Pubblichiamo queste note a complemento dell’articolo intitolato: La “condizione eccezionale” , 29 settembre 2012.
Da:
L.Catalisano: Intorno alla riforma della dialettica hegeliana di G.Gentile (1950) – cit. in Francesco Saverio Chesi: Gentile e Heidegger. Al di là del pensiero – E.G.E.A., Milano 1992, p. 96.
Non è singolare che quello che ancora non è chiaro a molti lettori e studiosi de La filosofia della libertà sia stato invece chiaro a un filosofo come Lorenzo Catalisano?
Scrive infatti (riferendosi alla distinzione di Giovanni Gentile tra pensiero “pensante” e pensiero “pensato”): l’attualista “si imbatte suo malgrado in un concetto, che, anche se puro, è sempre un concetto: il “conceptum” del “concipere” (…) Orbene, si decida l’attualista: “conceptum” o “concipere”? (…) se ci empieva di gaudio speculativo l’idea del conceptum del concipere, siamo invece decisamente incapaci al concetto del concipere il concipere. Senza far appello ad un organo ultraspeculativo, difficilmente l’attualismo potrà convincere lo spirito del mondo della possibilità di concipere il concipere: ché se poi riuscisse in questo convincimento, alla filosofia non rimarrebbe che l’ufficio propedeutico al nobile esercizio di un pensiero che volesse pensare il nulla”.
Inutile dire che l’“organo ultraspeculativo” di Catalisano è la “coscienza immaginativa” di Steiner, e che quello ch’è, per il primo, “l’ufficio propedeutico al nobile esercizio di un pensiero che volesse pensare il nulla” è invece, per il secondo, “l’ufficio propedeutico al nobile esercizio di un pensiero che volesse” conoscere tanto la propria natura eterica quanto quella del mondo organico.
Si rifletta: se si fosse coscienti di ciò che realmente avviene quando si osserva, che so, un tavolo non si direbbe: “vedo un tavolo”, ma si direbbe: “I miei sensi sono raggiunti o colpiti da una serie di stimoli che penso, sintetizzandoli, come tavolo”.
Si saprebbe, quindi, che il tavolo è un “pensiero” (un concetto) e non una “cosa”, e che il pensare pensa sempre pensieri, e mai cose.
Ciò è talmente vero che quando il pensare pensa se stesso ha “il pensiero del pensare” (quello appunto di Gentile), ma non “il pensare”.
Il pensiero del pensare è infatti una forma determinata (un concetto o un’idea), mentre il pensare è una forza indeterminata (si potrebbe dire, oggi, “totipotente”).
E’ in virtù di questa forza indeterminata che si ha la forma determinata (“Attraverso il pensare sorgono concetti e idee”) (1).
La forma determinata, quale “concetto individualizzato” o “rappresentazione” dipendente dal nervo, sta alla forza indeterminata, frutto dell’“eterizzazione del sangue”, allo stesso modo in cui il ghiaccio sta all’acqua.
Come il ghiaccio è infatti acqua allo stato solido e l’acqua è ghiaccio allo stato liquido, così il pensiero (la rappresentazione) è pensare allo stato “solido” e il pensare è pensiero allo stato “liquido”.
Scrive appunto Steiner: “L’oggetto osservato [il pensiero] è qualitativamente uguale all’attività che su di lui si dirige [al pensare]” (2).
Da:
A.Lombroni: Il momento eccezionale – L’Archetipo – mensile di ispirazione antroposofica, anno XVII, n° 9, settembre 2012.
A.L.: “Nel descrivere le caratteristiche del pensare, Rudolf Steiner afferma che pensando un oggetto l’uomo perde la consapevolezza di sé per immergersi nell’oggetto; solo dopo, ripensando se stesso pensante l’oggetto, egli riprende le redini della coscienza e si sente consapevole d’esser stato pensatore di quel determinato pensiero”.
Questo incipit può fuorviare, poiché richiama l’attenzione sull’oggetto, sull’autocoscienza (la “consapevolezza di sé”) e sul soggetto (il “pensatore”), e non, come fa – e invita a fare – Steiner, sul pensare (“Dobbiamo dapprima considerare il pensare in modo del tutto neutrale, senza una relazione con un soggetto pensante o con un oggetto pensato”) (3).
(Anche ciò che poco dopo segue, ossia la libera ricostruzione del famoso scambio di vedute tra Goethe e Schiller riguardo alla natura della Urpflanze, non ha a che fare con il pensare, bensì con l’idea.)
Ciò può far dimenticare che la “condizione eccezionale” è lo stato in cui volutamente ci si pone per osservare il pensare (non l’oggetto, l’autocoscienza, il soggetto o l’idea), e che il “momento eccezionale” arriva soltanto quando, dopo aver assunto tale posizione, ci si avvede o si realizza:
1) che il pensare non lo si può pensare, dal momento che non appena lo si pensa non si ha più “il pensare”, bensì “il concetto, l’idea o la rappresentazione del pensare”;
2) che il pensare lo si può solo percepire, e che questa percezione è in realtà un’autopercezione dell’Io sul piano eterico o, nelle parole di Steiner, “una percezione nella quale è attivo lo stesso percipiente” e “in pari tempo un’auto-attività che viene percepita” (4) (“E’ l’io stesso che, stando nel pensare, osserva la propria attività” [5]; “Solamente nell’attività pensante l’”io” sa che, fin dentro in tutte le ramificazioni di quell’attività, il suo essere è una sola cosa con l’elemento attivo” [6]).
Fatto si è che come tutto ciò che Mida toccava si trasformava in oro, così tutto ciò che il pensare pensa si trasforma in “pensato”.
Il paradosso, dunque, è che bisogna cercare di pensare od osservare il pensare per arrivare a scoprire che non lo si può pensare od osservare, ma esclusivamente percepire o sperimentare (conoscere per esperienza diretta).
A.L.: “Nel momento in cui l’attività dell’Io pensante agisce veramente al 100%, non posso dire d’esserci, perché manco come coscienza di me, di quel che faccio”.
Ecco di nuovo in primo piano il soggetto e l’autocoscienza, e non il pensare.
E’ vero, “nel momento in cui l’attività dell’Io pensante agisce veramente al 100%, non posso dire d’esserci” quale Io pensato (poiché viene meno la “coscienza di me” come ego); posso però dire che c’è il pensare e scoprire che, risalendone la corrente o il movimento, mi è data la possibilità di riconoscermi e sperimentarmi quale Io pensante (Sé spirituale).
Da:
A.Lombroni: L’intermittenza interiore – L’Archetipo – mensile di ispirazione antroposofica, anno XVII, n° 10, ottobre 2012.
A.L.: “Nel caso del momento produttivo mi trovo di fronte a una “percezione”! Percezione del pensare, si capisce, ma sempre percezione!
E’ una percezione davvero singolare, perché diversamente da quanto accade di solito in ogni atto di conoscenza, in cui non so quale sia la segreta struttura del dato percettivo che mi compare davanti, qui invece so sin dall’inizio che l’oggetto del mio pensare è lo stesso pensare; quel pensare che non sono ancora autorizzato a definire “mio”, ma che si presterebbe a diventarlo ogni volta che lo volessi. Posso paragonarlo all’aria che respiro; non posso mai respirare tutta l’aria che c’è, né posso conoscere dell’aria che quella parte di essa che faccio entrare e uscire dai polmoni; e la cosa non mi crea imbarazzo né mi si propone in dilemma di sdoppiamento; la riconosco come necessaria ed essenziale condizione biologica, suddivisibile, per chi voglia ad ogni costo suddividere, nei due momenti di entrata e uscita”.
Il riconoscimento, come dice Steiner, che “l’oggetto osservato è qualitativamente uguale all’attività che su di lui si rivolge” non è frutto della “percezione” del pensare (del suo “momento produttivo”), bensì della sua “osservazione” (“Quando si prende il pensare come oggetto dell’osservazione…” (7).
In realtà, la “percezione” del pensare è “davvero singolare” perché è un’autopercezione.
Il paragone con l’aria infine non regge. Ciò che “faccio entrare e uscire” dal pensare sono infatti i concetti o le idee (che sono, come l’aria, “mondo”), e non il pensare stesso (ch’è una “mia” attività).
Regge invece il paragone (e più di quanto s’immagini) del pensare con il respirare: com’è infatti in virtù dell’attività respiratoria che parte dell’aria entra ed esce dai polmoni, così è in virtù dell’attività pensante che parte dei concetti o delle idee entra ed esce dal pensare (e dalla coscienza).
P.S.
Una domanda: è casuale che lo sforzo di Steiner di portare alla nostra coscienza, grazie al pensare, la realtà eterica venga fatto in concomitanza del suo annuncio del ritorno del Cristo nel mondo eterico?
Note:
1) R.Steiner: La Filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p. 48;
2) ibid., p. 39;
3) ibid., p. 43;
4) ibid., p. 217;
5) ibid., p. 46;
6) Ibid., p. 45;
7) ibid., p. 39.