Massime antroposofiche
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M

(…) E nel mondo terreno i popoli si evolvono in modo da conservare per periodi di varia durata l’una o l’altra concezione del mondo; coesistono così l’una accanto all’altra delle concezioni del mondo che, secondo la loro natura, sarebbero susseguenti. – Tuttavia le diverse concezioni del mondo dei popoli non dipendono solo da questo, ma anche dal fatto che, a seconda delle loro disposizioni, i diversi popoli vedevano fatti diversi” (p. 150).

Non è forse questa la tomba del cosiddetto “relativismo culturale”?
Facciamo un banale esempio, servendoci, per comodità, delle famose fasi evolutive della libido, così come le ha indicate Freud, che ha distinto una fase “orale”, una fase “anale” e una “genitale”.
Nello spazio tali fasi possono coesistere (orizzontalmente), così che un individuo (popolo), che so, “orale” può vivere (a pieno diritto) accanto a un altro individuo (popolo) magari “genitale”. Nel tempo emerge però (verticalmente) la diversità dei loro livelli evolutivi (che dovrebbe comportare il dovere, da parte del più evoluto, di porsi al servizio del meno evoluto, come indicato dall’evangelica “lavanda dei piedi”).
Ma quale “scherzo” fa l’ordinaria coscienza spaziale e quantitativa? Pretende che la coesistenza spaziale offuschi o cancelli ogni differenza qualitativa e, soprattutto, gerarchica.
Dice Steiner che “le diverse concezioni del mondo dei popoli” dipendono “anche dal fatto che, a seconda delle loro disposizioni, i diversi popoli vedevano fatti diversi”.
Abbiamo infatti detto, poc’anzi, che una stessa entità spirituale (o una stessa pluralità di entità) può presentarsi in un popolo in una forma e in un altro popolo in un’altra, perché lo specchio (immaginativo) in cui si riflette non è lo stesso.
Sappiamo, infatti, che l’intuizione e l’ispirazione stanno al di sopra della soglia, mentre l’immaginazione e la rappresentazione ne stanno al di sotto: cioè al livello della natura, e quindi di una realtà karmicamente signata.
E’ per questo, dunque, che una stessa entità (o una stessa pluralità di entità), riflessa nello specchio A, prende la forma A, riflessa nello specchio B, prende la forma B.
(Chi volesse farsi un’idea delle possibili variazioni di uno stesso “tema archetipico” consulti: L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell [15] o il Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade [16].)

(…) All’antica “storia celeste” propriamente detta, che durò un lunghissimo periodo di tempo, segue la “storia mitologica”, più breve, ma tuttavia ben lunga in confronto alla “storia” vera e propria che le tenne dietro.
Come ho già detto, gli uomini abbandonano a fatica nella loro coscienza le concezioni antiche nelle cui rappresentazioni gli dèi e gli uomini collaborano insieme. – Così, mentre già da un pezzo esiste la vera e propria “storia terrena” – dallo sviluppo dell’anima razionale o affettiva in poi – l’uomo tuttavia “pensa” alla stregua di ciò che è stato. Solo quando si sviluppano i primi germi dell’anima cosciente, si comincia a rivolgere lo sguardo alla “storia vera e propria”.
E in ciò che, staccato dal divino-spirituale, quale spiritualità umana diviene “storia”, può venir sperimentata dall’uomo la libera intelligenza e la libera volontà
” (pp. 150-151).

Pensate, ad esempio, a La scienza nuova (17) di Giambattista Vico (1668-1744). Qual è questa “scienza nuova”? E’ per l’appunto la “storia”, quale creazione dell’uomo (e, attraverso l’uomo, della terza Gerarchia), e non della natura.
Certo, Vico dice: “La verità è nello stesso fare” (“Verum ipsum factum”), mentre noi, guardando alla seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente (quella scientifico-spirituale) e memori dell’insegnamento de La filosofia della libertà, dovremmo dire: “La verità è nello stesso pensare da cui discende il fare”.
Quanti si rivolgono alla natura si rivolgono dunque alla necessità, cioè all’opera compiuta o, al massimo (come nel caso di Goethe), all’effetto operante, mentre quanti si rivolgono alla storia si rivolgono, o dovrebbero rivolgersi, all’animico-spirituale: laddove operano, cioè, “la libera intelligenza e la libera volontà” dell’uomo.

Così il divenire del mondo, in cui l’uomo è intessuto, trascorre tra ciò che è pienamente “calcolabile” e l’azione della libera intelligenza e della libera volontà. E il divenire del mondo si manifesta in tutte le sfumature intermedie della reciproca azione delle due correnti” (p. 151).

La “reciproca azione” del “calcolabile” e dell’”incalcolabile” potrebbe essere messa in rapporto con quella della “tecnica morale” e della “fantasia morale”, di cui parla La filosofia della libertà.
Quando s’intende modificare il creato, ci si deve infatti inserire, grazie alla tecnica morale, in ciò che già esiste (nel “calcolabile”), per poterne così orientare lo sviluppo nella direzione suggerita dalla fantasia morale (dall’“incalcolabile”).
Ciò che “già esiste” è la necessità, mentre ciò che l’orienta verso ciò che “vorrebbe esistere” o che “esisterà” è la libertà.

L’uomo compie la sua vita fra nascita e morte in modo che nel “calcolabile” [nel quantitativo] gli viene creata la base corporea per lo sviluppo dell’interiore libero elemento animico-spirituale “incalcolabile” [qualitativo-essenziale] . Egli trascorre la sua vita fra morte e nuova nascita nell’”incalcolabile”, ma in modo che ivi, come nell’”intimo” dell’essere animico-spirituale, ciò che è “calcolabile” gli si dispiega in forma di pensiero. Partendo da questo elemento calcolabile, egli diventa così il costruttore della sua futura vita terrena.
Nella “storia” vive e si svolge sulla terra l’”incalcolabile” nel quale però si insinua il calcolabile, anche se debolmente.
Gli esseri luciferici e arimanici si oppongono all’ordine stabilito fra incalcolabile e calcolabile dagli esseri divino-spirituali, collegati con l’uomo sin dai suoi primordi; si oppongono all’armonizzazione del cosmo mediante “peso, numero e misura”
” (p. 151).

Ricordate ciò che dissi quando parlammo dell’inspirazione e dell’espirazione (nonché della sistole e della diastole)? Dissi che, se dipendesse dall’inspirazione, non espireremmo mai, così come, se dipendesse dall’espirazione, non inspireremmo mai.
Lo dissi per mettere in evidenza l’esistenza di una terza e superiore realtà che costringe l’espirazione e l’inspirazione ad alternarsi secondo un dato ritmo.
Ebbene, con Lucifero e Arimane dovremmo fare la stessa cosa: dovremmo cioè, quali terzi (quali Io inabitati dal Cristo) imporre loro un’alternanza, così che Lucifero limiti le pretese di Arimane, e Arimane limiti le pretese di Lucifero.
Steiner parla qui del “calcolabile” e dell’”incalcolabile”, ma ben sappiamo che il primo è il regno di Arimane e il secondo quello di Lucifero.
Arimane, se potesse, calcolerebbe sempre (come certi nevrastenici), mentre Lucifero, se potesse, non calcolerebbe mai (come certi isterici).

Con la natura che ha assunto, Lucifero non può conciliare nulla che sia calcolabile” (p. 151).

Lucifero è per l’appunto un aristocrate, un’esteta o un megalomane che, disdegnando il “calcolabile”, “non bada – come si usa dire – a spese”.
Molti anni fa, ad esempio, mi capitò di conoscere, a Napoli, un alto dirigente bancario che, essendo stato epurato dopo la caduta del fascismo, e non avendo più trovato lavoro, era ridotto in miseria.
Ebbene, quando qualche amico gli prestava, che so, mille lire, era capace di sedersi al bar, di consumare qualcosa, e poi di andarsene lasciandone cinquecento di mancia al cameriere.

Il suo ideale è: incondizionata azione cosmica dell’intelligenza e della volontà. Questa tendenza luciferica è conforme all’ordine dell’universo nei campi in cui deve regnare libertà d’azione. E qui Lucifero è il giustificato aiuto spirituale dello sviluppo dell’umanità. Senza il suo aiuto, nell’essere spirituale-animico dell’uomo che si erige sulla base dell’elemento corporeo calcolabile, non potrebbe entrare la libertà. Ma Lucifero vorrebbe estendere questa tendenza a tutto il cosmo. E così la sua attività diventa lotta contro l’ordine divino-spirituale a cui l’uomo appartiene in origine” (pp.151-152).

Ho detto, una sera, che un conto sono i “pensatori liberi” (dai sensi), altro i sedicenti “liberi pensatori” (pieni di vanità e di orgoglio).
Una cosa, infatti, è la libertà dell’Io (dello spirito), altra la rivendicazione della libertà (della licenza o dell’arbitrio) da parte delle brame (canta Violetta, ne la Traviata: “Sempre libera degg’io / Trasvolar di gioia in gioia, / Perché ignoto al viver mio / Nulla passi del piacer”).
La libertà dell’Io non teme e non fugge la necessità, ma l’affronta; quella delle brame invece la rigetta, perché teme di rimanerne vittima.
Insomma, Arimane ha paura della libertà (dell’“incalcolabile”), mentre Lucifero ha paura della necessità (del “calcolabile”).
“Nei campi in cui deve regnare libertà d’azione”, Lucifero è perciò “il giustificato aiuto spirituale dello sviluppo dell’umanità. Senza il suo aiuto, nell’essere spirituale-animico dell’uomo che si erige sulla base dell’elemento corporeo calcolabile, non potrebbe entrare la libertà”.
Se non avesse patito la seduzione luciferica (quella del “ribelle” per antonomasia), “l’essere spirituale-animico dell’uomo” sarebbe rimasto dunque vincolato (al pari dell’”elemento corporeo”) all’opera compiuta: ossia al calcolabile o alla necessità.
Dobbiamo perciò essergli grati, poiché, col separarci dalla sfera della necessità e col differenziarci in tal modo dagli animali, dai vegetali e dai minerali, ha aperto le porte a quella “soggettività” (a quell’opinare o a quel “così è se vi pare”) che dà invece ai nervi ad Arimane, paladino della fredda, impersonale e rigorosa ”oggettività” (materiale).
Pensate, tanto per dirne una, al famoso libro di Erich Fromm Fuga dalla libertà (18). Non è significativo che né a lui né ad altri sia venuto in mente (per quanto ne so) di scriverne un altro, intitolato: Fuga dalla necessità?
Sarebbe stato comunque inutile, giacché l’arte (umana) non sta nel fuggire la libertà (luciferica) o la necessità (arimanica), bensì, muovendo dall’Io (inabitato dal Logos), nel servirsi della libertà per trasformare la necessità.
Allorché vorrebbe “estendere questa tendenza a tutto il cosmo”, dice Steiner, l’azione di Lucifero non è più però “conforme all’ordine dell’universo nei campi in cui deve regnare libertà d’azione”, bensì “diventa lotta contro l’ordine divino-spirituale a cui l’uomo appartiene in origine”.
Anche Lucifero (come Arimane) diventa dunque un “ostacolatore” solo quando gli viene permesso (dalla nostra incoscienza) di fare più di quel che dovrebbe, e di impedirci così di passare dalla ribelle libertà “da” (quella dell’”uomo in rivolta” di Albert Camus) (19) alla amante libertà “per”.
E’ per questa ragione, non dimentichiamolo, che La filosofia della libertà è divisa in due parti: la prima dedicata alla “scienza della libertà”; la seconda alla “realtà della libertà”.
Non si può infatti passare dalla libertà “da” (luciferica) alla libertà “per” (cristica) se non si sa che cos’è o, per meglio dire, chi è la libertà, e si continua perciò a confonderla con il capriccio, con la licenza o con l’arbitrio.
Sentite che cosa dice Croce: “Ché se alla libertà si toglie la sua anima morale, se la si distacca dal passato e dalla sua veneranda tradizione; se alla continua creazione di nuove forme che essa richiede si toglie il valore oggettivo di tale creazione; se alle lotte che essa accetta e alle guerre altresì e al sacrificio e all’eroismo si toglie la purezza del fine; se alla disciplina interna alla quale essa si sottomette spontanea si sostituisce quella dell’esterna guida e del comando, non rimane se non il fare per il fare, il distruggere per il distruggere, l’innovare per l’innovare, la lotta per la lotta, e la guerra e le stragi e il dare e ricevere morte come cose da ricercare e volere per sé stesse, e l’ubbidire anche, ma l’ubbidire che si usa nelle guerre; e ne vien fuori l’”attivismo”. Il quale è, dunque, in questa traduzione e riduzione e triste parodia che in termini materialistici compie di un ideale etico, sostanzialmente una perversione dell’amore per la libertà, un culto del diavolo messo al posto di Dio, e che pure è un culto, la celebrazione di una messa nera, ma che pure è una messa; e, se odia il liberalismo, è perché il diavolo è simia Dei, e se tuttavia serba una qualche attraenza, è simile a quella dell’angelo indemoniato o, per parlare in modo meno immaginoso, è come quella che alla malignitas attribuisce Tacito, alla quale “falsa species libertatis est”” (20).

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Di Lucio Russo
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