
Sono dunque tali pensieri ad aver permesso la nascita della scienza del mondo inorganico. Similia similibus: i pensieri morti possono conoscere solo le cose morte. E’ proprio da questi pensieri, tuttavia, che devono risorgere la vita, l’anima e lo spirito.
Voglio leggervi, al riguardo, un sogno fatto (nella notte tra l’1 e il 2 febbraio del 1933) dal celebre psicoanalista junghiano Ernst Bernhard.
“In una grotta dentro la roccia, sottoterra, Cristo viene martoriato su un tavolo di pietra (…) Gli vengono spezzate le gambe (…) Io sto a un capo del tavolo come uno che osserva, e mi chiedo come sia possibile sopportare tali tormenti. Guardo il suo viso e con mio sollievo constato che è svenuto. Dopo qualche tempo il martirio è cessato. Gesù si alza a sedere sul tavolo e gli portano qualcosa da mangiare, maccheroni crudi in una scodella, che egli inghiotte con l’avidità di un affamato. Tale volontà di vita mi appare sorprendente: non si mangia così quando si è pronti a morire. E infatti egli si riprende sempre più. Ora la moltitudine di ebrei che ha assistito al martirio con una sempre crescente ostilità verso Pilato, lo incita a dare a Gesù il bacio fraterno. Pilato accetta e si avvicina a Gesù. In quel momento la scena muta: i due stanno l’uno accanto all’altro davanti alla parete rocciosa della caverna, illuminati da una luce soprannaturale, in pacata compiuta corrispondenza, e s’assomigliano come un uovo all’altro, indistinguibili” (16).
Ebbene, domandiamoci: ma chi è questo “Cristo” cui vengono spezzate le gambe, nonostante Giovanni dica: “Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo [dei due ladroni] e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”; e aggiunga: “Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso” Gv 19, 32-33 e 36)?
Ma chi è questo “Cristo” che non solo non si distingue dall’uomo Gesù e riceve, col favore della folla (rappresentante lo spirito vetero-testamentario), un bacio da Pilato (rappresentante lo spirito pagano), ma che arriva perfino a fondersi con lui (illuminato “da una luce soprannaturale”)?
Ma chi è, soprattutto, questo “Cristo” che non muore (ma si butta anzi con avidità sui maccheroni crudi), e che, non morendo, non risorge: che non facendo cioè esperienza del Golgota, non fa esperienza della morte e della resurrezione?
A voi l’onere della risposta. Io vi ho letto questo sogno soltanto perché mostra, con rara efficacia (e a prescindere da altro), che un conto è la vita che non muore (“non si mangia così quando si è pronti a morire”), altro la vita che muore e risorge.
Abbiamo già visto, del resto, ch’è Lucifero ad amare la vita e a fuggire la morte, e ch’é Arimane, invece, ad amare la morte e a fuggire la resurrezione.
Il che significa, tornando a noi, che Lucifero avversa, guardando al passato, il morto pensiero moderno, mentre Arimane avversa, guardando al presente, il tentativo di far risorgere, da quello morto, un vivo pensiero moderno (di far cioè risorgere, da Lazzaro, Giovanni).

Il materialismo non è sorto perché nella natura esterna vi sono da percepire solamente esseri e processi materiali, ma perché l’uomo, nella sua evoluzione, doveva sperimentare una tappa che lo conducesse dapprima ad una coscienza capace di contemplare soltanto delle manifestazioni materiali. L’elaborazione unilaterale di questo bisogno dell’evoluzione umana produsse la concezione della natura dell’epoca moderna” (p.73).

Per un materialista, tutto finisce con la morte. Ciò non gli impedisce tuttavia di vivere, lottare, sperare, gioire e soffrire come se tutto viceversa non finisse.
Occorre molta forza per vivere così (ricordate Leopardi: “Se la vita è sventura, perché da noi si dura?”): più di quanta ne occorra, in ogni caso, a chi “crede” che dopo la morte lo attendono le consolazioni e le gioie del paradiso (osserva Berdjaev: “I rivoluzionari russi che si ispiravano alle idee di Černyševskij proponevano un interessante dilemma filosofico: i migliori fra loro accettarono durante la vita terrena le persecuzioni, l’indigenza, la reclusione, l’esilio, i lavori forzati, l’esecuzione, senza riporre nessuna speranza in un’altra vita, nella vita ultraterrena. Il confronto risultava estremamente sfavorevole per i cristiani dell’epoca, che avevano molto a cuore i beni della vita terrena e facevano conto sui beni della vita celeste”) (17).
Tale forza è la forza dell’uomo moderno (della “eroica e amorosa e dolorosa creatura umana”, dice Teodoro Celli) (18): cioè di un individuo (di un Io) autocosciente che non teme, come si usa dire, di pensare con la propria testa e di camminare con le proprie gambe.
A ben vedere (e spesso a dispetto delle apparenze), nel sentire dei conservatori o dei credenti (così come in quello di quanti ritornano nell’uno o nell’altro “ovile”) c’è in effetti un che d’immaturo e di tremulo: una sorta di paura di crescere, di separarsi (o di restare separati) dai genitori, dalla famiglia o dal collettivo (extra ecclesiam nulla salus), e di rimanere così soli (dice però il Cristo: “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me” – Mt 10, 37).
Osserva ancora Berdjaev: “L’uomo è terribilmente stanco ed è pronto ad appoggiarsi su qualunque tipo di collettivismo, dentro il quale la sua individualità sia definitivamente destinata a sparire. L’uomo non riesce più a sopportare la propria solitudine” (19).
L’esperienza della solitudine dell’ego (“il peccato pone il singolo”, dice Kierkegaard) non va però evitata, ma affrontata e vinta con coraggio e con amore.
Dice Steiner che il materialismo è sorto “perché l’uomo, nella sua evoluzione, doveva sperimentare una tappa che lo conducesse dapprima ad una coscienza capace di contemplare soltanto delle manifestazioni materiali”.
Questo stesso uomo potrebbe dunque dirsi: “Dal momento che le manifestazioni materiali non fanno che rivelare qualcosa d’immateriale, voglio arrivare a conoscere questo qualcosa con una determinazione e un amore ancora più forti di quelli che mi hanno permesso di conoscerne le manifestazioni materiali”.

La missione di Michele è di recare ai corpi eterici degli uomini le forze mediante le quali i pensieri-ombra riacquistino vita; allora, sui pensieri vivificati, si chineranno anime e spiriti dei mondi soprasensibili; l’uomo liberato potrà vivere con loro, come un tempo era vissuto con loro l’uomo che era soltanto l’immagine fisica delle loro azioni” (p. 73).

Vedete, è vero che la soglia di cui solitamente parliamo (Janua coeli) è quella che divide il corpo fisico e quello eterico (i corpi spazio-temporali o esistenziali) dal corpo astrale (animico) e dall’Io (spirituale), ma è anche vero che la prima soglia che siamo chiamati ad attraversare è quella che divide il corpo fisico da quello eterico, per poter così ricevere, da Michele, “le forze mediante le quali i pensieri-ombra riacquistino vita”.
Devo purtroppo dire, per esperienza, che non sempre nel “mondo antroposofico” ci si ricorda di questo. Vi è infatti una certa tendenza a voler passare direttamente dal piano fisico ordinario (essoterico) a quello astrale (esoterico), trascurando, di fatto, quello eterico (essoterico-esoterico o, come dice Steiner, “sensibile-sovrasensibile”) (20).
Il che può forse apparire gratificante, ma proprio per il fatto che appaia tale dovrebbe insospettire. Che cosa abbiamo visto infatti, a suo tempo (massima 13)? Che al grado della coscienza immaginativa (eterica) corrisponde, dice Steiner, “un sentimento vasto – direi cosmico, di gioia, interiormente completamente sperimentato”, mentre a quello della coscienza ispirata (astrale) corrisponde “un dolore animico altrettanto vasto”, “una sofferenza animica altrettanto generale”, giacché si sperimenta l’”isolamento” quale frutto di un processo di “divisione” o, ricordo di aver aggiunto, di “differenziazione”.
(Teniamo presenti, al riguardo, due cose: a) Ernst Bindel, nel suo studio sugli elementi spirituali dei numeri [21], mette in rapporto il corpo fisico con la somma e la sottrazione, il corpo eterico con la moltiplicazione e il corpo astrale, per l’appunto, con la divisione; b) Karl König, nel suo L’anima umana, afferma: “Il dolore è luce” [22]. Dal momento che la luce è collegata al corpo astrale, e che il corpo astrale è collegato alla coscienza ispirata, possiamo dire: “Il dolore è la coscienza ispirata”.)
Che cosa significa, allora, provare piacere laddove si dovrebbe provare viceversa dolore? E’ presto detto: significa illudersi di essere sul piano animico, mentre si è ancora (come sempre) su quello psichico (dominato appunto, direbbe Freud, dal “principio del piacere”).
Non c’è però da rilassarsi o ricrearsi, bensì da lottare. Michele non è infatti un animatore, un coach, un counselor o un personal trainer, ma il principe delle milizie celesti. C’è da capire, insomma, che la lotta spirituale è una lotta drammaticamente seria, come drammaticamente serio, dirà Steiner, è il volto e lo stato d’animo di Michele.
(Scrive Berdjaev: “La guerra materiale è solo il manifestarsi di una guerra spirituale. E tutto il compito sta nel far sì che in questo turbine mondiale si conservi l’immagine dell’uomo, l’immagine del popolo e l’immagine dell’umanità, così che sia possibile il sorgere di una vita creativa più alta” [23].)
Dal momento, inoltre, che Michele è il “Cavaliere della Vergine”, come si può sperare di avere accesso al regno (astrale) dell” Ave”, senza aver preso le giuste distanze, con il suo aiuto, da quello ordinario dell’” Eva”?
Diciamola tutta: la via che non passa per Michele (per “il fiammeggiante principe del pensiero”), non porta alla Vergine, ma a Lucifero.
“Sui pensieri vivificati – conclude Steiner – , si chineranno anime e spiriti dei mondi soprasensibili; l’uomo liberato potrà vivere con loro, come un tempo era vissuto con loro l’uomo che era soltanto l’immagine fisica delle loro azioni”.
Non facciamoci dunque illusioni: è solo “sui pensieri vivificati” che possono chinarsi la Vergine e il Cristo.
Eccoci arrivati così alle massime. Mi limiterò a leggerle, giacché riassumono quanto abbiamo detto commentando la lettera.

103) “Nell’evoluzione dell’umanità la coscienza discende lungo i gradini dello sviluppo del pensiero. Si ha una prima tappa della coscienza: qui l’uomo sperimenta i pensieri nell’”io” come entità compenetrata di spirito, di anima, di vita. In una seconda tappa l’uomo sperimenta i pensieri nel corpo astrale; qui essi rappresentano soltanto le immagini riflesse, compenetrate di anima e di vita, delle entità spirituali. In una terza tappa l’uomo sperimenta i pensieri nel corpo eterico; qui essi rappresentano soltanto un’attività interiore, come eco di un elemento animico. Nella quarta tappa, quella di oggi, l’uomo sperimenta i pensieri nel corpo fisico; qui essi rappresentano ombre morte dello spirito”.

104) “Nella stessa misura in cui l’elemento spirito-anima-vita si ritrae dal pensare umano, sorge la volontà propria dell’uomo; la libertà diventa possibile“.

105) “È compito di Michele il ricondurre l’uomo sulle vie della volontà là donde è venuto, quando è disceso con la sua coscienza terrena, sulle vie del pensare, dall’esperienza del soprasensibile a quella del sensibile”.

Note:

1) R.Steiner: Il ponte fra la spiritualità cosmica e l’elemento fisico umano. La ricerca della nuova Iside, la divina Sophia – Antroposofica, Milano 1979, pp. 166-167;
2) cfr. Uomo “in potenza” e uomo “in atto” , 29 maggio 2005;
3) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 238;
4) R.Steiner: Verità e scienza. Proemio di una filosofia della libertà in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, p. 177;
5) cit. in L.F.Földényi: Dostoevskij legge Hegel in Siberia e scoppia a piangere – il melangolo, Genova 2009, p. 35;
6) cfr. C.G.Jung: Psicologia e alchimia – Astrolabio, Roma 1950;
7) cfr. Il cervello, la mente e l’anima, 12 dicembre 2001;
8) cfr. R.Steiner: Nascita e sviluppo storico della scienza – Antroposofica, Milano 1982;
9) cfr. G.Colli: La nascita della filosofia – Adelphi, Milano 1975;
10) R.Steiner: L’essenza della musica e l’esperienza del suono nell’uomo – Antroposofica, Milano 1973, pp. 46, 48 e 49;
11) cit. in A.dell’Asta: prefazione a N.Berdjaev: Il senso della creazione – Jaca Book, Milano 1994, p. XXXVI;
12) cfr. J.Evola: Rivolta contro il mondo moderno – Bocca, Milano 1951;
13) cfr. R.Guénon: La crisi del mondo moderno – Mediterranee, Roma 1994:
14) cfr. Giovanni Paolo II: Memoria e identità – Rizzoli, Milano 2005;
15) cfr. L’esse e il cogito, 20 marzo 2005;
16) E.Bernhard: Mitobiografia – Adelphi, Milano 1969, p. 4;
17) N.Berdjaev: L’idea russa – Mursia, Milano 1992, p. 131;
18) T.Celli: L’anello del Nibelungo – Rusconi, Milano 1983, p. 75;
19) N.Berdjaev: Nuovo Medioevo – Fazi, Roma 2004, p. 7;
20) cfr. Sergej Prokofieff e La filosofia della libertà, 18 ottobre 2007 e Ancora su Prokofieff e La filosofia della libertà, 18 settembre 2009;
21) cfr. E.Bindel: Les éléments spirituels des nombres – Payot, Paris 1960;
22) K.König: L’anima umana – Natura e cultura, Alassio (SV) 1996, p. 36;
23) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007, p. 76.

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Di Lucio Russo
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