Postille al Privatissimum 1803 di J.G.Fichte

P

Scrive Steiner: “Se consideriamo il modo in cui Krishna parla dei mondi divini, dei mondi spirituali, o del rapporto tra i mondi superiori e l’umanità, o sul decorso dei grandi eventi universali, se consideriamo il tipo della spiritualità alla quale occorre sollevarsi per penetrare nel senso più profondo della dottrina di Krishna (1), si scopre che in tutta la storia dell’evoluzione umana esiste forse un solo altro esempio paragonabile alla rivelazione di Krishna […] Quel che si ricollega al nome di Krishna può infatti paragonarsi a quanto proviene, molto più tardi, da tre nomi che in certo modo ci sono vicini, solo che qui esso si presenta in tutt’altra forma, cioè in forma concettuale, in forma filosofica. Si tratta della filosofia che nell’epoca moderna si ricollega ai nomi di Fichte, di Schelling e di Hegel. Per quanto riguarda il carattere di insegnamento occulto, le dottrine di quei tre filosofi sono un poco paragonabili con altre “dottrine occulte” dell’umanità. Sebbene infatti le opere di Fichte, Schelling o Hegel siano a disposizione di tutti, pure è innegabile che esse sono rimaste dottrine segrete, nel più ampio senso della parola. Sono davvero rimaste dottrine segrete” (2).

Avendo già messo in luce (almeno in parte) la profondità e la luminosità delle dottrine di Schelling (3) e di Hegel (soprattutto nei nostri “studi gnoseologici”), ci occuperemo qui (in breve) di quella di Fichte, chiosando in chiave antroposofica alcune affermazioni tratte dal suo Privatissimum 1803 (4).

– “Non importa ciò su cui pensiamo, purché lo facciamo filosoficamente; poiché non si tratta dell’apprendimento di cose, bensì della formazione e dell’esercizio di un certo modo di pensare” (5).
In Steiner, la formazione e l’esercizio di “un certo modo di pensare” diviene la formazione e l’esercizio non filosofico, bensì scientifico-spirituale, del pensare vivente, dinamico o immaginativo.
(“Dovevo prima presentare al mondo qualcosa [La filosofia della libertà] che fosse concepito in modo rigorosamente filosofico, anche se in realtà andava oltre la filosofia ordinaria. Era pur necessario compiere una volta il trapasso dallo scrivere puramente filosofico e scientifico a quello scientifico-spirituale” [6].)

– “Dalla percezione si conclude all’essere, dall’assenza di percezione al non-essere” (7).
In Steiner, dall’assenza di percezione (di essere) si perviene all’astrazione (al non-essere), e dall’astrazione, in virtù dello studio e dell’esercizio interiore, si perviene allo spirito (all’essere autocosciente). Dice il saggio (Zen): “Quando sei arrivato in cima a un palo alto cento piedi, fa’ un passo avanti”.
(“A che scopo si è sviluppato nell’evoluzione storica moderna un simile pensiero astratto? E’ comparso a causa di uno sforzo che gli uomini dovevano fare a un certo punto. Occorre un grande sforzo interiore per sollevarsi ad esempio a un’astrazione simile nell’accezione di Fichte, per far proprie con energia simili astrazioni di cui la persona gretta, dotata di senso della realtà, dice che non approdano a nulla dato che sono prive del tutto di esperienza. Ed è proprio così. Eppure a un certo punto bisognava arrivare a quelle astrazioni. Il primo passo andava fatto nella loro direzione. Appena però l’intima forza propulsiva della vita dell’anima procede un po’ oltre tali astrazioni, si entra nella vita spirituale. L’unico percorso sano della mistica moderna passa attraverso il pensiero energico. Allo scopo bisogna prima conquistarlo. Il passo successivo sarà di andare oltre il pensiero energico per giungere alla vera esperienza dello spirito” [8 – corsivo nostro].)

– “Ora esiste un risalire dal giudicare comune ai suoi principî […] Qui non c’è bisogno soltanto dell’attenzione in generale, bensì di una certa particolare nuova attenzione, da distinguere ancora una volta all’interno dell’attenzione in generale, e che può risiedere soltanto nella facoltà del fare attenzione al fare attenzione, di un certo spiegare (fin dove arriva) il sapere. Dunque è necessaria, ancora una volta, un’interna attenzione reale all’attenzione stessa, appunto secondo la sua possibilità; un raddoppiamento […] Così, questa è la serie ideale del risalire, come quella [comune e sensibile] la serie reale del discendere” (9).
In Steiner, il “fare attenzione al fare attenzione” o la “nuova attenzione” s’invera nell’esercizio della concentrazione (che sta al pensare così come la meditazione sta ai pensieri).
(“Quando l’uomo pensa, la sua coscienza si orienta sui pensieri. Egli vuol rappresentare qualcosa tramite i pensieri, vuol pensare correttamente in senso usuale. L’attenzione, tuttavia, può anche essere rivolta a qualcosa di diverso. L’occhio dello spirito può prendere in considerazione l’attività del pensare in quanto tale. Si può porre, per esempio, nel punto centrale della coscienza un pensiero che non abbia esteriori riferimenti, che sia pensato come un simbolo di cui non si tenga conto se ritragga o no qualcosa di esterno. Ora si può persistere nel trattenere un pensiero di questo tipo. E mentre così si persevera, ci si può concentrare interamente solo nell’attività interiore dell’anima. In questo caso, l’importante non è che si viva nei pensieri, ma che si sperimenti l’attività pensante. Su questa strada, l’anima si stacca da quanto compie nel suo comune pensare” [10 – corsivi nostri].)
Il movimento (conoscitivo o noetico) del “risalire” è quello in cui il pensare va dal singolare (dal percetto) all’universale (al concetto); il movimento (creativo o etico) del “discendere” è quello in cui il pensare va dall’universale (dal concetto) al singolare (al percetto).

– “Possibilità della W.L. [=Wissenschaftslehre: “dottrina della scienza” ] – vederla non soltanto secondo il suo concetto fondamentale, bensì da più lati: per questo, elevarsi di fatto alla visione, attraverso esempi di vario tipo, elevarsi all’evidenza propria, sorta realmente in essi […] Perciò, il W.l. [=Wissenschaftslehrer: “colui che esercita la dottrina della scienza” ] non pensa, ma guarda” (11).
In Steiner, “elevarsi di fatto” a quella che Fichte chiama “visione” o “evidenza propria” dei pensieri (dei concetti, delle idee) vuol dire elevarsi, attraversando meditativamente la “soglia” che divide la sfera (spazio-temporale) dell’esistere da quella (animico-spirituale) dell’essere, dal pensare immaginativo (michaelita) a quello ispirato (sofianico): non pertanto a un “guardare”, ma a un “udire” spirituale.
(“Quando si instaura la coscienza vuota [ispirata], quando si fanno cadere i pensieri, come è descritto nella seconda parte della mia Scienza occulta, allora si sente come in noi svanisca il pensiero vivente, come per così dire si fonda il pensare che fino ad allora avevamo prodotto con i nostri sforzi; in compenso però ci si sente allora stranamente vivificati da pensieri che affluiscono in noi come da mondi sconosciuti, che esistono per noi” [12 – corsivo nostro].)
Nella sua più nota raffigurazione, la “Vergine immacolata”, simbolo appunto della coscienza ispirata o sofianica, accoglie, “a braccia aperte”, i “pensieri che affluiscono in noi come da mondi sconosciuti, che esistono per noi”.

– “La forma della scienza “è evidenza immediata, non racconto di punti di vista od opinioni di un estraneo. Ciascuno sta in questo ambito solo nella misura in cui vede profondamente in e dentro se stesso. Altrimenti, è soltanto racconto di un mondo estraneo. (Sul regno della luce per il nato cieco, a cui non si sono aperti ancora gli occhi). (Dunque del tutto e assolutamente reale, altrettanto, anzi molto più reale del mondo sensibile – recante il suo proprio senso, i suoi propri oggetti energici in se stessi [i concetti])” (13).
La luce, mentre illumina ogni cosa, illumina anche se stessa: la sua “evidenza immediata” (il suo reggersi su di sé) è una sorta di “autodimostrazione”. Il racconto di un “mondo estraneo” (del mondo della luce fatto da un cieco nato) è quello dei punti di vista, delle opinioni o delle teorie degli idealisti o degli spiritualisti astratti (recita l’adagio: “Un conto è parlar di morte, altro è morire”).

– “Io perciò dico che quei concetti reali esistono veramente e realmente, sono viventi, energici in e da se stessi, vivificanti ed efficaci non soltanto come, bensì di gran lunga più del mondo sensibile” (14).
Fichte non si avvede, al pari di Hegel (15), che la vita è propria del pensare, non dei pensieri (dei concetti). Scrive Steiner: “Il nostro io e il nostro corpo astrale non posseggono la vita, eppure esistono. Lo spirituale e l’animico non hanno bisogno della vita. La vita comincia con il corpo eterico” (16). Scrive invece Fichte: “Chi davvero vede profondamente tutto questo, capisce che il concetto vive e si muove da se stesso; egli è perciò la vita del concetto, e questo la sua vita” (17).

– “E’ vero che chiunque non sia penetrato nel punto di luce interno è in certo modo cieco; me il pretesto con cui ci si contrappone a questo, è che l’uomo non può, che la cecità sarebbe naturale e innata. Noi, invece, affermiamo e possiamo mostrare di fatto che la luce sostanziale, in cui la tenebra non può assolutamente entrare, è non soltanto la nostra – dell’intelligenza – proprietà essenziale, bensì è la stessa essenza ed intima radice della vita, che noi vediamo proprio perché siamo essa stessa” (18).
In Steiner, si può penetrare “nel punto di luce interno” (nella sfera animico-spirituale) solo attraversando la “soglia”. Si tenga presente, al riguardo, questa sua affermazione: “L’uomo ha veramente, come uomo terrestre, alcunché di ciò che vi ha di più basso, e dall’altra parte ha un’immagine riflessa [la rappresentazione o il concetto nominalisticamente inteso] di quanto v’ha di più alto, che è soltanto raggiungibile nell’intuizione. Gli mancano completamente, come uomo terrestre, appunto i campi intermedi. Egli si deve conquistare immaginazione e ispirazione” (19).

– “Ci si deve liberare [per accedere alla realtà dei concetti] non soltanto della cosa sensibile, ma in pari tempo anche della rappresentazione sensibile” (20).
In Steiner, ciò può avvenire solo sviluppando i gradi di coscienza dell’immaginazione e dell’ispirazione: ossia proprio quei “campi intermedi” che “mancano completamente” all’uomo terrestre, impedendogli così di trasformare l’inconscia e ordinaria intuizione (in virtù della quale coglie i concetti) nella superiore coscienza intuitiva (in virtù della quale coglie le entità spirituali).

Note:

1) cfr. Bhagavadgītā – Adelphi, Milano 1994;
2) R.Steiner: Il Vangelo di Marco – Antroposofica, Milano 1993, pp. 86-87;
3) si potrebbe dire, volendo, che Shelling (1775-1854) presentì la necessità di sviluppare, al di là della coscienza rappresentativa, quella immaginativa (“Chi mantiene nella repressione l’età d’oro che si presagisce, nella quale la verità ridiviene favola e la favola verità?”) e che preconizzò, a suo modo, l’avvento di Steiner (1861-1925) e dell’antroposofia (“Verrà forse un giorno in cui qualche nuovo cantore di un più grande poema eroico abbraccerà nel suo spirito tutto ciò che fu, che è e che sarà”). F.W.J.Shelling: Le divinità di Samotracia seguite dalla Introduzione a Le età del mondo – Mimesis, Milano 1990, pp. 50 e 56;
4) J.G.Fichte: Privatissimum 1803. Dodici lezioni sulla dottrina della scienza – Edizioni ETS, Pisa 1993;
5) ibid., p. 77;
6) R.Steiner: I confini della conoscenza della natura – Antroposofica, Milano 1979, p. 106;
7) J.G.Fichte: op. cit., p. 91;
8) R.Steiner: La questione sociale: un problema di consapevolezza – Antroposofica, Milano 1992, pp. 90-91;
9) J.G.Fichte: op. cit., pp. 96-97;
10) R.Steiner: Gli enigmi della filosofia. Le concezioni del mondo nel XIX secolo – Tilopa, Roma 1997, pp. 201-202;
11) J.G.Fichte: op. cit., pp. 102-103;
12) R.Steiner: Lo sviluppo occulto dell’uomo nelle sue quattro parti costitutive – Antroposofica, Milano 1986, p. 70;
13) J.G.Fichte: op. cit., p. 111;
14) ibid., p. 116;
15) cfr. Della dialettica, 14 ottobre 2015;
16) R.Steiner: Sedi di misteri nel Medioevo. La festa di Pasqua – Antroposofica, Milano 1984, p. 21;
17) J.G.Fichte: op. cit., p. 102;
18) ibid., pp. 116-117;
19) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – I.T.E., Milano 1938, vol. I, p. 67;
20) J.G.Fichte: op. cit., p. 130.

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Di Lucio Russo
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