“Con queste premesse consideriamo il filosofo René Descartes che operò quando già era in corso l’epoca dell’anima cosciente (visse dal 1596 al 1650). L’esile ponte di collegamento che egli ha col mondo dello spirito (col vero essere), è l’esperienza: “Io penso, dunque sono”. Nel centro dell’autocoscienza, dell’io, egli cerca di sentire la realtà; e proprio solo quel tanto che gli può dire l’anima cosciente.
E di tutto il resto della spiritualità egli cerca di rendersi conto per via intellettualistica, investigando in quale misura la certezza della propria autocoscienza garantisca la certezza di altre cose. Di fronte a tutte le verità che trova tramandate storicamente, egli chiede: “Sono esse chiare quanto l’”io penso, dunque sono”?”. E se può affermarlo, le accetta” (p. 120).
Cartesio è il simbolo filosofico della modernità. Hegel lo definisce un “eroe” e scrive: “Cartesio prese le mosse da questo, che il pensiero doveva procedere dal suo stesso interno; tutto il precedente modo di filosofare, specialmente quello che muoveva dall’autorità della Chiesa, fu da allora in poi abbandonato” (13).
(Vi ho già ricordato, una sera [lettera 12 ottobre 1924], che quello che per Hegel è un “eroe”, per Giovanni Paolo II è invece una sorta di “malfattore”, in quanto responsabile di aver sostituito la filosofia dell’esse o l’ontologia con la filosofia del cognosco o con la gnoseologia [14].)
Attraverso il celeberrimo cogito, ergo sum emerge dunque l’autocoscienza e si consolida il dualismo tra la res cogitans e la res extensa o tra il soggetto (l’ego) e l’oggetto (il non-ego).
Ma si tratta di un’autocoscienza grama (basata su “quel tanto che gli può dire l’anima cosciente”), giacché lo spirito le si dà come un ego, mentre tutto il resto del mondo (“tutto il resto della spiritualità”) le si dà come un non-ego: come un non-ego, per quanto riguarda la natura, perfino “meccanico”.
(Conoscete Li soprani der monno vecchio del Belli? “C’era una vorta un Re cche ddar palazzo / Mannò ffora a li popoli st’editto: / “Io so io, e vvoi nun zete un c…”” [15]. Scusate la parolaccia, ma sarebbe imperdonabile mettere la foglia di fico al Belli.)
L’ego, insomma, non è che un “punto”; un punto dal quale può però germogliare, come da un seme, l’Io: ossia lo spirito (l’Io) come mondo e il mondo come spirito (Io).
E’ in questo momento che il pensare si scinde dal volere, la conoscenza dalla moralità o, potremmo anche dire, il conscio dall’inconscio.
Si consolidano infatti, nel conscio (nel pensare), le rappresentazioni “chiare e distinte” (quelle moralmente “neutre” della matematica e della geometria), mentre s’inabissano, nell’inconscio (nel volere), le immaginazioni e le ispirazioni veicolanti gli impulsi (le intuizioni) morali.
Immaginate, ad esempio, che qualcuno sogni di uccidere il proprio padre. Come interpreterebbe questo sogno un cartesiano? E’ presto detto: come una mera assurdità o come un abietto desiderio.
Il suo esprit de géométrie gli imporrebbe infatti di prenderlo alla lettera, impedendogli così di cogliervi la manifestazione (simbolica o immaginativa) di un’ispirazione morale (risalente appunto dall’inconscio).
A che cosa mira tale ispirazione? A che il soggetto (il conscio) realizzi che, per diventare un vero Io (uno “spirito libero”), deve superare la dipendenza dall’autorità (dal “super-io” di Freud, dal “conscio collettivo” di Jung o, a un superiore livello, dallo spirito veterotestamentario).
Come vedete, uno stesso impulso appare immorale se viene impropriamente riferito al piano materiale, mentre si rivela morale se viene propriamente riferito a quello spirituale.
La forma mentis cartesiana non può però riferirlo al piano spirituale, poiché conosce la moralità codificata (dall’intelletto), ma non conosce (né è in grado di conoscere) la moralità vivente.
Tuttavia, come il pensiero reale è il pensiero vivente, così la moralità reale è la moralità vivente.
E in che cosa consiste la moralità vivente? Lo abbiamo detto: nel fare liberamente, e per amore, la volontà del mondo spirituale o di Dio (che non è altra, anche questo lo abbiamo detto, da quella del nostro vero Io).
Ma come potremmo fare la volontà di Dio se non la conoscessimo e non capissimo in qual modo si manifesta nel profondo di ciascuno di noi?
C’è da aggiungere che quando si riesce a conoscere o riconoscere tale volontà si fa anche un’altra scoperta: insieme alla volontà (santa) dell’Io, si scopre quella dell’ego che l’avversa e le si oppone (nella stessa misura in cui è preda di Lucifero e Arimane).
Vedete, la fantasia di uccidere il proprio padre, emersa nel sogno che abbiamo preso ad esempio, non agisce soltanto durante la notte, ma anche (inconsciamente) durante il giorno, magari manifestandosi, nella sfera del sentire (e non solo nei confronti del proprio genitore), come antipatia, avversione, odio o paura.
E’ per questa ragione che, nel mio Freud, Jung, Steiner (16), ho parlato della necessità di opporre, al patogeno acting out, un salutare acting into.
Quando si ha un acting out? Quando la fantasia, scendendo dall’anima al corpo, si traduce in un’azione o in un comportamento concreto; e quando si ha un acting into? Quando la stessa fantasia, salendo dall’anima allo spirito, si traduce in un cambiamento o in una crescita morale.
Teniamo comunque presente che la moralità vivente supera o va oltre quella normativa o eteronoma, ma non l’abolisce (né le si ribella istericamente, né l’invoca e al tempo stesso la teme nevrastenicamente).
(“Riguardo alla convivenza umana, non c’è nulla che Lucifero detesti di più di ciò che emana odore di legge. Arimane, invece, vorrebbe che si legiferasse, che si scrivessero leggi per ogni cosa” [17].)
“Non pensate – dice il Cristo-Gesù – che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17).
Non facciamoci dunque illusioni: l’”individualismo etico” di cui parla La filosofia della libertà è un ideale che ispira e orienta costantemente il nostro cammino, ma è al tempo stesso una meta (un “compimento”) che siamo ancora ben lungi dall’aver conquistato o raggiunto.
“In un pensare siffatto, non è forse espulso lo spirito da ogni concezione rivolta alle cose del mondo? La manifestazione dello spirito si è ridotta al minimo sostegno nell’autocoscienza; tutto il resto si dimostra immediatamente senza rivelazione spirituale. Su ciò che giace al di fuori dell’autocoscienza può venir gettato un raggio di quella rivelazione spirituale solo mediatamente, attraverso l’intelletto nell’anima cosciente.
In certo qual modo l’uomo di quest’epoca fa fluire in un’intensa nostalgia, verso il mondo spirituale, il contenuto ancora quasi vuoto della sua anima cosciente. Un raggio sottile vi irradia” (p. 120).
E’ noto che due rette, intersecandosi, realizzano la figura degli “angoli opposti al vertice”. Il loro punto d’intersezione si presta però a essere visto, sia come il punto di arrivo (l’omega) delle due semirette che formano (chiudendosi) l’angolo interno inferiore, sia come il punto di partenza (l’alfa) delle due semirette che formano (aprendosi) l’angolo interno superiore.
Si tratta di un punto che può pertanto simboleggiare l’Io, dal momento che questo è tanto il punto di arrivo del passato processo evolutivo (quello del vecchio Adamo) quanto il punto di partenza del futuro processo evolutivo (quello del nuovo Adamo).
Abbiamo infatti, dietro di noi, un’evoluzione che dall’antico Saturno (corpo fisico), attraverso l’antico Sole (corpo eterico) e l’antica Luna (corpo astrale), è arrivata alla Terra (all’Io), mentre abbiamo, davanti a noi, un’evoluzione che, partendo dalla Terra (dall’Io), attraverso Giove (Sé spirituale) e Venere (Spirito vitale), arriverà un giorno a Vulcano (Uomo spirituale).
Come siamo partiti dunque un tempo dal corpo fisico per arrivare all’Io, così dobbiamo partire adesso dall’Io per arrivare al corpo fisico.
Soltanto il Cristo, però, può darci la forza necessaria a trasformare l’Io nel punto di partenza del processo di trasformazione del corpo astrale in “Sé spirituale”, del corpo eterico in “Spirito vitale” e del corpo fisico in “Uomo spirituale”.
L’autocoscienza cartesiana (intellettuale) è dunque un punto di arrivo (un ego), e in quanto tale un caput mortuum.
Ricordiamoci ch’è necessario comunque difendere tale coscienza (“Nessuno tocchi Caino”) dal moralismo di quanti la condannano e avversano, dal momento che l’ego sta all’Io come il feto sta all’uomo adulto.
Teniamo altresì conto che tutto questo discorso rimarrebbe astratto, se non ci fosse data la possibilità di sviluppare l’autocoscienza mediante lo sviluppo pratico del pensiero.
Lo dimostra il fatto che quando si riescono a superare la piattezza e l’inerzia del rappresentare ordinario, subito si riscoprono lo spessore e il valore morale del pensiero.
Dice Steiner: “In certo qual modo l’uomo di quest’epoca fa fluire in un’intensa nostalgia, verso il mondo spirituale, il contenuto ancora quasi vuoto della sua anima cosciente”.
Perduto il mondo dello spirito (“Il paradiso perduto”), sorge appunto la nostalgia: ma una nostalgia che può portarci anche a rinnegare (lucifericamente) la modernità, trasformandoci così (in una forma o nell’altra) in dei laudatores temporis acti.
Sapete che cosa mi disse un giorno Scaligero? Mi disse: “Il dolore è un’idea che non s’incarna”.
Questo pensiero mi colpì profondamente. Ogni idea (ideale) somiglia infatti a una creatura che voglia venire al mondo, ma che, non trovando chi sia disposto ad accoglierla, si veda costretta ad aggirarsi nei pressi della Terra, nella speranza che qualcuno, prima o poi, le conceda d’incarnarsi, e di poter così affrontare le prove dell’esistenza terrena.
Come noi patiamo, insomma, la nostalgia del cielo, così le idee patiscono la nostalgia della Terra.
“Gli esseri del mondo spirituale immediatamente adiacente al mondo terreno e le anime umane sulla terra trovano difficoltà ad accostarsi reciprocamente. Solo tra massimi ostacoli l’anima umana partecipa con la sua esperienza alla preparazione soprasensibile di Michele per la sua futura missione” (p. 121).
Si tratta della stessa difficoltà che trova la coscienza ordinaria (cartesiana di fatto) ad accostarsi al sogno (all’immaginazione), al sonno (all’ispirazione) e alla morte (all’intuizione).
Per superare questa difficoltà, le anime umane dovrebbero guadagnarsi la capacità di penetrare davvero nel profondo. Non c’è niente di peggio, infatti, che ostinarsi, più o meno deliberatamente, a rimanere in superficie (come fa il materialismo).
Consideriamo, ancora una volta, la psicoanalisi: vorrebbe essere una “psicologia del profondo”, ma non si avvede che potrebbe essere tale solo una psicologia nella quale la profondità dell’oggetto d’indagine (l’inconscio) si coniugasse con la profondità del pensiero (del conscio) del soggetto indagatore.
Tutto ciò che nasce, lo sappiamo, nasce dalle forze regolari o soccorritrici; quelle luciferiche e arimaniche sono infatti forze irregolari od ostacolatrici, ma non creatrici (recita la preghiera per i defunti: “Dallo Spirito proviene ogni esistenza / nello Spirito è radicata ogni vita / verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri”).
Torniamo, per esemplificare, al sogno del patricidio. Abbiamo visto che l’ispirazione originaria è positiva, in quanto sollecita il sognatore a crescere, a rendersi maggiormente autonomo o a essere più Io (oppure, secondo le indicazioni di Steiner, a non soggiacere, quale corpo eterico e corpo astrale – materni o femminili -, al corpo fisico e all’ego – paterni o maschili).
Tale ispirazione, proveniente dalla sfera (astrale) del sonno, si è tuttavia tradotta, in quella (eterica) del sogno, in un’immaginazione che può ingannare (come ha ingannato Freud) in quanto attinge quasi sempre al bagaglio dei ricordi, e quindi alle esperienze sensibili (in forma d’immagini mnemoniche).
Sentite che cosa dice Steiner: “Si abitua a poco a poco a orientarsi nell’intricato svolgersi della vita onirica colui che si accorge che nel sogno si deve tener poco conto di ciò che si presenta magicamente in immagini davanti all’anima, perché queste immagini vengono formate dal corpo eterico rimasto nel letto, il quale porta veramente in sé i pensieri, le rappresentazioni” (18). Non solo, ma sentite pure quanto dice qui: “Se l’impulso luciferico opera in noi in modo errato, portiamo troppa vita di veglia nella vita di sonno. Vi sorgono allora sogni che ricordano troppo la vita di veglia” (19).
Dobbiamo fare quindi attenzione, poiché, come nel primo passaggio, quello dalla sfera delle ispirazioni (del “contenuto latente”, direbbe Freud) a quella delle immaginazioni (del “contenuto manifesto”, direbbe sempre Freud), interviene la “traviatrice potenza luciferica”, così nel secondo passaggio, quello dalla sfera delle immaginazioni a quella delle rappresentazioni (alla sfera di veglia di chi interpreta il sogno), interviene l’ingannevole potenza arimanica.
Questi interventi mirano ad alterare o deformare l’ispirazione originaria (proveniente dagli “esseri del mondo spirituale immediatamente adiacente al mondo terreno”), quando non addirittura a capovolgerla, tramutando ad esempio l’amore in odio o il bene in male.