“Nell’organizzazione del pensiero l’uomo immerge ora lo spirituale-animico dell’essere suo, il quale non appartiene né al mondo terreno, né a quello stellare, ma è di natura totalmente spirituale ed esiste nell’uomo di vita terrena in vita terrena. Questo elemento spirituale-animico è accessibile soltanto all’ispirazione” (pp. 204-205).
Non ricordo se nelle Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe (13) o altrove, Steiner spiega che la coscienza intuitiva è pneumatologica, che quella ispirata è psicologica, e che la coscienza immaginativa e quella rappresentativa sono naturalistiche (la prima relativamente alla natura organica, la seconda alla natura inorganica).
E’ Goethe, ovviamente, a fornire il migliore esempio di una scienza naturale ch’è al tempo stesso una scienza immaginativa o di una scienza immaginativa ch’è al tempo stesso una scienza naturale.
“Così l’uomo esce dalla sua organizzazione terrestre-cosmica [fisico-eterica] , per stare davanti a se stesso come essere puramente spirituale-animico grazie alla sua ispirazione” (p. 205).
Teniamo presente che la nostra organizzazione “terrestre-cosmica”, potrebbe essere anche detta “arimanico-luciferica”.
Arimane patrocina infatti l’identificazione (centripeta) con ciò che, al di qua della soglia, è morto (terrestre), mentre Lucifero patrocina l’identificazione (centrifuga) con ciò che, al di qua della soglia, è vivo (cosmico).
Guardate quanto sta succedendo: non è significativo che in un mondo come il nostro, che si va sempre più arimanizzando, vada di contro aumentando, in specie tra i giovani, il cupio dissolvi: ossia il desiderio (più o meno cosciente) di morire, di annullarsi o di autodistruggersi?
Dice Steiner che l’uomo, “grazie alla sua ispirazione”, sta “davanti a se stesso come essere puramente spirituale-animico”.
Grazie alla coscienza ispirata, stiamo infatti davanti allo spirituale che si manifesta animicamente, mentre, grazie alla coscienza intuitiva, stiamo davanti allo spirituale che si manifesta spiritualmente (quale realmente è).
La manifestazione animica dello spirito è l’epifania dell’Io nell’anima.
“In questa entità puramente spirituale-animica l’uomo incontra l’azione del proprio destino” (p. 205).
Perché “in questa entità puramente spirituale-animica” incontriamo l’azione del nostro destino? E’ presto detto: perché incontrando il corpo astrale incontriamo il nostro karma.
Sappiamo, infatti, che il corpo astrale è il corpo “causale”: ossia il corpo in cui risiedono le cause di quanto, mediante il corpo eterico, si realizza nel mondo fisico.
“Con la sua organizzazione sensoria l’uomo vive nel suo corpo fisico; con l’organizzazione del pensiero nel suo corpo eterico. Dopo essersi spogliato di entrambe queste organizzazioni per mezzo dell’esperienza conoscitiva, egli è nel suo corpo astrale.
Ogni volta che l’uomo si spoglia di qualche cosa della sua natura acquisita, il suo contenuto animico, da una parte, si impoverisce; ma dall’altra si arricchisce” (p. 205).
Ho detto poc’anzi che, non dando al mondo quel ch’è del mondo e all’Io quel ch’è dell’Io, siamo diventati psichicamente “obesi” e “costipati”. Sarebbe dunque opportuna una “dieta dimagrante”: una dieta che, in quanto (psichicamente) “dimagrante”, c’impoverisca, ma che, in quanto (animicamente) “rigenerante”, ci arricchisca.
Dice appunto Steiner: “Ogni volta che l’uomo si spoglia di qualche cosa della sua natura acquisita, il suo contenuto animico, da una parte, si impoverisce; ma dall’altra si arricchisce”.
“Se l’uomo, dopo essersi spogliato del corpo fisico, ha davanti a sé la bellezza del mondo vegetale sensibile solo in forma sbiadita, in compenso gli sorge dinanzi all’anima tutto il mondo degli esseri elementari che vivono nel regno vegetale.
Ma perché è così, nell’uomo che veramente conosce spiritualmente, non domina un atteggiamento ascetico di fronte a ciò che i sensi percepiscono. Nell’esperienza spirituale permane in lui pienamente il bisogno di percepire ancora mediante i sensi quanto egli sperimenta nello spirito. E come nell’uomo completo, che tende all’esperienza della realtà intera, la percezione sensoria desta l’anelito al suo polo opposto, al mondo degli esseri elementari, così la veggenza degli esseri elementari desta a sua volta la nostalgia per il contenuto della percezione sensoria” (p. 205).
Sappiamo, grazie a La filosofia della libertà, che siamo noi a dividere il mondo, ch’è uno, in un mondo percepito (res extensa o non-ego) e in un mondo pensato (res cogitans o ego).
Non umano, dunque, è il mondo solamente percepito, e non umano è il mondo solamente pensato: il primo è ipotecato infatti da Arimane, mentre il secondo lo è da Lucifero.
Dice Steiner: “E come nell’uomo completo, che tende all’esperienza della realtà intera, la percezione sensoria desta l’anelito al suo polo opposto, al mondo degli esseri elementari, così la veggenza degli esseri elementari desta a sua volta la nostalgia per il contenuto della percezione sensoria”.
Spesso i sensi vengono invece patiti o fuggiti. Ma se ne è schiavo chi li patisce, non ne è meno schiavo chi li fugge perché preso dal timore di rimanerne irretito.
Solo un “uomo completo” (un uomo del Cristo) può infatti avere con i sensi un rapporto non “bulimico” né “anoressico”, bensì sobrio, sano e innocente (al noto detto di Goethe: “Non sono i sensi a errare, ma il giudizio”, potremmo perciò aggiungere: “Non sono i sensi a bramare, ma la psiche”).
Tra breve, Steiner parlerà appunto di una “gioiosa inclinazione” dell’anima ad accogliere pienamente “i miracoli del mondo dei sensi”.
Dice infatti il Cristo-Gesù: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).
“Nel complesso della vita umana lo spirito richiede il senso, e il senso richiede lo spirito” (p. 205).
L’abbiamo detto e ridetto: il mondo sensibile è il mondo spirituale così come si presenta ai sensi (fisici), mentre il mondo spirituale è il mondo sensibile così come si presenta allo spirito (all’Io).
Se rendessimo trasparente la nostra coscienza, renderemmo trasparente il sensibile, e vedremmo allora, attraverso il sensibile, il sovrasensibile o, attraverso la materia, lo spirito (a partire, naturalmente, dagli “esseri elementari”).
(Scrive Paolo: “Noi ora vediamo, infatti, come per mezzo di uno specchio, in modo non chiaro; allora invece vedremo direttamente in Dio; ora conosco solo in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente nello stesso modo con cui io sono conosciuto” – 1Cor, 12.)
“Nell’esistenza spirituale vi sarebbe il vuoto se non vi fossero come ricordo le esperienze della vita dei sensi; nell’esperienza dei sensi vi sarebbe la tenebra se non vi operasse luminosamente, sebbene a tutta prima nel subcosciente, la forza dello spirito.
Di conseguenza, quando l’uomo si sarà maturato in modo da poter sperimentare l’attività di Michele, non avverrà nelle anime un impoverimento delle esperienze suscitate dalla natura, ma al contrario un arricchimento. E neppure la vita del sentimento tenderà a ritirarsi dall’esperienza dei sensi, ma avrà una gioiosa inclinazione ad accogliere pienamente nell’anima i miracoli del mondo dei sensi” (pp. 205- 206).
Approfitto, prima di passare alle massime, per fare una breve digressione.
Vi ho detto, una sera (lettera 10 agosto 1924), che una persona, anni fa, smise di frequentare il nostro gruppo perché, disse, “facevamo sempre le stesse cose” (perché studiavamo sempre gli stessi testi).
Ebbene, rileggendo in questi giorni L’impulso Cristo e la coscienza dell’io, ho ritrovato un paio di passi che vi voglio leggere.
Il primo è questo: “Oggi dedicheremo la nostra attenzione a cose che possono interessare lo studioso di scienza dello Spirito in senso lato; cose che dovrebbero chiarire questo o quell’aspetto a chi già da tempo partecipa a queste riunioni. È bene innanzitutto ricordarsi ogni tanto che nella scienza dello Spirito l’essenziale non è tanto apprendere una determinata cosa in generale, come teoria o insegnamento, ma occuparsi sempre di nuovo, in modo più rigoroso e profondo, delle questioni e dei misteri della vita. Qualcuno potrebbe infatti obiettare: ciò che della scienza dello Spirito, in prima battuta, bisogna sapere per la vita, lo si potrebbe inserire, in tutta la sua completezza, in un opuscoletto di una sessantina di pagine; successivamente ognuno potrebbe assimilare questo opuscoletto, per farsi delle convinzioni circa l’essere dell’uomo, la reincarnazione e il karma, l’evoluzione dell’umanità e della Terra, e potrebbe, con queste convinzioni, pellegrinare attraverso la vita. E qualcuno, allettato da questa idea, potrebbe forse dire: “Ma perché il movimento antroposofico non dissemina per il mondo, in più esemplari possibili, questi argomenti principali, affinché ognuno possa farsi delle convinzioni in merito? Perché questo movimento fa una cosa apparentemente curiosa, vale a dire riunisce una volta a settimana chi si occupa di scienza dello Spirito, per descrivere sempre da capo ciò che comodamente si potrebbe inserire in una sessantina di pagine? Questi antroposofi – ci si potrebbe chiedere – che cosa hanno da dire settimana dopo settimana ai loro seguaci?”. Sì, la necessità di avere dei compendi che consentano di appropriarsi dell’indispensabile, anche riguardo all’indagine spirituale stessa, forse corrisponde ad una certa mentalità del nostro tempo. Ma è proprio questo che dobbiamo richiamare sempre più alla mente, ossia che nell’indagine spirituale non sono sufficienti gli opuscoli divulgativi, che in fondo l’essenziale non è il sapere, anche se l’indagine spirituale consiste in un sapere, in una conoscenza. Dobbiamo richiamare alla mente che non bisogna vedere l’essenza dell’indagine spirituale in frasi astratte, ma in conoscenze ben concrete, di cui non basta però appropriarsi, secondo l’uso comune, come di una convinzione diffusa e accontentarsi di ciò. Non si tratta, infatti, di sapere di avere delle convinzioni. L’uomo non vive una volta sola, dal momento che ci sono nessi causali che da una vita si estendono all’altra, e dal momento che ci sono la reincarnazione e il karma. L’aspetto propriamente salvifico dell’indagine spirituale non consiste nel diffondere questi insegnamenti, ma nell’occuparsene con grande costanza, in modo profondo, intimo, con attenzione ai particolari, lasciando che questi insegnamenti operino ininterrottamente sull’anima dell’uomo”.
E questo è il secondo: “Ora diamo una risposta alla domanda: perché ci riuniamo così spesso? Ci riuniamo così spesso perché non solo vogliamo arricchire la nostra conoscenza accogliendo degli insegnamenti, ma anche perché gli insegnamenti, offerti nella giusta maniera, sono adatti a rendere il nucleo del nostro essere sempre più forte e vigoroso. Versiamo una linfa vitale e spirituale nelle nostre questioni quando ci incontriamo e ci occupiamo di scienza dello Spirito. La scienza dello Spirito non è, quindi, una teoria, bensì una pozione vitale, un elisir vitale che si riversa sempre nuovamente nella nostra anima e di cui sappiamo che rende l’anima sempre più forte e vigorosa. Quando la scienza dello Spirito non sarà più per gli uomini ciò che essa è oggi, a causa dell’incomprensione del mondo esteriore, quando un giorno interverrà in tutta la nostra vita spirituale, allora gli uomini vedranno come la salvezza di tutta la vita esteriore, anche della vita fisica, dipende dal rafforzamento che si può guadagnare attraverso la meditazione e attraverso esperienze comunitarie come le nostre. Verrà il tempo in cui queste riunioni potranno diventare il ricostituente più importante per gli uomini, che potranno allora dire a tutti: le nostre capacità, la nostra salute, la nostra forza nella vita, tutto ciò lo dobbiamo al fatto che noi ci rafforziamo sempre nuovamente nel nucleo vero e proprio del nostro essere, nel centro del nostro essere!” (14).
Occupiamoci adesso delle massime.
171) “L’organizzazione umana dei sensi non appartiene all’entità umana, ma vi è edificata dal mondo circostante durante la vita sulla terra. L’occhio percettivo è spazialmente nell’uomo, ma nella sua essenza è nel mondo. E l’uomo immerge il suo essere spirituale-animico in ciò che il mondo sperimenta in lui per mezzo dei suoi sensi. L’uomo non accoglie in sé, durante la vita sulla terra, il mondo fisico circostante, ma penetra in esso col suo essere spirituale-animico”.
Notate questa affermazione: “E l’uomo immerge il suo essere spirituale-animico in ciò che il mondo sperimenta in lui per mezzo dei suoi sensi”.
Che cosa ci ricorda questo? Che l’uomo è quella parte del mondo per mezzo della quale il mondo prende coscienza di sé.
Quando affermiamo, ad esempio: “Questa è una rosa”, noi ri-conosciamo la rosa, e la rosa si conosce in noi: vale a dire, il soggetto (l’Io) si ri-conosce nell’oggetto, e l’oggetto si conosce nel soggetto.
Non si tratta, mi sembra di averlo già detto, di un processo astratto, bensì di un processo concreto che necessita tanto alla nostra evoluzione quanto a quella del mondo che ci circonda.
172) “Similmente avviene per l’organizzazione del pensiero. L’uomo penetra con essa nell’esistenza stellare. Riconosce se stesso quale mondo stellare. Quando, nel conoscere sperimentando, si è spogliato dell’organizzazione dei sensi, egli vive e si muove nei pensieri universali”.
Abbiamo detto più volte che il mondo è unità di forma e di forza, di concetto e percetto. In quanto parti di tale unità, la forma o il concetto e la forza o il percetto sono dunque mondo.
La prima è la parte “stellare”, la seconda è la parte terrena o sensibile, quella accolta dalla organizzazione dei sensi.
L’uomo, quale terzo, sta in mezzo, laddove il mondo prima si divide (“solve”) e poi si ri-unisce (“coagula”).
E’ questa la chiave di tutto. Dall’uno nasce il due (la separazione, l’opposizione, il peccato), e dal due nasce il tre (la ri-unione, l’accordo, la redenzione).
L’uno è l’unità prima della divisione, mentre il tre è l’unità dopo la divisione, dopo quella divisione o dualità che modernamente affligge, per dirla con Hegel, “la coscienza infelice scissa entro se stessa” (15).
173) “Spogliatosi di entrambi, del mondo terrestre e di quello stellare [del mondo dei percetti e di quello dei concetti] , l’uomo sta dinanzi a sé stesso quale essere spirituale-animico. Allora non è più mondo, allora è veramente uomo. E il rendersi conto di ciò che sperimenta allora, vuol dire per lui conoscere se stesso, come il percepire nell’organizzazione dei sensi e del pensiero vuol dire conoscere il mondo”.
Note:
1) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 160;
2) R.Steiner: I confini della conoscenza della natura – Antroposofica, Milano 1979, pp. 104 e 106;
3) cfr. Pensare il Novecento, 27 marzo, 22 aprile, 22 maggio 2010;
4) cfr. E.Gentile: L’apocalisse della modernità – Mondadori, Milano 2008;
5) Shrî Aurobindo: Considerazioni e pensieri – Bocca, Milano 1943, p. 61;
6) cfr. R.Steiner: L’Apocalisse – Antroposofica, Milano 1963;
7) P.Galluppi: Saggio filosofico sulla critica della conoscenza (estratti) – Signorelli, Roma (s.d.), p. 34;
8) R.Steiner: Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia – Antroposofica, Milano 1991, p. 154;
9) 101 Storie Zen – Adelphi, Milano 1978, p. 13;
10) R.Steiner: Genesi. I misteri della versione biblica della creazione – Antroposofica, Milano 1978, p. 132;
11) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, pp. 37-38;
12) M.Scaligero: Il sorriso degli Dei – Tilopa, Roma 1987, p. 18;
13) cfr. R.Steiner: Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe – Antroposofica, Milano 2008;
14) R.Steiner: L’impulso del Cristo e la coscienza dell’Io – Tilopa, Roma 1994, pp. 25-26 e 40;
15) G.W.F.Hegel: Fenomenologia dello spirito – La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 132.