Propedeutica meditativa

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Scrive Steiner: “Da quanto si è accennato si può riconoscere il corretto processo della meditazione. Prima si conquista a fondo un pensiero, del quale si può riconoscere la validità con gli strumenti offerti dalla vita e dalla conoscenza ordinarie. In seguito ci si immerge ripetutamente in quel pensiero, identificandosi con esso. Il rafforzamento dell’anima deriva dal vivere con un pensiero conosciuto in tal modo” (1).
Proveremo pertanto a fornire un piccolo aiuto a quanti, prima di meditare i tre pensieri della formula rosicruciana: “ex Deo nascimur (Natale); in Christo morimur (Pasqua); per Spiritum Sanctum reviviscimus” (Pentecoste), intendano riconoscerne “la validità con gli strumenti offerti dalla vita e dalla conoscenza ordinarie”.

Ex Deo nascimur: il nulla, la trascendenza e l’immanenza.

Scrive Steiner: “Il fondamento del mondo si è completamente effuso nel mondo, non se ne è ritratto per dirigerlo dal di fuori, lo muove dall’interno; non gli si sottrae. La forma più alta nella quale esso si manifesta nella realtà della vita ordinaria, è il pensare, e col pensare l’individualità umana” (2).
(Si raffronti, ad esempio, il burattino, diretto e mosso dall’Io del burattinaio dal di fuori, con il corpo fisico, diretto e mosso dall’Io del mimo dal di dentro).
Nel nostro Del “nulla” (3), abbiamo ricordato che questa tesi, definita dalla Chiesa “emanatista” o “emanazionista”, è stata condannata dal Concilo Vaticano I (1869). Il cattolicesimo insegna infatti che Dio crea gli esseri “dal nulla” (ex nihilo).
(“Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto. La creazione non è neppure una emanazione necessaria della sostanza divina. Dio crea liberamente “dal nulla” (…) Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere (…) Ma poiché egli è il Creatore sovrano e libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell’intimo più profondo delle sue creature” [4].)
Dio, dunque, trascende la creazione ed è ad essa presente. Ma che cosa può significare che Dio le è “presente nell’intimo più profondo della sue creature”, se non che le è “immanente”, e che non è perciò solo trascendente, come il Dio dell’Antico Testamento (Yahweh), il Dio dell’Islam (Allah) o il Dio dei deisti, né solo immanente come quello dei panteisti, bensì insieme trascendente e immanente?
La Chiesa però si barcamena, di fatto, tra la trascendenza e l’immanenza: in nome dell’immanenza, prende infatti le distanze dalla trascendenza degli ebrei, degli islamici e dei deisti; in nome della trascendenza, prende invece le distanze dall’immanenza dei laici.
Il Dio che quale “fondamento del mondo si è completamente effuso nel mondo”, per muoverlo “dall’interno” è una realtà (Ens realissimum) che deve essere pensata come una immanente trascendenza o una trascendenza immanente.
Nel nostro La fede dei laici (5), abbiamo scritto: “Come pensare una “immanenza della trascendenza”? Pensando – come insegna (a suo modo) la psicodinamica – alla relazione che intercorre tra la realtà cosciente e quella incosciente. Ciò che all’anima razionale-affettiva (filosofica) si presenta in termini di “immanenza-trascendenza”, all’anima cosciente (scientifica) si presenta infatti in termini di “coscienza-incoscienza”. In chiave moderna, è quindi immanente (manifesto) ciò che già si trova nel conscio (nell’io), mentre è trascendente (occulto) ciò che ancora si trova nell’inconscio (nel non-io), e il processo attraverso il quale quanto è animicamente incosciente (l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione) viene reso gradualmente cosciente coincide con quello attraverso il quale quanto è spiritualmente trascendente (il Sé spirituale, lo Spirito vitale e l’Uomo-Spirito) viene reso gradualmente immanente. “Nelle profondità dell’anima umana – afferma Steiner – l’universo, in quanto spirituale, va incontro all’eterno spirituale stesso entro l’uomo (…) La scienza dello spirito è qui per estrarre dalla sfera dell’inconscio e per innalzare alla sfera del cosciente questo elemento direttamente connesso con la natura umana, con l’eterno della natura umana. La scienza dello spirito vuol essere la manifestazione di questo spirituale inconscio della natura umana””.
Ci si potrebbe aiutare a pensare l’immanente trascendenza considerando, ad esempio, il processo metamorfico ed evolutivo grazie al quale il girino diventa rana. La rana, infatti, immane al girino (gli è coessenziale) quale forza (essenza-qualità) e lo trascende quale forma (manifestazione): in breve, e ricorrendo al celebre “già e non ancora” di Hegel, il girino è già e non ancora la rana.
Dice Ireneo di Lione (130-202), santo e padre della Chiesa: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo si faccia Dio”.
Ciò significa che l’“Io sono” (Dio) si è fatto “ego” (uomo) perché l’“ego” si faccia “Io sono” (in primo luogo, “Sé spirituale”). Allo stesso modo della rana, l’Io o il Sé spirituale trascende dunque l’ego quale forma e gli immane quale forza; e come il girino è chiamato a diventare rana, così l’ego è chiamato a diventare Sé spirituale. A questa trasformazione non provvede però la natura, ma deve provvedere l’uomo stesso, mediante lo sviluppo qualitativo del proprio pensare e del proprio grado di coscienza. Come l’ego, infatti, è il soggetto dell’ordinario pensare discreto e dell’ordinaria coscienza rappresentativa (vincolati al sistema neuro-sensoriale), così l’Io o il Sé spirituale è il soggetto del superiore pensare continuo o vivente e della superiore coscienza immaginativa (collegati al sangue).

In Christo morimur: il peccato originale.

Dice Steiner: “Il primo dono religioso è quello che ci appare al principio dell’Antico Testamento nella grandiosa scena del peccato originale, della tentazione. Il secondo dono religioso è quello che ci viene incontro in tutto ciò che si compendia nelle parole “mistero del Golgota”. Allo stesso modo in cui peccato originale e tentazione hanno da fare con ciò che inserì nell’uomo la libertà, il dono della distinzione fra bene e male, fra bello e brutto, fra vero e falso, così il mistero del Golgota ha da fare con la possibilità che l’anima umana ritrovi la via che conduce al divino, con la possibilità di sapere che in essa può rifulgere il divino, che il divino la può permeare. In questi due doni religiosi è, in un certo senso, compreso tutto quanto vi è di più importante nell’evoluzione della terra, tutto ciò che, in tale evoluzione, ha un rapporto con quello che l’anima può sperimentare nelle sue intime profondità; tutto ciò che sta in una profonda relazione con l’essenza e col divenire dell’anima umana” (6).
Non si può dunque comprendere il pensiero “in Christo morimur” se tra questo e il pensiero “ex Deo nascimur” non si considera la realtà del “peccato originale”: di quell’evento che ci ha resi cioè diversi (in nome della libertà) da come eravamo al momento della nascita (ex Deo).
(Abbiamo altrove ricordato [7] che tale peccato – come spiega Steiner – è consistito nel fatto che Lucifero, nel corso dell’epoca lemurica, ha spinto più del dovuto [più di quanto voluto dalle entità creatrici], il neonato Io dentro il corpo astrale e il corpo astrale dentro il corpo eterico, e che questa sua azione ha provocato la reazione di Arimane che ha spinto, più del dovuto, il corpo fisico dentro il corpo eterico e il corpo eterico dentro il corpo astrale. In altra sede [8], abbiamo altresì ricordato che il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che “L’uomo tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio”, e che “in ciò è consistito il primo peccato dell’uomo”: abbiamo ricordato, cioè, che secondo l’insegnamento della Chiesa è il peccato originale a derivare dalla libertà [dal suo abuso], mentre, secondo Steiner, è la libertà [“da”] a derivare dal peccato originale.)
S’immagini, per dirla nel modo più semplice, un uomo che, nato sano, in seguito a una malattia divenga deforme. Un esempio del genere può aiutare a capire che ciò che muore in Cristo è per l’appunto tale uomo (il “vecchio Adamo”), nato “a immagine di Dio”, ma reso poi, dalla malattia, non solo deforme, ma anche mortale: può aiutare a capire, insomma, che in Cristo muore la morte, e che la morte della morte è l’imprescindibile presupposto della rinascita (e della trasformazione della libertà “da”o libertà “negativa” nella libertà “per” o libertà “positiva”. La libertà “per” acquista pieno significato solo se intesa “per Cristo”, come vuole la terza parte della formula: “In Cristo, con Cristo, per Cristo”).
(“In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l’avranno ascoltata, vivranno” – Gv 5,25. I “morti” di cui parla qui il Cristo-Gesù non sono i defunti, ma i viventi o, per meglio dire, coloro che si credono tali. Recita infatti l’Apocalisse [nella lettera diretta alla chiesa di Sardi: ovvero, alla nostra quinta epoca postatlantica]: “All’angelo della chiesa di Sardi scrivi: Così parla colui che possiede i sette Spiriti di Dio e le sette stelle. Mi è nota la tua condotta: porti il nome di vivente e invece sei morto”.)

Per Spiritum Sanctum reviviscimus: conoscenza e fede.

In una delle nostre “Risposte” (9), abbiamo scritto: “La differenza essenziale tra l’insegnamento della Chiesa Cattolica e quello della Scienza dello Spirito (dell’Antroposofia) sta nel fatto che il primo si basa, come vuole l’anima razionale-affettiva (nella fattispecie, tomista), su una conoscenza retta dalla fede, mentre il secondo si basa, come vuole la moderna anima cosciente (galileiana), su una fede retta dalla conoscenza (dice il Cristo-Gesù alla samaritana: “Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo” – Gv 4,22)”; circa la “fede dei discepoli in Cristo” (la fede dell’anima razionale-affettiva), abbiamo poi riportato la seguente affermazione di Hegel: “Una tale fede, alla quale non mancava la certezza più salda, viene tuttavia dichiarata soltanto come l’inizio, la base fondamentale e la condizione, come qualcosa di ancora incompiuto. Coloro che possedevano tale fede non avevano ancora lo Spirito, dovevano ancora riceverlo: dovevano ricevere ancora lo Spirito che è la Verità stessa, lo Spirito che è soltanto posteriore a quella fede e che è guida verso ogni verità” (10).
Dio, l’“Io sono”, è Uno e Trino: il Padre è l’“Io sono” nel volere (nell’inconscio); il Figlio è l’“Io sono” nel sentire (nel subconscio); lo Spirito Santo è l’“Io sono” nel pensare (nel conscio). Per questo, è lo “Spirito di verità” che “insegnerà ogni cosa” e che “farà ricordare tutto quello” che il Cristo ha detto (Gv 14,26).
(“Non c’è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce” – Mc 4,22).
Si ricordi che tra i sette doni dello Spirito Santo figurano l’intelletto, la scienza e la sapienza (gli altri sono: il consiglio, la fortezza, la pietà e il timor Dei). Questo vuol dire che come c’è stata un’evoluzione che dal Padre ha portato al Figlio, e dal Figlio allo Spirito Santo (dal volere al sentire, e dal sentire al pensare), così ce ne sarà un’altra (non naturale, bensì libera: ossia, cosciente e volontaria) che porterà, all’inverso, dallo Spirito Santo al Figlio, e dal Figlio al Padre (dal pensare al sentire, e dal sentire al volere). Afferma infatti il Cristo-Gesù: “In verità, vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, riceve colui che mi ha mandato” (Gv 13,20).
(Si può cominciare a capire, in questa luce, il perché la bestemmia o il peccato contro lo Spirito Santo “non sarà perdonato in eterno” [“In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna” – Mc 3,28-29].)
E’ in virtù della conoscenza spirituale che si ha dunque la resurrezione, simboleggiata dalle sette rose rosse che sbocciano dal centro della croce nera (in Christo morimur).
Scrive Steiner: “Ci si rappresenti una croce nera. Questa deve essere il simbolo per i distrutti elementi inferiori di istinti e passioni, mentre là, dove le braccia della croce s’incrociano, bisogna raffigurarsi sette rose rosse raggianti, ordinate a forma di circolo. Queste rose saranno il simbolo del sangue che esprime le passioni e gli istinti purificati” (11).

Note:

01) R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p. 132;
02) R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, pp. 108-109;
03) cfr. Del “nulla” , 2 dicembre 2014;
04) Catechismo della Chiesa Cattolica – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, pp. 97 e 99;
05) cfr. La fede dei laici, 20 gennaio 2005;
06) R.Steiner: Cristo e l’anima umana – Antroposofica, Milano 1996, pp. 130-131;
07) cfr. commento alle Massime 134/135/136;
08) cfr. Del cosiddetto “peccato originale” , 14 novembre 2012;
09) cfr. Risposta 7 settembre 2014;
10) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Rusconi, Milano 1996, p. 79;
11) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 253.

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Di Lucio Russo
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