Massime antroposofiche
131/132/133 – 3°

M

Riguardo a ciò che si svolgeva nel fisico, il mondo non veniva apparentemente per nulla toccato da questo sforzo spirituale. Eppure tutto questo era necessario per mettere le anime nel voluto contatto col mondo di Michele. Non si trattava di “società segrete” in un senso cattivo qualsiasi, non di qualcosa che cerca il segreto perché teme la luce del giorno. Si trattava piuttosto di un’unione di persone che in tale unione si convincevano che chi era con loro aveva una giusta coscienza della missione di Michele. Quelli che così lavoravano non parlavano del loro lavoro davanti a chi, per incomprensione, non avrebbe potuto far altro che disturbare il loro compito. Tale loro compito consisteva innanzi tutto nell’agire in correnti spirituali che non si svolgevano entro la vita terrena, ma nel mondo spirituale ad essa adiacente, in correnti che però proiettavano i loro impulsi nella vita terrena” (pp. 127-128).

Immaginate una sorgente da cui sgorghi un’acqua che, opportunamente incanalata, sia pronta a giungere ovunque ce ne sia bisogno, ma che un’ostruzione le impedisca di farlo.
Ebbene, l’ego (non l’Io) è per l’appunto un’ostruzione che impedisce alle correnti del mondo spirituale (e in primo luogo a quella di Michele) di raggiungere, attraverso ciascuno di noi, il mondo.
Tali correnti sgorgano dallo spirito (dal Logos), ma quando arrivano a noi s’ingorgano e ristagnano, perché l’ego (ossia, la coscienza materiale o corporea dell’Io) se ne appropria (indebitamente), per affermare se stesso, e non il mondo.
“Il rattenimento – scrive appunto Scaligero – è la formazione subconscia della paura. Il principio dell’impotenza (…) La soluzione del rattenimento è l’attuarsi del volere solare. L’attuarsi di questo volere è il donarsi. E’ moto del pensiero, ma del pensiero che sa immergersi puro nel mondo” (15).
Le persone alle quali si riferisce qui Steiner (i Rosacroce) si disponevano quindi, sciogliendo il rattenimento egoico, ad aprire e offrire la loro anima, così che, attraverso di essa, il mondo potesse essere fecondato dalle forze evolutive dello spirito (“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” – Mt 8,20).
(Approfitto per segnalarvi che è stato da poco ristampato L’illuminismo dei Rosa-Croce [16]: libro che testimonia dell’azione svolta da tale “unione di persone” per preparare e favorire la nascita del pensiero scientifico.)

Con ciò abbiamo indicato il lavoro spirituale di uomini che stanno nel mondo fisico, ma che cooperano con esseri del mondo spirituale, con esseri che non entrano essi stessi nel mondo fisico e non vi si incarnano. Si tratta di quegli uomini che nel mondo – in modo molto poco conforme ai fatti – si chiamano i “rosicruciani”. Il vero rosicrucianesimo sta assolutamente nella linea d’azione della missione di Michele. Esso aiutò a preparare sulla terra il lavoro spirituale che Michele voleva preparare per un’epoca posteriore” (p. 128).

Per quale ragione Steiner sente il bisogno di dire che “si tratta di quegli uomini che nel mondo – in modo molto poco conforme ai fatti – si chiamano i “rosicruciani”” o di parlare di un “vero rosicrucianesimo” (corsivo nostro)?
E’ presto detto: perché i veri membri di questa “Fraternitas” mai dichiarerebbero di farne parte, né tantomeno se ne vanterebbero (giacché non ricercano, come si usa oggi dire, la “visibilità”, bensì, semmai, l’”invisibilità”).
Ascoltate: “Dovette cercare una via spirituale chi, dopo il tredicesimo, quattordicesimo secolo, ma soprattutto a partire dal quindicesimo, aspirava ad acquistare un vero insegnamento rosicruciano. I templi dei rosacroce erano infatti estremamente nascosti per l’esperienza fisica esteriore, molti autentici rosacroce li frequentavano, ma nessun occhio umano fisico poteva scoprire quei templi. Poteva darsi però che dei discepoli giungessero a quei vecchi rosacroce i quali si trovavano sparsi qua e là, come eremiti del sapere e del santo operare umano. Esprimendomi in questo modo non faccio alcuna affermazione impropria: non enuncio un’immagine, ma una ben precisa realtà che nell’epoca alla quale sto accennando aveva un suo grande significato. Si poteva trovare il maestro rosacroce, solo dopo aver appreso a riconoscere il linguaggio del cielo in un mite e luminoso sguardo fisico. Chi questa facoltà aveva sviluppato, proprio nel Trecento, nel Quattrocento poteva incontrare nell’Europa centrale, e nelle più umili, più modeste condizioni d’ambiente, certe singolari personalità: erano ripiene di Dio nel loro intimo e connesse con dei templi spirituali realmente esistenti, il cui accesso era però tanto arduo quanto la nota leggenda ci narra che fosse l’accesso al santo Gral (…) Un maestro rosacroce veniva scoperto nella sua solitudine da un discepolo che aveva sudato sette camicie per cercarlo e trovarlo” (17).
Se non vogliamo illuderci o ingannarci, sarà bene prendere dunque le distanze da quei “praticoni” nei quali “l’attivismo – come afferma Scaligero – sostituisce l’attività del pensiero”, riflettendo a fondo su queste parole: “Con ciò abbiamo indicato il lavoro spirituale di uomini che stanno nel mondo fisico, ma che cooperano con esseri del mondo spirituale, con esseri che non entrano essi stessi nel mondo fisico e non vi si incarnano” (corsivo nostro).
(Afferma ancora Scaligero: “L’associazione spirituale si inizia per lo spirito e, a un dato momento, prevalendo in essa gli organizzatori, diviene inavvertitamente condizione allo spirito [extra societatem nulla salusnda]: come se lo spirito fosse luogo, accademia, situazione esteriore” [18].)
Avverte del resto Steiner (ve lo rileggo): “Capire nel profondo della propria anima la scienza dello spirito è per molti versi qualcosa del tutto diverso di quanto s’immaginano molti che fanno conto di appartenere al movimento antroposofico” (19).
Guardiamoci pertanto dall’etichettare questo o quello come “rosicruciano”, poiché non è affatto facile, come abbiamo appena visto, riconoscere coloro in cui è davvero presente e vivo tale impulso; a maggior ragione, poi, se si tiene conto del fatto, come ricorda Steiner e come già sappiamo, “che gli uomini i quali veramente sanno, sono i più modesti, e che ben lungi da loro è il desiderio di quello che gli uomini chiamano potere” (20).
Sarà forse il caso di aggiungere che gran parte degli equivoci discende dal fatto che, nell’incapacità di concepire, e tanto meno sperimentare, la praticità spirituale (del volere nel pensare), si finisce col darsi (in funzione della propria natura) o alla praticità materiale (dell’ordinario volere) o all’astratta spiritualità (del pensare dell’anima razionale-affettiva).
(Si rifletta, a questo proposito, sulla seguente affermazione di Steiner: “Sono persino convinto che se avessi studiato nel senso usuale filosofia invece di venir educato in un Politecnico, trovandomi quindi inserito nell’odierno mondo della tecnica, non avrei scritto La filosofia della libertà; essa è infatti l’aspetto polare dell’esperienza del puro fatto” [21].)
La miglior cosa da fare, al riguardo, è comunque quella (lo ripeto) di ri-leggere e ri-meditare le due appendici (intitolate: La fonte di questo insegnamento e Perché un’associazione spirituale viva) che chiudono il Dell’amore immortale di Scaligero).

Si misura che cosa poteva avvenire per questo mezzo, se si fa attenzione a quanto segue.
Le difficoltà caratterizzate, anzi l’impossibilità di Michele di agire nelle anime umane, dipendono dal fatto che egli stesso, col suo essere, non vuol venire in alcun modo in contatto con la presente vita fisica terrena. Egli vuol restare nell’ambito dei nessi di forze che esistevano in passato per spiriti della sua specie e per uomini. Qualsiasi contatto con l’attuale vita terrena fisica, con la quale l’uomo deve invece venire in contatto, non potrebbe apparire a Michele che una contaminazione della sua entità. Ora, nella vita umana abituale, lo sperimentare spirituale dell’anima ha i suoi effetti sulla vita terrena fisica, e questa reagisce su quello. Un reagire che si esprime specialmente nell’atteggiamento dell’uomo e nell’orientamento verso un dato obiettivo terreno. Tali azioni e reazioni avvengono generalmente – non sempre – soprattutto nelle persone che si dànno alla vita pubblica. Furono perciò veramente assai grandi gli ostacoli che l’opera di Michele trovò in alcuni riformatori
” (pp. 128-129).

Torniamo ad esempio a Hus. Nel suo caso, l’opera di Michele trovò ostacoli “assai grandi”, perché la volontà di riforma morale e religiosa che lo animava si venne a intrecciare con la volontà politica dei Boemi, che ambivano a scrollarsi di dosso l’egemonia tedesca. Hus divenne così un eroe nazionale; ma quando non servì più allo scopo, non solo non venne protetto, ma fu addirittura consegnato (in modo subdolo) ai suoi carnefici.
Com’è noto, anche nel caso di Lutero vennero a mescolarsi e confondersi motivi religiosi, politici, sociali ed economici (basti pensare alle lotte per impadronirsi dei beni espropriati alla Chiesa di Roma o alle rivolte contadine del 1524).
Come salvaguardare dunque la propria missione se non dando a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio?

I rosicruciani superarono questo genere di difficoltà, separando totalmente la loro vita esteriore, con i suoi doveri terreni, dal lavoro che facevano con Michele. Quando Michele, con i suoi impulsi, si incontrava con ciò che un rosicruciano preparava per lui nella sua anima, egli non si trovava in alcun modo esposto al pericolo di imbattersi in elementi terreni. Per la disposizione d’anima che si era appositamente creata, questi elementi venivano appunto tenuti lontani da quanto legava il rosicruciano a Michele.
La vera volontà rosicruciana costituì così per Michele la via, che si trovava nell’àmbito terreno, per la sua futura missione sulla terra
” (p. 129).

Sappiamo, ormai, che questa “futura missione sulla terra” è quella che comincia nel 1879.
Le considerazioni che abbiamo fatto sono pertanto “datate”, poiché si riferiscono a un’epoca che doveva soltanto preparare il futuro avvento di una nuova reggenza dell’Arcangelo Michele. Lo sono solo in parte, però, giacché hanno comunque a che fare, come abbiamo visto, con l’anima cosciente e, in particolare, col “Guardiano della soglia”.
Parte di ciò che fu allora “strettamente necessario”, vale dunque ancor oggi, e sarebbe imprudente non tenerne conto.
Ascoltate questi versi di Goethe (da Alla luna) (22):

Beato chi senza alcun odio
si segrega dal mondo,
tiene al petto un essere amico
insieme a lui godendo

di quello che gli uomini ignorano
o forse disprezzano,
e che pei labirinti del cuore
di notte va errando.

Leggiamo adesso, senza commento, le massime.

131) “Nell’incipiente epoca dell’anima cosciente l’intellettualità emancipata nell’uomo si vuole occupare delle verità del culto e della confessione religiosa. La vita dell’anima umana deve perciò sperimentare delle incertezze. Si vuole dimostrare con la logica un’essenzialità che era stata prima sperimentata animicamente. Si vogliono comprendere con l’argomentazione logica – anzi configurare a norma di quest’ultima – i contenuti cultuali che devono essere colti in immaginazioni”.

132) “Tutto ciò è legato al fatto che Michele vuole evitare in qualsiasi maniera ogni contatto col presente mondo terreno in cui l’uomo deve invece entrare, e al fatto che Michele deve tuttavia continuare ad accompagnare nell’uomo l’intellettualità cosmica che egli ha amministrata nel passato. Così sorge per opera delle forze di Michele una perturbazione dell’equilibrio cosmico, necessaria al processo dell’evoluzione del mondo”.

133) “La sua missione è agevolata a Michele dal fatto che certe personalità – i veri rosicruciani – dispongono la loro vita terrena esteriore in modo che essa non influisca per nulla sulla vita interiore della loro anima. Così essi possono educare nella loro interiorità forze per cui cooperano nella spiritualità con Michele, senza che questi corra il rischio di venir impigliato nei presenti eventi terreni; cosa che gli sarebbe impossibile”.

Note:

1) cfr. Anselmo: Proslogion – Rusconi, Milano 1996;
2) cfr. Della Trinità, 30 giugno 2006 e Ancora sulla Trinità, 1 settembre 2006;
3) Roland H.Bainton: Lutero – Einaudi, Torino 2003, pp. 110-111;
4) B.Mussolini: Giovanni Huss il veridico – EDINAC, Roma 1948, p. 124;
5) ibid., p. 50;
6) D.Christie-Murray: I percorsi delle eresie – Rusconi, Milano 1998, pp. 168-169;
7) C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, pp. 288-289;
8) G.Verucci: Idealisti all’indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’uffizio – Laterza, Roma-Bari 2006, p. 194;
9) R.Steiner: Gli enigmi della filosofia. L’evoluzione del pensiero da Ferecide a Max Stirner – Tilopa, Roma 1987, p. 68;
10) R.Steiner: I mistici all’alba della vita spirituale dei tempi nuovi – Libritalia, Città di Castello (PG) 1997, p. 109;
11) R.Steiner: Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa, Roma 1984, pp. 60-61;
12) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 20;
13) ibid., p. 17;
14) R.Steiner: Una via per l’uomo alla conoscenza di se stesso in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p. 90;
15) M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, pp. 152, 155;
16) cfr. Yates Frances A.: L’illuminismo dei Rosa-Croce – Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi) 2011;
17) R.Steiner: La storia alla luce dell’antroposofia – Antroposofica, Milano 1982, pp. 124-125;
18) M.Scaligero: op. cit., pp. 309 e 316;
19) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, p. 243;
20) R.Steiner: L’iniziazione, p. 34;
21) cit. in G.Roggero: Fiducia nel pensare. La formazione filosofica di Rudolf Steiner – Tilopa, Roma 1995, p. 92;
22) J.W.Goethe: Cento poesie – Einaudi, Torino 2011, p. 65.

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Di Lucio Russo
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