“Senza l’influsso luciferico ed arimanico, gli uomini sulla terra si vedrebbero differenziati dal cielo. I vari gruppi, nella loro vita, si comporterebbero tra loro come esseri che con buona volontà e con amore si scambiano l’un l’altro i doni dello spirito. Nelle razze e nei popoli, attraverso il corpo umano, si manifesta la gravità terrestre; nel raggruppamento spirituale si sarebbe manifestata un’immagine riflessa del mondo divino-spirituale” (p. 168).
Le differenze di razza e di popolo sono dunque differenze terrene che, non avendo nulla a che fare con lo spirito umano (con l’Io), non hanno nulla a che fare col Cristo (con l’”Io sono”), in quanto Dio, non di un popolo, di un’etnia o di una razza, ma dell’uomo in quanto uomo.
(Scrive Steiner: “L’umanità è partita dall’unità; ma l’evoluzione terrestre finora svoltasi ha condotto alla differenziazione. Nel Cristo è dato un ideale che si oppone a qualsiasi differenziazione, poiché nell’uomo che porta il nome del Cristo vivono anche le forze del sublime essere solare, nelle quali ogni io umano trova la propria origine” [9].)
Pensate a quante guerre sono state scatenate perché il Dio o gli Dèi degli uni erano diversi dal Dio o dagli Dèi degli altri (dice Steiner [siamo nel 1916]: “Ogni odio fra i popoli è al tempo stesso una lotta contro lo spirito. Proprio perché il nostro tempo tende talmente a lottare contro lo spirito, esso possiede anche tanto talento per l’odio fra i popoli. Questo è uno dei più profondi segreti della nostra attuale cultura spirituale”) (10).
Questo non accadrebbe se si comprendesse (vale a dire: si pensasse, si sentisse e si volesse) che il Cristo vive in ciascun essere umano in quanto essere umano (Io), e non in quanto cristiano, ebreo, islamico, buddhista, induista, ecc..
Sarà questa, un giorno, la “comunità di Filadelfia” o degli “spiriti liberi”: ossia, la comunità della sesta epoca post-atlantica.
Me lo avete sentito già dire: gli spiriti liberi non amano né comandare, né obbedire; amano incontrare altri spiriti liberi con i quali condividere il loro amore, sia per la verità, per la bellezza e per il bene, sia per la libertà, per l’uguaglianza e per la fraternità.
Stiamo attenti, però, perché gli spiriti liberi possono essere compresi soltanto da altri spiriti liberi, non dal “conscio collettivo”, né, tantomeno, dal moralismo.
Emblematico, al riguardo, è il caso di Richard Wagner.
E’ passato a tal punto alla storia come un uomo affetto da “immense tare morali” (Massimo Mila), che viene spontaneo domandarsi come abbia fatto un individuo del genere a creare il Tannhäuser, il Lohengrin o il Parsifal.
Non sto qui a farla lunga, ma vi invito a leggere un libro di Teodoro Celli, intitolato: Il Dio Wagner e altri Dei della musica (11). Vi troverete un saggio dedicato appunto alle (presunte) “immense tare morali” dell’autore del Ring.
“Con tutto questo si è dovuto predisporre già prima nell’evoluzione umana la piena autocoscienza avvenire. D’altra parte, ciò esigeva che si conservasse in una certa forma, sebbene mitigata, l’antichissima differenziazione dell’umanità che esisteva nell’epoca in cui l’uomo passò dalla gerarchia degli exusiai [degli Spiriti della forma] a quella delle archai.
L’uomo visse questo stadio del suo sviluppo, come in una scuola cosmica, attraverso il sentimento e la veggenza. Non lo riconosceva ancora come una preparazione essenziale per la sua futura autocoscienza. Ma allora quella veggenza senziente delle sue forze evolutive fu tuttavia importante per la penetrazione dell’autocoscienza nel corpo astrale e nell’Io.
In rapporto al pensare, avvenne allora il fatto che le potenze luciferiche diedero all’uomo l’inclinazione a continuare ad immergersi nelle antiche forme dello spirito, e a non adattarsi a quelle nuove. Lucifero ha infatti sempre la tendenza a conservare per l’uomo forme anteriori di vita” (p. 168).
Lucifero, lo abbiamo detto, è un conservatore, un tradizionalista e un nostalgico.
Ci costringe a guardare sempre indietro, illudendoci che così facendo riusciremo a risolvere i problemi che ci pone la modernità.
Prendete la cosiddetta “tecnoscienza”. Ma davvero si crede di poterne contrastare o arginare l’odierno strapotere riesumando o rispolverando l’anima razionale-affettiva o l’astratta cultura filosofica e umanistica? A detta di Emanuele Severino, Giovanni Reale e Giovanni Paolo II dovremmo ad esempio tornare, rispettivamente, a Parmenide, a Platone e a San Tommaso.
Di queste cose Arimane ride e Michele piange.
Ci si ostina infatti a non capire ch’è soltanto il potere della scienza spirituale a poter contrastare quello della scienza materialistica e a rimetterlo nelle mani dell’uomo.
Teniamo comunque presente, per tornare a Lucifero, ch’è assolutamente necessario imparare a distinguere il suo impulso spiritualistico, mistico o misticheggiante da quello scientifico-spirituale di Michele.
A questa decisiva differenza, dobbiamo fare non solo occhio, ma anche orecchio, naso e bocca.
“Così il pensare dell’uomo si formò in modo che a poco a poco, nelle vite fra morte e nuova nascita, egli sviluppasse quella facoltà che in epoche remotissime creava in lui i pensieri. Benché fosse come è attualmente la mera percezione sensoria, allora questa facoltà poteva vedere lo spirituale, perché allora il fisico portava alla sua superficie lo spirituale. Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi” (pp. 168-169).
Riflettiamo su questa affermazione: “Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi”. Che cosa significa? Significa che la facoltà del pensare, dotata un tempo di forma e di forza, si è ora ridotta a mera forma (a mera luce), poiché la sua forza (il suo calore) “può agire soltanto come percezione dei sensi”.
Ricordate il mio vecchio esempio? Avanziamo con gli occhi chiusi in una stanza e, a un certo punto, tocchiamo qualcosa. Questo ci consente di affermare: “Qui e ora (Hic et nunc) qualcosa è”. In virtù della percezione, in virtù cioè del vivo incontro del nostro essere con l’essere dell’oggetto, abbiamo dunque la certezza che qualcosa è, ma non sappiamo ancora qual è la cosa che è. Per saperlo, dobbiamo infatti aprire gli occhi: dobbiamo ossia pensare, poiché è solo grazie al concetto ch’è possibile determinare o qualificare l’oggetto percepito.
Ma che cosa succede? Succede che, per il modo (dualistico) in cui si dà l’esperienza, siamo invece indotti a credere (con Kant) che il contenuto che abbiamo percepito (il percetto) sia altro da quello che abbiamo pensato (dal concetto): che il primo sia cioè un essere che sta nella realtà, mentre il secondo sia un non-essere che sta nella nostra testa.
Nel momento in cui lo percepiamo (sensibilmente) non ci rendiamo infatti conto che tale contenuto è frutto di una intuizione; nel momento in cui lo pensiamo (idealmente) non ci rendiamo invece conto che è frutto di una percezione.
Rileggiamo: “Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi”.
Un tempo il pensare percepiva gli Dèi, e questa percezione era appunto un’intuizione (sintesi di forma e di forza). In seguito, non è stato più così. Gli Dèi sono diventati ispirazioni, poi immaginazioni e infine rappresentazioni, e quindi, per quanto possa sembrare strano, contenuti sensibili, oggetti o cose.
Possiamo anche dire: quelle che erano, per l’anima senziente, entità spirituali, sono diventate, per l’anima razionale-affettiva, concetti e, per l’anima cosciente, cose.
Il pensare delle origini può essere però ritrovato ove si riesca a restituire alla forma del pensare la forza del percepire, realizzando così che il concetto e il percetto sono una stessa realtà che si dà, al pensare, come un concetto determinato, e al percepire come un percetto indeterminato (scrive Goethe, in Epirrema: “… / niente è dentro e niente è fuori: / poiché ciò che è dentro è fuori. / Dunque afferrate senza indugio / il divino, palese mistero”) (12).
“La facoltà di elevarsi, pensando, allo spirito, venne man mano diminuendo. Ciò si manifestò pienamente solo quando, nell’epoca dell’anima cosciente, il mondo spirituale fu avvolto per l’uomo in un’oscurità completa. Fu così che nel secolo diciannovesimo i migliori fra gli scienziati, che non potevano diventare materialisti, dissero: “Non ci rimane altro che limitarci ad investigare quello che è possibile secondo misura, numero e peso, e mediante i sensi; ma non abbiamo il diritto di negare un mondo spirituale nascosto dietro a quello sensibile”. Essi accennavano così alla possibilità che esistesse un mondo chiaro e luminoso, sconosciuto all’uomo, là dove il suo sguardo non vede che tenebre” (p. 169).
Non è facile, oggigiorno, incontrare degli scienziati che affermino: “Non ci rimane altro che limitarci ad investigare quello che è possibile secondo misura, numero e peso, e mediante i sensi; ma non abbiamo il diritto di negare un mondo spirituale nascosto dietro a quello sensibile”.
Nel secolo diciannovesimo, i “migliori” invece lo dicevano, poiché erano ancora consapevoli che, essendo il materialismo “metafisica” e non “scienza”, se fossero diventati materialisti, non sarebbero stati più scienziati (e avrebbero magari intitolato un loro libro, come ha fatto di recente Piergiorgio Odifreddi: Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)) (13).
“Come Lucifero spostò nell’uomo il pensare, così Arimane ne spostò il volere. Questo ebbe la tendenza ad una specie di libertà alla quale l’uomo sarebbe dovuto accedere solo più tardi. Tale libertà non è la vera, ma solo l’illusione della libertà” (p. 169).
Lucifero sposta il pensare all’indietro, mentre Arimane sposta il volere in avanti, così che si allarghi la forbice che normalmente li divide.
Guardiamoci intorno: non è forse curioso, per non dire grottesco, che oggi, in barba a una scienza che predica dalla mattina alla sera il determinismo, non ci sia quasi più nessuno che non rivendichi a gran voce la propria libertà?
Questo succede perché, tanto quelli che la negano, quanto quelli che la rivendicano non conoscono “la scienza della libertà” (cioè la prima parte de La filosofia della libertà), e non sanno, perciò, che la libertà del volere, ossia l’Io che vuole, è l’altra faccia della verità del pensare, ossia dell’Io che pensa.
Ogni libertà che non sia il risvolto della verità è pertanto un’illusione (dell’ego); e non c’è peggior schiavitù dell’illusione della libertà.
Dice appunto Goethe: ”Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo” (14).
“L’umanità visse a lungo in una simile illusione di libertà. Ciò le precluse la possibilità di sviluppare l’idea della libertà secondo lo spirito” (p. 169).
Chi conosce il celebre Per una filosofia della libertà di John Stuart Mill (1806-1873) (15), sa che vi si tratta della libertà in termini politici: vale a dire, in rapporto agli altri, allo Stato o al potere.
Il che è caratteristico della vocazione giuridica di quel liberalismo cui dobbiamo la nostra emancipazione politica o giuridica (afferma Steiner: “Sino alla metà del secolo XIX si afferma in occidente ciò che vien comunemente chiamato “liberalismo”, o atteggiamento liberale o progressista, o come meglio lo si voglia definire; quello, in ogni caso, che si formò con la massima precisione nel secolo XVIII come teoria politica, per affermarsi poi come corrente politica nel corso del secolo XIX, ed infine per scomparire lentamente e morire [soffocato] nell’ultimo terzo dello stesso secolo”) (16).
Ma che ne è della nostra emancipazione animico-spirituale (dalla natura o dall’ego)? Ricordate? “Tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”. Che ne è, cioè, dell’”idea della libertà secondo lo spirito” (secondo l’Io), e non secondo la legge?
(Vi segnalo, in proposito, Stato società e storia [17] di Wilhelm von Humboldt (1767-1835), autore molto apprezzato da Steiner.)
Croce (1866-1952), pensatore liberale, è arrivato a parlare, come si sa, di una “religione della libertà” (18), ma è rimasto ben lontano dalla consapevolezza ch’è impossibile affrontare il problema della libertà rispetto a se stessi (“liberaci dal male”) se si prescinde, in ragione di un’astratta e insufficiente conoscenza dell’essere umano, dalle realtà del conscio e dell’inconscio o, per meglio dire, da quella dei diversi livelli di coscienza.
Solo l’indagine scientifico-spirituale ci consente infatti di riconoscere che l’anima, stando tra il corpo (fisico), rappresentante il massimo della necessità, e lo spirito o l’Io, rappresentante la massima libertà, quanto più si lega al corpo tanto più si lega alla necessità, vanificando o perdendo così la sua libertà.
E’ inevitabile dunque che l’anima, ove si leghi più del necessario (arimanicamente) al corpo, finisca col convincersi che la libertà non esiste.
Liberi infatti non si nasce, ma si diventa (Nietzsche: “Come si diventa ciò che si è”).
“Fu un continuo oscillare tra l’opinione che l’uomo sia libero, e quella che egli sia imprigionato in una rigida necessità. E allorché, con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera, non si fu capaci di riconoscerla perché troppo a lungo la conoscenza si era sviluppata nell’illusione della libertà.
Tutto quello che è stato immerso nell’essere dell’uomo in questo secondo stadio dell’evoluzione delle vite fra morte e nuova nascita, egli lo trasportò, come ricordo cosmico, nel terzo stadio nel quale vive ancora nel presente. In questo stadio egli si trova, nei confronti della gerarchia degli angeli, in una relazione analoga a quella in cui stava nel secondo stadio nei confronti della gerarchia degli arcangeli. Ma la relazione con gli angeli è tale che, grazie ad essi, viene ad esistenza la piena individualità indipendente. Infatti gli angeli – ora non più in coro, ma un angelo per ogni uomo – si limitano ad ottenere la giusta relazione delle vite fra morte e nuova nascita, e delle vite terrene.
Un fatto a tutta prima rimarchevole è che nel secondo stadio dell’evoluzione delle vite fra morte e nuova nascita, per ogni singolo uomo opera l’intera gerarchia degli arcangeli. Più tardi a questa gerarchia viene assegnata la direzione dei popoli. Per ogni popolo sia ha allora un arcangelo come spirito del popolo. Nelle razze rimangono attive le archai. Anche qui per ogni razza agisce un solo essere della gerarchia delle archai, come spirito della razza.
Così l’uomo attuale contiene anche nella vita fra morte e nuova nascita il ricordo cosmico di stadi precedenti di queste esperienze. E questo ricordo si palesa chiaramente anche dove, nel mondo fisico, noi vediamo svolgersi vicende guidate dallo spirito, come nelle razze e nei popoli” (pp. 169-170).
A che cosa si riferisce Steiner, dicendo che “fu un continuo oscillare tra l’opinione che l’uomo sia libero, e quella che egli sia imprigionato in una rigida necessità. E allorché, con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera, non si fu capaci di riconoscerla perché troppo a lungo la conoscenza si era sviluppata nell’illusione della libertà”?
Si riferisce alle astratte dispute (tipiche dell’anima razionale-affettiva) tra i seguaci del “determinismo” e quelli del “libero arbitrio”: tra quanti cioè muovevano (e muovono) dal presupposto (più o meno cosciente) che l’uomo sia costituito soltanto di corpo e di anima o, per meglio dire, di psiche.
Lasciate che vi legga, al riguardo, questo passo del mio commento a La filosofia della libertà: “Coloro che negano in questo modo la libertà, credono di negare la libertà umana, mentre non fanno che negare, senza rendersene conto, la libertà della parte animale che vive nell’uomo. E in questo hanno ragione; hanno perlomeno più ragione di tutti quelli che, pur muovendo dal medesimo presupposto, vorrebbero affermare la libertà. Ma così affermata la libertà è davvero un’illusione”.
E’ “davvero un’illusione” perché la libertà o è dell’Io (dello spirito) o non è. In tanto Steiner può dire, infatti, che “con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera”, in quanto è solo in virtù dell’avvento dello “spirito scientifico” che si accende, nell’essere umano, la coscienza dell’Io (seppure nella forma embrionale dell’ego).
Leggiamo adesso le massime.
150) “In un secondo periodo dello svolgimento delle vite fra la morte e una nuova nascita l’uomo entra nel dominio degli arcangeli. Durante questo periodo viene posto nell’anima il germe per la futura autocoscienza, dopo che esso era stato predisposto nella formazione della figura umana durante il primo periodo”.
Al concetto di “autocoscienza”, martoriato dalla dialettica e dai vaniloqui d’infiniti gruppi e gruppetti, va restituito il suo vero valore.
Non è infatti straordinario che tra tutti gli esseri che popolano la Terra, solo uno sia in grado di dire a se stesso: “Io sono” (un essere)?
Abbiamo visto, però, che la coscienza ordinaria o rappresentativa dell’Io non è all’altezza della realtà spirituale dell’Io.
Grazie al corpo fisico, cominciamo infatti a conoscere l’Io come ego: ossia come un soggetto che non solo vive nello spazio, ma che è esso stesso spazio (appunto “corpo fisico”). Alla conoscenza dell’Io come spazio, dovremmo perciò aggiungere, come sappiamo, prima la conoscenza dell’Io come tempo, poi dell’Io come anima, e infine dell’Io come spirito.
Ogni livello precedente quello dell’Io come spirito (dell’Io come realmente è) può diventare però una trappola.
Arimane, infatti, tenta costantemente di congelare l’autocoscienza al suo primo livello (fisico), presentandocelo non come il livello iniziale, ma come l’unico e il solo (come il primo e l’ultimo), mentre Lucifero, disdegnando questo (basso) livello, tenta costantemente di sciogliere l’autocoscienza mettendola, per così dire, “a bagno” nel mare magnum (eterico) delle fantasie, o di rarefarla e dissolverla nell’atmosfera (astrale) delle illusorie o allucinate ispirazioni.
151) “In questo secondo periodo [cioè nel periodo che è sotto il segno degli Arcangeli] l’uomo viene immerso nel fisico, da parte degli influssi luciferici ed arimanici, più a fondo di quanto non sarebbe avvenuto senza tali influssi”.
152) “Nel terzo periodo l’uomo giunge nel dominio degli angeli che però esercitano il loro influsso soltanto nel corpo astrale e nell’io. Questo è il periodo attuale. Ciò che è avvenuto nei primi due periodi sussiste nell’evoluzione dell’umanità, e spiega il fatto che nell’epoca dell’anima cosciente (nel secolo diciannovesimo) l’uomo guarda nel mondo spirituale come in un’oscurità completa”.
“Guarda nel mondo spirituale come in un’oscurità completa”, giacché ha appunto rimosso e precipitato nell’inconscio la realtà dello spirito.
Note:
1) cfr. J.Monod: Il caso e la necessità – Mondadori, Milano 2003;
2) R.Steiner: Il Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità –Antroposofica, Milano 2010, p. 136;
3) W.Goethe: Faust – Einaudi, Torino 1967, p. 40;
4) B.Spaventa: Le prime categorie della logica di Hegel in Opere – Sansoni, Firenze 1972, vol. I, p. 399;
5) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, pp. 104-105;
6) M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 276;
7) cfr. J.-P. de Caussade: L’abbandono alla divina provvidenza – SAN PAOLO – Cinisello Balsamo (Mi) 1986;
8) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità…, p. 87;
9) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 239;
10) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità…, p. 83;
11) cfr. T.Celli: Il Dio Wagner e altri Dei della musica – Rusconi, Milano 1980;
12) J.W.Goethe: Cento poesie – Einaudi, Torino 2011, p. 247;
13) cfr. P.Odifreddi: Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) – TEA, Milano 2011;
14) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 38;
15) cfr. J.Stuart-Mill: Per una filosofia della libertà – Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1999;
16) R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, p. 45;
17) cfr. W.von Humboldt: Stato società e storia – Editori Riuniti, Roma 1974;
18) cfr. B.Croce: La religione della libertà – SUGARCo, Milano 1986.