Massime antroposofiche
118/119/120 – 2°

M

È edificante vedere come, per mezzo di Michele, l’entità umana venga innalzata nella sfera spirituale, mentre l’incosciente, il subcosciente, che si sviluppano al di sotto della sfera della libertà, vanno sempre più profondamente fondendosi con la materialità” (p. 96).

Vi rileggo questo passo de La soglia del mondo spirituale: “Nei corpi eterico e fisico-sensibile operano forze che provengono dalle entità luciferiche e arimaniche. Poiché tali entità sono di origine spirituale, è naturale che nella sfera stessa del corpo fisico e di quello eterico si trovi una specie di entità astrale dell’uomo. A una veggenza spirituale che si limiti ad accogliere solo le immagini della coscienza soprasensibile, senza essere capace di comprenderne bene il significato, può facilmente accadere che l’involucro astrale del corpo fisico e di quello eterico vengano scambiati per il vero corpo astrale. Senonchè proprio questo “corpo astrale” è l’elemento della natura umana che nella sua attività contrasta l’ordinamento veramente assegnato all’uomo nella struttura dell’universo” (9).
Ebbene, domandiamoci: si può risanare l’anima, come vorrebbero fare la psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica junghiana (delle altre forme di psicoterapia non vale la pena di parlare), ignorando l’esistenza di questo nostro “doppio” astrale o psichico? Si può risanarla fissando lo sguardo sul subcosciente e l’incosciente (finendo così, volenti o nolenti, col rimanervi intrappolati), anziché elevarlo alla “sfera spirituale”, lasciando che il subcosciente e l’incosciente (“che si sviluppano al di sotto della sfera della libertà”) sprofondino nella materialità (“Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio” – Lc 9,60)? Si può risanarla ignorando che nella nostra natura, in quanto opera compiuta, giacciono i “morti sedimenti” delle antiche attività dell’effetto operante, della manifestazione e dell’Entità divino spirituale?
Vi rimando, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, a quella conferenza contenuta in Parsifal e Amfortas di cui vi ho letto prima alcuni passi.

La posizione dell’uomo di fronte all’universo diverrà in avvenire sempre più incomprensibile per lui, se egli non imparerà a riconoscere, oltre ai suoi rapporti con gli esseri ed i processi naturali, anche quelli con la missione di Michele. Si imparano a conoscere i rapporti con la natura come qualcosa che si guarda dal di fuori; le relazioni col mondo spirituale partono invece da qualcosa che è una specie di dialogo interiore con enti ai quali ci si è dischiuso l’adito con l’accedere ad una contemplazione spirituale del mondo” (p.96).

Vi sarà probabilmente capitato d’incontrare qualcuno che segue la via del pensiero non col pensare (col volere nel pensare), ma col sentire e, ancor più, col volere, nella convinzione che “l’antroposofia deve essere messa in pratica”.
C’è però pratica e pratica, ed è difficile che chi fa un’affermazione del genere, anziché darsi a “organizzare” o “praticare” una qualche concreta attività, s’impegni per riuscire a instaurare, mediante lo sviluppo di superiori livelli di coscienza, “una specie di dialogo interiore con enti ai quali ci si è dischiuso l’adito con l’accedere ad una contemplazione spirituale del mondo”.
Afferma, non a caso, Steiner: “Capire nel profondo della propria anima la scienza dello spirito è per molti aspetti qualcosa del tutto diverso di quanto s’immaginano molti che fanno conto di appartenere al movimento antroposofico” (10); e così esemplifica: “Non si seguirà la linea che si esprime dicendo: cominciamo a far conoscere in una città l’euritmia: se alla gente piacerà, allora s’interesserà anche dell’antroposofia! Oppure: bisogna prima mostrare alla gente come si usano in pratica i nostri rimedi medicinali, convincendoli che si tratta di medicamenti seri; più tardi poi scopriranno che dietro ai medicinali sta l’antroposofia, e finiranno per scoprire anche questa! Dobbiamo avere il coraggio di definire menzognero un tale comportamento. L’antroposofia troverà la sua via soltanto se avremo orrore di un tale atteggiamento menzognero” (11).
Consiglio sempre, al riguardo, di meditare le due “Appendici” (intitolate: La fonte di questo insegnamento e Perché un’associazione spirituale viva) che chiudono il Dell’amore immortale di Scaligero (12).

Per poter estrinsecare gli impulsi della libertà, l’uomo deve dunque essere in grado di tenere lontane dal suo essere certe influenze naturali che dal cosmo vogliono agire sul suo essere. Questo allontanamento si svolge poi nel subcosciente, quando nella coscienza dominano le forze che rappresentano appunto la vita dell’io in libertà. Per la percezione interiore dell’uomo sorge la coscienza di agire in libertà; per gli esseri spirituali che da altre sfere del mondo sono in relazione con l’uomo, la cosa è diversa. L’essere appartenente alla gerarchia degli angeli, che ha l’incarico di condurre l’uomo dall’una all’altra delle sue vite terrene, di fronte all’azione umana compientesi in libertà, ha sùbito l’impressione: l’uomo respinge da sé forze cosmiche che vorrebbero continuare a conformarlo, che vorrebbero dare all’organizzazione del suo io i sostegni fisici necessari, come glieli hanno dati prima dell’epoca di Michele.
Michele, quale essere della gerarchia degli arcangeli, riceve le sue impressioni con l’aiuto degli esseri della gerarchia degli angeli. Egli si dedica al compito di addurre nel modo descritto all’uomo, dalla parte spirituale del cosmo, le forze che possono sostituire quelle naturali soppresse”.
E vi riesce mettendo la sua azione in perfetta armonia col mistero del Golgota
” (pp. 96-97).

L’”Angelo custode” (“l’essere appartenente alla gerarchia degli angeli, che ha l’incarico di condurre l’uomo dall’una all’altra delle sue vite terrene”) trasmette dunque a Michele l’impressione che l’uomo respinga “da sé forze cosmiche che vorrebbero continuare a conformarlo, che vorrebbero dare all’organizzazione del suo io i sostegni fisici necessari, come glieli hanno dati prima dell’epoca di Michele”.
Tale impressione è giusta, ma è proprio per questo che Michele “si dedica al compito di addurre nel modo descritto all’uomo, dalla parte spirituale del cosmo, le forze che possono sostituire quelle naturali soppresse”: è proprio per questo, cioè, che Michele adduce, al posto dell’antico effetto operante, il novello e vivo “effetto operante” (più propriamente, la forza dell’”immaginazione creatrice”), così che in virtù di questa possano subentrare, in luogo di quelle antiche (della Legge e del Padre), la “novella manifestazione” (la Grazia) e la “novella Entità divino-spirituale” (il Figlio).
Perché il Figlio possa fattivamente succedere al Padre, è tuttavia necessario che la Sua successione sia preceduta da quella dello Spirito Santo.
E’ vero, infatti, che non potremmo fare appello alla Vergine-Sophia e allo Spirito Santo, se il Figlio non si fosse “fatto carne”, ma non meno è vero che la potenza della Sua incarnazione può essere attuata solo in virtù della mediazione (intercessione) dello Spirito Santo. “E’ meglio per voi che io me ne vada; – dice infatti il Cristo-Gesù – perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: ma se me ne vado lo manderò a voi” – Gv 16,7).
Ciò vuol dire ch’è solo in virtù del vero “Spirito dello spirito” (dello Spirito Santo) e della sua unione con la Vergine-Sophia, che ci è dato conoscere e attuare la potenza redentrice del vero “Spirito dell’anima” (del Figlio), così da poter tornare, un giorno, al vero “Spirito del corpo” (al Padre).
(Vi ricordo ancora ch’è nella dodicesima e ultima conferenza del ciclo dedicato a Il Vangelo di Giovanni, che Steiner illustra i rapporti tra il Figlio, la Vergine-Sophia e lo Spirito Santo [13].)
Qual è dunque la missione di Michele? Mediare nella sfera eterica del pensare l’impulso che parte dall’”Io sono” nel/del pensare (dallo Spirito Santo, ch’è Uno, ovviamente, col Padre e col Figlio).
Ecco che cosa scoprirebbe la scienza, se oltre ad essere, com’è, scienza di questo e di quello, fosse anche scienza di se stessa: cioè autocoscienza (“La scienza – afferma Hegel – non cerca la verità ma è nella verità, ed è la verità stessa”: ovvero – possiamo aggiungere – lo “Spirito di Verità”) (14).

Nell’attività del Cristo entro l’evoluzione umana giacciono le forze di cui l’uomo, nel suo agire in libertà, ha bisogno come compenso agli impulsi naturali soppressi. Soltanto che l’uomo deve portare veramente l’anima sua all’intima unione col Cristo della quale abbiamo già parlato qui in relazione con la missione di Michele.
L’uomo sa di essere nella realtà quando sta davanti al sole fisico e ne riceve calore e luce.
Così deve vivere di fronte al sole spirituale, al Cristo, che ha congiunto la propria esistenza con l’esistenza terrestre; e da Lui deve ricevere vivente nell’anima ciò che nel mondo spirituale corrisponde al calore e alla luce.
L’uomo si sentirà compenetrato dal “calore spirituale” quando sperimenterà il “Cristo in sé”. Sentendosi così compenetrato, dirà a se stesso: “Questo calore svincola il tuo essere umano da legami cosmici nei quali esso non deve più rimanere. Affinché tu conquistassi la libertà, l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te, fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali. Questo calore ti riconduce al divino dal quale provieni”.
In questo sentire, l’uomo sperimenterà e si congiungerà con intimo calore d’anima nel Cristo e col Cristo, e insieme sperimenterà la vera e reale umanità. “Cristo mi dà la mia essenza umana”; questo sarà il sentimento fondamentale che compenetrerà l’anima
” (pp. 97- 98).

Dice Steiner: “Nell’attività del Cristo entro l’evoluzione umana giacciono le forze di cui l’uomo, nel suo agire in libertà, ha bisogno come compenso agli impulsi naturali soppressi”: quello del Cristo è dunque l’impulso della novella, direbbe Spinoza, natura naturans, venuto a compensare i soppressi impulsi dell’antica, per poter così redimere la natura naturata (l’opera compiuta).
Dice ancora: “l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te, fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”: dunque, quanto il Padre, partendo dal corpo fisico (dall’antico Saturno) e arrivando all’Io (alla Terra), ci diede una volta “per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”, deve adesso darcelo il Figlio, partendo dall’Io (dalla Terra) e arrivando all’”Uomo spirituale” (al futuro Vulcano).
(Un tempo, tanto per dirne una, la vecchiaia era sinonimo di saggezza, dal momento che la crescita naturale coincideva con quella spirituale; ora non vi coincide più, e dovremmo perciò essere noi a farci carico, quali Io, di quanto non ci dà più la natura.)
Si potrebbe anche dire, tuttavia, che le “vie naturali”, negli animali, nelle piante e nei minerali, sono ancora “vie spirituali” regolari, mentre nell’uomo sono diventate “vie spirituali” irregolari. “Ascoltatemi tutti – dice appunto il Cristo-Gesù – e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo (…) Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo” (Mc 7,15 e 21).
Scaligero, al riguardo, dà la seguente meditazione: “La Natura tende a continuare a conformare l’uomo secondo impulsi cosmici che nel passato legittimamente ebbero il còmpito di congiungere la sua vita interiore con la corporeità, sino all’esperienza della coscienza libera. Questa coscienza può realizzare la propria natura sovrasensibile, soltanto ove spiritualizzi l’elemento individuale legato al sensibile: a tal fine non può non opporsi agli impulsi cosmici che insistono nella sua formazione psicofisica secondo la direzione passata: la quale, continuando nel modo antico a sospingere l’anima verso la fisicità corporea, ora non può non operare alla animalizzazione dell’uomo. E’ ciò che già sta avvenendo” (15).
Che cosa significa, dunque, che il sentimento fondamentale che compenetrerà l’anima sarà: “Cristo mi dà la mia essenza umana”? Significa sentire che la nostra essenza umana non ci viene data dal corpo astrale (animale), dal corpo eterico (vegetale) o dal corpo fisico (minerale), bensì dall’Io, giacché è nell’Io che vive il Cristo, ed è partendo dall’Io che dobbiamo perciò umanizzare e redimere (cristificare) il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.
Il senso dell’umano è dunque il senso del Cristo, e il senso del Cristo è il senso dell’umano. Se disponessimo della Sophia del Cristo, ossia di una coscienza cristiana del Cristo (e non vetero-testamentaria, greca o romana) sapremmo infatti che il Cristo è il Dio dell’uomo in quanto uomo, e quindi il Dio di ogni singolo essere umano.
Ho più volte ricordato, a questo proposito, la figura di Pilato. Il Cristo-Gesù gli dice: “Per questo io sono nato, e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37); e Pilato allora gli domanda: “Che cos’è la verità?”.
Vedete, Pilato, pensando che la verità sia oggetto, non può immaginare di averla di fronte a sé come soggetto (risponde il Cristo-Gesù, a Tommaso: “Io sono la via, la verità e la vita” – Gv 14, 6).
La verità è dunque “Soggetto” (essere o spirito), così come “soggetto” (Io) è la libertà e “soggetto” è l’umanità (il Cristo).
Per questo, Steiner parla del Cristo, l’ho già ricordato, come del “Rappresentante dell’umanità” (del “genere umano”).
Non è umano, insomma, quello che non è cristico, e non è cristico quello che non è umano, così come non è il Sole quello che non è il Cristo (lo dico pensando in specie agli evoliani), e non è il Cristo quello che non è il Sole (lo dico pensando in specie a quei “gesuologi” il cui sentire privilegia, di fatto, il Venerdì Santo).

Domanda: Vorrei capire meglio, se possibile, in che senso Arimane anticipa il futuro.
Risposta: Non devi intendere tale futuro in termini di settimane, mesi o anni, ma in senso evolutivo.
Proprio in questi giorni, ad esempio, mi sono imbattuto in questo articolo nel quale Antonino Zichichi, prendendo spunto dal fatto che l’arbitro ha annullato alla nostra nazionale di calcio un gol regolare, propone ciò che andrebbe fatto per evitare errori del genere. Te ne leggo qualche passo: “Bisogna introdurre le moderne tecnologie negli stadi (…) Introdurre le moderne tecnologie vuol dire controllare in tempo reale gli errori. Telecamere opportunamente disposte con una regia centrale controllata da tre esperti permette, in caso di errori, un intervento immediato per rendere giustizia al grande pubblico in tempo reale (…) Dotando i giocatori di monitor appositamente progettati e usando macchine fotografiche ad alta velocità è possibile studiare tutti i dettagli, evitando errori (…) L’arbitro in campo è da età della pietra, l’arbitro dovrebbe stare in regia televisiva per seguire nei minimi dettagli tutto ciò che avviene in campo (…) I giocatori dovrebbero essere dotati di sensori elettronici in grado di stabilire dove e come e chi, per primo, tocca l’avversario. Dove si trova il calciatore rispetto ai difensori saranno gli strumenti a dirlo senza alcuna possibilità di errore”.
Sappiamo però, grazie a Steiner, che gli Angeli potrebbero dirci: “Noi fummo (sull’antica Luna) quel che voi siete (sulla Terra); voi sarete (sul futuro Giove), quel che noi siamo”: sappiamo, cioè, che destino dell’uomo è l’Angelo; non solo, ma sappiamo pure che gli Angeli, in quanto “fatti di verità”, sono immuni da quegli errori che ci sono a tal punto familiari da farci dire, ad esempio: “Errare è umano; perseverare è diabolico” (o da far dire a Goethe: ”Sono proprio gli errori dell’uomo a renderlo amabile”) (16).
Un conto, tuttavia, è cercare di evitare gli errori (non nelle partite di calcio, ma nella partita della nostra vita) sviluppando sempre maggiore saggezza e moralità (“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” – Inf. XXVI 118-120), altro è cercare di evitarli artificialmente, ricorrendo alle protesi delle moderne tecnologie.
Come vedi, Arimane non vuole che l’uomo evolva gradualmente verso il suo futuro stato angelico, bensì vuole che l’ego eviti gli errori acquisendo il più rapidamente possibile una sorta di artificiale (meccanica) “perfezione”.

Riprendiamo comunque questo passo: “Affinché tu conquistassi la libertà, l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te, fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”.
Chi non realizzi, dunque, che il divino-spirituale non opera più mediante la natura sull’uomo, bensì mediante l’uomo sulla natura, e che l’uomo, in virtù dell’impulso del Cristo, dovrebbe redimere se stesso e, redimendo se stesso, redimere la natura, corre il rischio (tra gli altri) di andare a ingrossare la schiera di quanti vorrebbero (come gran parte degli odierni ecologisti, naturisti o animalisti) che si “tornasse alla natura”, rinnegando la modernità. Costoro polemizzano infatti con il riduzionismo di stampo meccanicistico (cartesiano), ma non sanno far altro, in genere, che opporgli un riduzionismo di stampo vitalistico o biologistico (inquinante l’atmosfera astrale più di quanto il monossido di carbonio inquini quella terrestre).
Ascoltate, ad esempio, quanto scrive in questo libro, Filosofie della natura, Mario Alcaro (docente universitario di filosofia): “La Riforma sopprime i rituali, le feste stagionali e i pellegrinaggi, abolisce il culto della Santa Vergine (in cui sopravvive il mito della grande Terra madre), dei santi e degli angeli. Elimina, infine, la sacralità dei luoghi. Inizia, così, la desacralizzazione della natura e il “disincanto” nei confronti del mondo, e si prepara quella “rivoluzione scientifica meccanicistica” che si afferma nel secolo successivo e che si struttura sulla separazione fra un mondo materiale esteso e inerte e uno spirito relegato “ad una piccola regione del cervello umano””(alla ghiandola pineale di Cartesio) (17).
Non si avvede, dunque, che l’incanto nei confronti della natura (dell’Anima mundi), rotto allora dalla Riforma, viene oggi rotto da quanti “desacralizzano” l’uomo, sostenendo ad esempio (come fa lui) che i processi mentali dell’”animale uomo” altro non sono che processi fisico-chimici (18).

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Di Lucio Russo
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